A mio parere il paradosso risiede nello svolgerere attività privata e pubblica contemporaneamente. Ovvero si continua a lavorare nel proprio studio privato, magari con metodologie personali, ma al contempo si sta anche lavorando con l'equipe di una struttura (e quindi con la sua complessità) peraltro da esterni. Credo che a livello di impliciti ciò potrebbe comportare tutta una serie di distorsioni nel rapporto tra terapeuta, paziente e istituzione, non facilmente gestibili.
Tutto questo si lega, secondo me, al discorso sulla verifica. Non ho niente in contrario alla verifica della psicoterapia (tanto che è il mio campo di ricerca) ma è un settore molto delicato dal punto di vista della privacy e si potrebbe aprire tutto un capitolo su questo tema. Non penso che la relazione tra utente e terapeuta si possa assimilare a quella di un maestro con un allievo, ma piuttosto a quella tra due persone adulte e libere, una delle quali ha diritto a tutta la riservatezza. Una verifica da parte dell'istituzione-papà potrebbe quindi avere conseguenze importanti. Provate a pensare ad esempio ad una persona con sintomi paranoici...
In questo senso ritengo una bella fatica accollarsi questa situazione non solo economicamente (condiderando peraltro che il minimo tariffario è stato abolito col decreto Bersani) ma anche professionalmente perchè, secondo me, è di notevole complessità se le cose rimangono così (e non perchè bisogna fare supervisione, attività sempre preziosa).
Un saluto