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Linea di confine

Dall'altra parte della scrivania

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Ho sempre avuto una particolare ammirazione per gli psicologi e per tutte quelle figure professionali che aiutano gli altri.
Loro sono e restano una certezza.

Ma quante volte entrando in un ambulatorio, di fronte ad uno psichiatra, psicologo o psicoterapeuta, mi sono chiesta: chi è costui? Chi è questo medico della mente, del nulla di tangibile: il pensiero? Chi è questa persona che vuole varcare i confini della mia sofferenza per entrare dentro la mia anima (che non risiede nel cuore, ma nella testa)?
Chi è costui che vuole conoscere tutto di me, mentre io non conosco nulla di lui?
Un estraneo chiamato dottore, che non ti cura una ferita del corpo ma dell’anima. Se già risulta pesante mostrare ad un medico parti del proprio corpo, diventa estremamente più complicato esibire una componente ancora più intima, che sta all'interno di noi e che ha bisogno di essere curata…
Il percorso è più arduo: per trovarla bisogna rovistare tutto; l'emozione che fa male non la si può prendere, mostrare e dire: "ecco, è qui che sento dolore". Perchè l’anima soffre tutta insieme, e nel suo labirinto di emozioni lo psicologo deve saperci camminare, cercare e rivoltarti dentro, per far uscire ciò che si radica nel fondo. Nel profondo si celano le ferite della mente, e nel tuo abisso devi permettere a quel medico di entrarvi.

E' per questo che è così difficile varcare quella soglia e consegnarti nelle mani di uno sconosciuto, che alla fine arriverà a conoscerti meglio di quanto tu possa conoscere te stessa.

Nel suo studio ci si spoglia nudi, ma non dei vestiti. Si diventa trasparenti perchè i suoi occhi possano guardarti accuratamente in profondità, dove tu non arrivi a vedere perchè il tuo profondo ti è troppo vicino e purtroppo non hai la possibilità di metterlo a fuoco; mentre lui, il terapeuta, da una certa distanza - quella giusta - può vedere ciò che hai dentro e mostrartelo… "scava la terra e, se questa non è arida e morta, in fondo troverà sempre un germoglio".

Questo non poteva succedere, finchè la mia paura vi lasciava fuori dalla mia vita, e la mia vita rimaneva fuori dalla vostra porta. Poi mi sono decisa e ho bussato...

Quante volte vi ho cercato, quante volte mi avete accolto, quante volte avete taciuto mentre la mia rabbia si scagliava sui muri bianchi e muti delle sofferenze passate e presenti. Quante volte mi avete sorriso, invece di prendermi a schiaffi. Quante volte mi avete costretto a non vedervi amici, ma psicologi; quante volte avete costretto voi stessi ad essere psicologi e non amici... quando le mie lacrime scendevano a fiumi, i miei occhi vi chiedevano aiuto e il mio dolore vi chiedeva abbracci, muta di fronte a voi che aspettavate in silenzio che il male diminuisse e la mia voce ritornasse. Il vostro sguardo immobile trapelava l'impotenza e la plausibile tensione che vi coglievano dall’altra parte della scrivania.

Quanta forza dovete avere per lasciare fuori da quello studio la vostra parte umana, o meglio, dividerla, sceglierla, sezionarla e far entrare solo quella fondamentale per la terapia. Perchè se vi disumanizzaste, in una "indifferenza professionale", sapete che non potreste raggiungere il punto dove invece voi mirate ad arrivare: nel profondo di ognuno.

A volte mi domando come fate ad assorbire dentro di voi i colpi, le rabbie, i dolori, i tormenti dei vostri pazienti, senza mai riscagliarli indietro nella maniera sbagliata. Quale equilibrio vi richiede la vostra professione, per essere considerati "bravi psicologi", non un nome sul cartellino e una tariffa oraria. Non uno dei tanti, che dopo il fervore iniziale si rende indifferente alla sofferenza altrui, dando per perso un cuore ancora prima che smetta di battere. Non uno di quelli. Uno. Uno tra i pochi che ancora lotta, non lascia la presa e persevera nella voglia di vederti, se non guarito, almeno stare meglio.

A volte mi domando che forza dovete avere per ascoltare i lamenti altrui, magari stupidi (ma mai per voi stupidi), mentre il vostro cuore porta in sè i pesi della vostra umanità, che non è mai perfetta anche se siete psicologi. E quando siete stanchi, che la vostra anima duole in quella vostra vita sconosciuta e avreste bisogno di parole e ascolto… parole e ascolto voi invece continuate a dare. Il cuore caccia il vostro lamento per ascoltare quello altrui.

Vi stimo molto.

Voi che camminate al mio fianco, cari sconosciuti, e mi sorreggete quando cado, m’insegnate a rialzarmi, mi date fiducia, districate i miei nodi, camminate con me dentro la mia angoscia, remate nella mia barca, mi conducete, mi spingete, e mi trascinate verso la riva.

Nella mia vita ho potuto incontrare diversi psicologi, fino ad avere trovato un punto di riferimento definitivo. E dopo due anni di serio percorso, posso dire di essere molto più equilibrata. Ho chiuso con certe cazzate. Non è detto che io non ci ricaschi, ma adesso so bene come uscirne. Ora come ora riesco a vedere la vita con occhi uguali, ma da una distanza diversa.
 
GRAZIE
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