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  1. #16
    Partecipante Affezionato L'avatar di psicopulce
    Data registrazione
    31-01-2003
    Residenza
    Milano
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    111
    Santiago, anch'io sono spesso d'accordo con te e soprattutto trovo importante il tuo discorso sulla centralità del vissuto del cliente.
    La tua provocazione però a mio parere non funziona essenzialmente per due motivi:
    il primo, già accennato da Vincent, é che se il terapeuta svolge il suo lavoro onestamente e al meglio delle sue possibilità, ma nonostante questo il cliente non é soddisfatto, non mi sembra giusto prevedere un rimborso e quindi privare il professionista del compenso per il lavoro che comunque ha svolto con serietà e impegno. Se il meglio che io posso offrire al cliente non gli é utile (ovviamente se/appena me ne accorgo lo invio) questo é il rischio fondamentale della nostra professione...é un incontro tra due (o più) persone, e come tale sempre a rischio;
    il secondo riguarda l'attribuzione del risultato della terapia: se tu pensi a rimborsare il cliente, vuol dire che pensi che il responsabile del risultato della terapia sia il terapeuta. Se invece pensiamo che il cliente sia il protagonista del suo percorso terapeutico, e vediamo il terapeuta soprattutto come un facilitatore, é chiaro che la responsabilità del risultato della terapia é di entrambi, cliente e terapeuta (o addirittura prevalentemente del cliente). A questo punto, se la responsabilità di un risultato non soddisfacente é anche del cliente, che senso avrebbe rimborsarlo?
    ciao

  2. #17
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
    Data registrazione
    27-03-2004
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    471
    ciao psicopulce, sull'obiezione descritta da vincet ho già risposto indietro.
    Anche sulla tua, sebbene non fosse ancora arrivata, ho già risposto dicendo che ipoteticamente si potrebbe rimborsare la metà del compenso ricevuto. Proprio a sottolineare che il fallimento non è del paziente, ma del rapporto terapeutico. E già mi chiedevo come mai di questo fallimento dovesse farne "le spese" solo il paziente...
    Giustamente le "responsabilità" sono di entrambi.
    La tua affermazione che le responsabilità del risultato della terapia sono prevalentemente del cliente, (evidentemente in netto contrasto con quello scritto da altri utenti fin'ora.... e visto che so che psicopulce è una rogersiana, e vincent un cognitivista razionalista, le vedute su quanto qui esposto possono essere lette come espressi di ambienti culturali differenti) c'è un'altro sbilanciamento, a mio parere.
    Partendo dal presupposto che sia la relazione che porta al cambiamento, da una parte si può assumere che siano entrambi fautori del successo o del fallimento. Dall'altra parte connotando la relazione terapeutica di una propria soggettività sembra più corretto affidare al "terzo attore" i risultati, qualunque essi siano.
    A questo punto il nostro problema diviene: " Come influenzare la relazione al fine di raggiungere i risultati preposti anzitempo (nel rispeto del paziente) ?

    Santiago


    Santiago


    __________________
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

  3. #18
    Super Postatore Spaziale L'avatar di Accadueo
    Data registrazione
    31-03-2003
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    2,536
    Accadueo:
    Santiago, e chi mi rimborsa le supervisioni, il lavoro intellettuale, emotivo e fisico, nonchè il tempo, la formazione, lo studio, l'iscrizione agli albi?
    Santiago:
    Per quanto riguarda l'ultima parte del tuo messaggio, purtroppo come l'avevi messa giù più o meno esplicitamente dicevi:
    "Beh io ho investito, soldi, anni della mia vita, sacrifici ecc.. ecc... ora dovrebbero arrivare i sospirati soldi." E il risultato terapeutico era poco considerato.

    Santiago [/B]
    più o meno esplicitamente ho anche parlato di supervisioni e formazione.. che sono dei piccoli momenti utili per raggiungere dei risultati terapeutici positivi.. per il resto hai anche ragione e non me ne vergogno.. i miei hanno investito soldi, ho passato anni della mia vita sui libri e se dovessi lavorare bene dovrebbero arrivare i sospirati soldi.


    Santiago, i discorsi del rimborso me li facevo anche io prima di iniziare con la specializzazione e forse ci credevo anche, ma adesso sento che ho parecchi "strumenti" (e continuerò ad averne) che mi consentiranno di effettuare un lavoro il più pulito e limpido possibile.. e posso assicurarti che quando i clienti percepiscono che c'è chiarezza e fiducia, essi non usciranno dalla porta dello studio maledicendo il mio lavoro e buttando i soldi sulla scrivania "schifiati"..

  4. #19
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
    Data registrazione
    27-03-2004
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    471
    Te lo auguro. E ancora più lo auguro ai tuoi pazienti.

    Santiago
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

  5. #20
    DaC
    Ospite non registrato
    Mi sembra che la “simpatica provocazione” di Santiago si possa articolare in tre temi.

    Il primo riguarda la capacità di cui dispone un paziente di utilizzare lo strumento che viene messo a disposizione: la terapia stessa.
    In merito a ciò mi piace pensare come la piccola Teresa. Se immaginiamo la terapia come ad una sorgente, qualcuno se ne starà a contemplarne la bellezza, qualcun altro vi attingerà con ambo le mani, qualcun altro ancora preferirà avvalersi di una piccola tazza o di una bottiglia o di una botte … ma tutti si allontaneranno con il loro contenitore colmo di acqua, il massimo di cui può disporre.

    Il secondo argomento riguarda l’adeguatezza dello strumento: ogni strumento è utile per conseguire certi risultati e non altri.
    E da qui si dipana da un lato il dibattito circa la trattabilità di un paziente, dall’altro quello sugli effetti iatrogeni delle psicoterapie.

    Terzo ed ultimo, la professionalità dello psicoterapeuta.
    Lungi da me pensare che il problema sollevato a suo tempo da Freud circa la “psicoanalisi selvaggia” (oggi potremmo estendere le sue considerazioni a tutte le psicoterapie) si sia appianato col tempo.


    Visto il tema in questi termini, mi pare che il coinvolgimento del paziente sia limitato al primo argomento, il secondo già supera la sua capacità di valutazione (il più delle volte chi viene in seduta non sa delle differenze tra una psicoterapia ad indirizzo analitico, piuttosto che cognitivo, piuttosto che altro), in merito al terzo … fate voi.

    Ripropongo allora la "simpatica provocazione" di Santiago in altri termini.
    Come può il candidato paziente proteggersi nei casi 2 e 3? O meglio può proteggersi? O meglio ancora chi può proteggerlo?
    E quando il danno è fatto, chi lo tira fuori dall'impiccio? Un altro psicoterapeuta?

    Bye

  6. #21
    Partecipante Esperto
    Data registrazione
    28-05-2004
    Messaggi
    329
    Si, credo che che il costruttivismo Kellyano sia abbastanza vicino a quella che mi sembra di intuire sia il tuo approccio. In Italia i costruttivisti Kellyani si dividono in due tronconi, quelli più "razionalisti" (alla Cionini) e quelli più "ermeneutici" (alla Chiari). Il libro di Armezzani è una riflessione critica interessante di ampia portata, poi ci sono testi più tecnici (ad esempio, sulla "psicodiagnostica dei significati" costruttivamente orientata, o sulle tecniche del colloquio, le teorie della clinica, etc.)
    Buone letture !

  7. #22
    Serendipity
    Ospite non registrato
    Vediamo un pò come verranno visto le mie considerazioni da un punto di vista di scelte terapeutiche(io sono junghiana).
    premetto che la provocazione di Santiago mi è sembrata interessante, per quanto francamente non ho un sì o un no netto per rispondere....solo alcune riflessioni.
    qualcuno ha scritto di terapie la cui efficacia sia scientificamente provata, e questo mi sembra alquanto uno sproposito, perchè la psicoterapia in ogni sua forma, è cosa estremamente soggettiva...per esempio, per qualcuno il una terapia cognitivo-comportamentale potrebbe avere effetti miracolosi mentre a me non farebbe nemmeno il solletico, diciamo a parità di braura del terapeuta.
    e poi chi stabilisce la guarigione del paziente?il paziente stesso?potrebbe essere un disonesto che vuole solo soldi.un perito?potrebbe essere un disonesto anche lui, e dire che il paziente è guarito quando non lo è affatto.
    è vero che la propria guarigione si misura in termini di benessere, ma anche questo è un argomento insidioso; io ho fatto una terapia piuttosto lunga, e dopo circa due anni dall'inizio stavo molto ma molto peggio di prima, praticamente borderline. questo non è per raccontarvi i fatti miei, ma per dire che ci sono terapie che richiedono percorsi molto dolorosi, e in tal caso bisogna avere fiducia, in sè stessi e nel terapeuta....
    insomma, come vedete non ho una risposta, volevo solo riportare le mie riflessioni in proposito

  8. #23
    Eowin
    Ospite non registrato
    Il contratto implicito in una consulenza libero-professionale è quello di una prestazione d'opera (d'ingegno) senza vincolo di risultato. Tutto ciò è sancito dal codice civile, se volete prossimamente posto gli articoli precisi.
    Le ragioni di questa scelta del legislatore sono molte e ponderate e risalgono al diritto romano, se non prima. Immagino che ci siano dietro secoli di dibattiti.
    Il punto è che il lavoro di uno psicologo è più simile a quello di un avvocato che a quello di un idraulico.
    In una causa legale civilistica si contrappongono 2 avvocati che patrocinano tesi diverse in merito ad una identica fattispecie processuale: il giudice sposerà una delle due tesi nella sua sentenza.
    Ora, forse il legale di parte soccombente non avrà diritto alla parcella?
    Semmai, il cliente soccombente dovrà pagare anche l'onorario del patrocinatore della controparte e le spese processuali, ma il professionista verrà comunque pagato. A me sembra giusto.
    E' stato portato l'esempio dell'architetto la cui casa crolla: secondo me qui siamo nel campo dell'imperizia, ammesso che la responsabilità sia tutta del progettista, e ovviamente si aprirà un contenzioso ed eventualmente un procedimento penale per definire i risarcimenti e/o le pene in cui il malaccorto professionista è incappato.
    Ma se semplicemente la casa, anzichè crollare, non piace al committente... peggio per lui, che non ha ben guardato il progetto sulla carta o altro.
    L'imperizia è sanzionata dal codice e dal codice deontologico degli psicologi.
    Se un paziente si ritiene insoddisfatto può comunque adire le vie legali e/o fare un esposto all'Ordine.
    Che ne dite? Non sono tutele sufficienti?
    E poi non penso che i ns pazienti siano degli impediti per definizione.
    Ciao.

  9. #24
    AHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH HHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH HHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH HHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH HHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH.

    ok ho la vostra attenzione

    beh Santiago, anche se la tua è una "provocazione" l'hai espressa nella forma di una richiesta di opinione, quindi poi non lamentarti

    E a questo punto "la mia opinione" è che il fallimento di una psicoterapia è chiaramente da contemplare e qualora ci sia stato il massimo impegno e nessun risultato (ne in bene in male), questa vada ugualmente retribuita.

    Se il lavoro psicoterapeutico invece che sanare o lasciare la situazione immutata provoca un danno di qualche tipo nel paziente, ecco che non solo non bisogna retribuirla ma anzi, perseguire lo psicoterapeuta anche legalmente.

    Per fortuna io sono per la psicoterapia breve forza Erickson
    Remy Lebeau
    Fu Moderatore Dolce Vita e Raduni

    SeeTheLifeIveHad.CanMakeAgoodManBad
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  10. #25
    Postatore Epico L'avatar di Megghina
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    10-11-2003
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    Fornacette (Pisa)
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    Concordo con Remy (anche io sono per la psicoterapia breve)!

    Un terapeuta, a meno che non lo abbia fatto deliberatamente (e andrebbe dimostrato), ha comunque prestato il suo operato e il suo lavoro per il paziente, quindi, il tempo e il lavoro speso vanno retribuiti. E' vero, se una casa crolla l'architetto viene denunciato. Ma l'architetto puo' dare la colpa al muratore, che la puo' dare a qualcun altro e cosi' via.
    Noi siamo medici, e come tali non possiamo avere possibilita' di successo certe. E, sinceramente, a me non piace la formula "soddisfatti o rimborsati", pone ancor piu' la questione sul lato economico, quando in mezzo ci sono tutt'altri fattori, di cui, quello economico e' proprio l'ultimo, almeno per me.
    Se non puoi esser strada, sii sentiero,
    se non puoi esser sole, sii una stella;
    vincere o perdere
    non ha a che vedere con la grandezza
    ma bisogna essere al meglio quello che si è




    docente del corso accelerato di Spigazione
    attendiamo iscritte

  11. #26
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
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    27-03-2004
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    471
    Il punto è che il lavoro di uno psicologo è più simile a quello di un avvocato che a quello di un idraulico.

    Io credo che il lavoro di uno psicologo sia simile a quello di un medico.
    Non mi dilungo sulle conseguenze di questo paragone, che ritengo appaiono ovvie e tutti
    .
    E' stato portato l'esempio dell'architetto la cui casa crolla:

    L'esempio del crollo di una casa mi sembra appropriato, almeno ad un livello metaforico.
    Se un paziente non trae giovamento da una psicoterapia la sua speranza crolla. Specie quando il terapeuta adduce a tale fallimento cause e motivazioni riportabili al paziente, cioè nella maggioranza dei casi...
    Un paziente a livello cosciente vuole sempre guarire...
    Questo lo dimenticano spesso molti terapeuti che adducendo cause inconsce, o comunque non di dominio del paziente stesso, si inerpicano in un'evidente contraddizione.

    Ma se semplicemente la casa, anzichè crollare, non piace al committente... peggio per lui, che non ha ben guardato il progetto sulla carta o altro.

    Il progetto sulla carta è il più delle volte chiaro: eliminare i sintomi, sentirsi bene per vivere dignitosamente.

    E poi non penso che i ns pazienti siano degli impediti per definizione.

    Nemmeno io, ma il loro problema è comunque tale perchè vissuto come una mutilazione.
    Senza queste premesse difficilmente richiederebbe una psicoterapia...
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

  12. #27
    siros
    Ospite non registrato
    Caro Santiago, sono un maledetto comportamentista (sì proprio quello dei topi nel labirinto) con diversi anni di psicoterapie sulle spalle. Faccio una riflessione molto semplice: il paziente viene con una domanda (voglio guarire dall'ansia), dopo qualche seduta magari la domanda si è chiarita meglio (voglio imparare ad assumermi le mie responsabilità familiari che mi provocano ansia), comunque alla fine - dopo un tempo ragionevole - sia tu che lui avete chiari gli obiettivi della terapia (in caso contrario c'è qualcosa che non funziona). Tu, dopo infinite ore di lavoro su te stesso e infinite ore di supervisione, capisci se ci sono ragionevoli possibilità di aiutarlo o no. Ne parli con il paziente e poi sta alla tua etica professionale quello di non prenderlo per i fondelli. Comunque, anche se avessi fatto una valutazione errata, dopo qualche seduta di terapia ti rendi conto se la cosa va o se ci sono intoppi, non ci prendiamo in giro. Quandi il problema mi sembra non se devo restituire i soldi, ma di fare estrema attenzione a intraprendere la terapia dopo la fase diagnostica solo con pazienti su cui posso essere efficace. Errori si possono sempre commettere, ma se professionalmente mi sono comportato al meglio delle mie possibilità, nel rispetto del codice deontologico, non vedo il motivo di rimborsare. Ciao

  13. #28
    lealtà nascoste
    Ospite non registrato
    Siros, sei un grande.
    PARLANDO PRATICAMENTE.
    Secondo me, Santiago, è utile formulare un contratto terapeutico nel quale ci sia almeno una idea preliminare di prognosi. questo perchè anche il cliente abbia un'idea del lavoro che farete insieme.
    Dopo la fase diagnostica, (che varia in numero di colloqui a seconda del cliente, ma tre al max. mi sembrano sufficienti) si può decidere se lavorare insieme o se inviare il cliente ad altri tenendo conto di:
    1. quanto possiamo con la nostra teoria e il nostro metodo a risolvere il problema
    2. quanto il cliente possa fare lo stesso in qualche posto convenzionato (magari veramente non se lo può permettere)
    3. se non sia utile una rete sociale, che comprenda oltre a noi altri servizi convenzionati o meno
    Anche nel caso tu lavori da un po' con un cliente, può essere che tu scopra che la sua richiesta diventa diversa da quella iniziale (e magari tu lo devi inviare).
    In tutti questi casi, hai fatto comunque con lui un lavoro di diagnosi o di analisi della domanda, che, secondo me va retribuito.
    Nel caso invece la terapia vada oltre quanto previsto e non arrivi al risultato sperato la domanda è perchè? Nel caso dipenda da "resistenze" del terapeuta, da metodologia inadeguata o da qualcosa legato al terapeuta, credo sia quest'ultimo che può suggerire un cambio di terapeuta con le dovute modalità.
    A mio parere è sempre bene darsi un obiettivo e un numero approssimativo di sedute per realizzarlo, in modo che le verifiche sul percorso (del terapeuta e del cliente) siano costanti.
    In questo modo io non rimborserei "il fallimento" perchè credo sia più onesto dire che fino ad un certo punto si è arrivati, ma ora da lì occorre proseguire diversamente. Puoi sbagliare una seduta due ,tre , ma una verifica del tuo lavoro la fai, da solo, con un collega o con un supervisore?
    Anche perchè diversamente in seduta non ascolti ne te nè il cliente, semplicemente "lasci che vada"...
    O no?
    Ciao Santiago.

  14. #29
    Partecipante Esperto L'avatar di wrubens
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    17-04-2003
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    492

    Re: Provocazione

    Originariamente postato da Santiago
    Sostanzialmente questo:

    "Voi credete che sia giusto rimborsare, totalmente o in parte, il paziente che ha trovato fallimentare il percorso psicoterapeutico?"

    In assenza di una specifica legge, voi credete che sapreste riconoscere il vostro fallimento?
    E, nel caso, vi comportereste di conseguenza anche nella prassi?

    E' chiaro che questa questione mette in gioco la nostra credibilità sulla nostra professione... Ma se non ne abbiamo noi....

    Santiago di Coelho
    Anche se mi sembra di capire che non rispondi ai miei thread, do il contributo al tuo quesito, esprimendo forse cose già dette..
    La professionalità consiste nel fare previsioni credibili e reali...posso dire al mio cliente di avere una serie di strumenti...e che questi strumenti si esauriscono massimo in 20 sedute, rimanendo sui persorsi sistemici...e chiaramente che non si può garantire il risultato... .
    Tutto ciò mi pare abbastanza ovvio...
    professionalità è sinonimo di chiarezza...non di risultato...

    Rubens
    "il dubbio è il tarlo del delirio"
    Rubens

  15. #30
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
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    27-03-2004
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    471
    In effetti non hai detto niente di nuovo rubens, per questo non ti ho risposto personalmente.
    La questione era chiusa, da parte mia...

    Santiago
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