Buongiorno a tutti,
non so se sia la sezione giusta, in caso contrario chiedo alle moderatrici di spostare questa discussione.
Volevo parlare di una situazione, che mi ha colpito, di cui sono venuta a conoscenza indirettamente.
La questione riguarda una donna, di circa 40 anni, che in passato ha seguito una psicoterapia (non psicanalisi) con una analista junghiana, circa una volta ogni due settimane, per più di sei anni, e ha da poco (due settimane) iniziato una psicanalisi con uno psicanalista uomo (4 sedute alla settimana).
Questa persona lavora e ha una vita autonoma. E' single da parecchio e le poche relazioni sentimentali passate sono ricordate con fastidio. La storia più lunga è durata 9 anni ed ha avuto momenti drammatici (il partner da lei lasciato non accettava la situazione. L'ha minacciata in diversi modi, di sfregiarla e anche di "metterla alla berlina". Alla fine è finita, lei ha ancora ricordi vividi di quei momenti e, ripensandoci, pensa di averla scampata bella e che avrebbe potuto essere uccisa).
Da parecchi anni si è completamente rinchiusa, nel senso che le emozioni sono bloccate. Non ha avuto recenti storie sentimentali, né le cerca. Nei confronti degli uomini e delle persone in generale mette in atto una sorta di barriera autoreferenziale: questo non le impedisce però di agire in maniera "viva" ed empatica sul lavoro (relazioni con persone diverse). Non viene però toccata più di tanto dalle situazioni. Di fronte all'uomo, soprattutto, la prima sensazione è di paura. In generale (con uomini e donne) ha paura dell'invasione, che l'avvicinamento sia troppo.
E' figlia unica e da 5 anni vive sola.
Il padre è morto 4 anni fa, era un uomo burbero, che lei ricorda accigliato e severo. Probabilmente le voleva bene "a distanza".
La madre è ancora in vita, vive in un'altra città e non sa nulla della vita emotiva della figlia. La figlia è arrivata alla conclusione di dirle solo certe cose, di "fingere" per evitare le reazioni discordanti e ansiose della madre, con cui, si è resa conto, non c'è mai stata sintonia. La reputa un cuneo, frenante, che bisogna in un certo senso contenere.
Nonostante ciò, si preoccupa per lei e vuole evitarle dispiaceri. Nei suoi confronti prova, alternativamente, compassione (come per le persone anziane, verso il tramonto) e grande rabbia. Riesce a mantenere "buoni" i rapporti, limitando rapporti, contatti e contenuti di discussione. I momenti di contatto con la madre le provocano comunque sempre una certa apprensione, una specie di fastidio, forse per la "messinscena", a cui comunque si è abituata.
Non ricorda manifestazioni di affetto tra genitori, se non molto rari, e fatica a pensare la madre come una donna con una sessualità: la vede come frigida e ansiosa, dedita al dovere e ritiene possibile che il padre non fosse contento e potesse avere un'altra vita (di cui, però, non vi è alcuna certezza).
Ritiene di essere stata considerata, da piccola, come un fastidio e ricorda grandi momenti di solitudine (a letto per lungo tempo, quando si ammalava). Di questo però, la madre non è cosciente, né sarebbe opportuno o utile, ormai, tirare fuori queste cose. Non c'è rimedio alla mancanza di amore passato.
Dalla sua storia emerge una grande carenza di contatto fisico.
Ora lei ha trovato questa "soluzione" ed è come congelata, teme di continuare a vivere in questa cortina priva di calore. Pensa che sotto ci sia una grande sofferenza ma non sa cosa fare.
L'ultimo uomo che ha amato non ha potuto corrisponderla, per vari motivi, ma quando ha saputo, su sua richiesta, dei suoi sentimenti per lui, si è commosso, ma senza dire una parola. Questa è stata l'ultima grande sofferenza per lei, accompagnata da sentimenti struggenti. Poi la difesa del gelo.
Da anni non ha rapporti sessuali. Quelli vissuti precedentemente hanno portato piacere a livelli diversi. Ha raggiunto il massimo del piacere con il partner della storia più lunga: il sesso era disgiunto dall'affetto e lui non ha mai voluto avere rapporti completi (timore del contatto: la ex moglie era rimasta incinta e il matrimonio era finito dopo poco tempo). Durante i rapporti era come se venisse fuori un'altra parte di lei, distante dalla parte affettiva.
Ora, qualche volta, si masturba, "come prova", più che altro: la prova di poter provare piacere in modo normale, di essere normale, poi in un attimo tutto finisce e ritorna alle sue solite cose. Le fantasie, in questi brevi momenti, sono sempre legate all'immagine di una donna trattata come una puttana. A questo è subordinato il piacere e non c'è unione tra sesso e amore.
Questa donna, che, dalla descrizione che ho ricevuto (non l'ho vista di persona), mi sembra intelligente, teme di non riuscire a rompere la cortina che si è creata, teme che le resistenze a cambiare siano più forti della spinta verso la completezza della vita, ma non sa come fare. Questi temi hanno cominciato ad emergere negli incontri con l'analista.
In base alla vostra esperienza, è possibile che si arrivi ad una evoluzione in positivo, anche lenta, con l'aiuto dell'analisi?
Grazie