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  1. #1
    Partecipante
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    A. Miller e il perdono in analisi

    Buongiorno a tutti. Volevo chiedere agli utenti esperti e meno esperti del forum che cosa ne pensano del concetto di perdono in psicoanalisi. Nel corso della mia analisi (incominciata circa 2 anni fa), ultimamente l'analista parla spesso della necessità di "perdonare" i genitori, "ridimensionare" i traumi dell'infanzia e "prendere le giuste distanze" dagli episodi più drammatici del proprio passato, come strumenti indispensabili di guarigione.

    Qualche giorno fa ho curiosato su google a proposito del perdono in psicoanalisi. Ed effettivamente sono numerosi gli interventi che indicano il perdono come un movente importante di una terapia ben riuscita. Poi però sono "atterrato" su un articolo di Alice Miller che mi ha letteralmente fulminato (Alice Miller).

    Non conoscevo questa autrice, che sembra essere abbastanza famosa. E scopro che è venuta a mancare un mese fa, il che mi impedisce di scriverle direttamente. L'articolo, pur essendo a mio avviso fin troppo tranchant nei confronti dei moderni terapeuti, e in ogni caso tutt'altro che scientificamente rigoroso, ha illuminato e sviluppato ciò che sento in terapia. Ovvero il pericolo che il "dover perdonare" per star meglio agisca come un pericoloso tentativo di frenare la rabbia e indignazione infantili che non hanno mai avuto sfogo. Laddove il disagio psichico non è il prodotto del risentimento, ma della sua repressione e dei sensi di colpa che ne derivano. La Miller parla, secondo me con ottime ragioni, di sconfinamento della pedagogia nella psicologia. Poi si spinge a ipotizzare che questa fretta di ripristinare i "buoni sentimenti" possa nascondere la paura dello stesso terapeuta, che non ha chiuso tutti i conti con il suo passato di bambino represso.

    Non mi dilungo oltre perché forse direi sciocchezze, non essendo io un "tecnico". Vorrei soltanto conoscere l'opinione dei presenti. Confrontandomi con una persona in analisi da 5 anni ho appreso che nel suo caso il tema del perdono/riconciliazione non è mai stato neppure sfiorato. E mi pare di aver letto che lo stesso Freud metteva in guardia contro questa tentazione, di imbrigliare le pressioni pulsionali interne. Sospetto quindi che il tema si presti a qualche riflessione/critica.
    Ultima modifica di 404inside : 22-05-2010 alle ore 11.47.30

  2. #2
    Partecipante Leggendario L'avatar di gieko
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Credo che la cosa migliore sarebbe parlare dei tuoi sentimenti con la tua analista.

    Saluti
    gieko

  3. #3
    Partecipante
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Ciao gieko. Apprezzo la scelta di arginare gli acting out dei pazienti che vanno a scrivere su internet ciò che non hanno il coraggio di affrontare in analisi. Ma nel mio caso ti assicuro che questi sentimenti li porto da mesi all'analista, due volte alla settimana. Qui ponevo un dubbio di carattere teorico, e mi scuso se ci ho messo troppo del "me stesso" paziente.

    Edit: ho concellato le parti più personali dal messaggio originale.
    Ultima modifica di 404inside : 22-05-2010 alle ore 11.49.23

  4. #4
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Citazione Originalmente inviato da gieko
    Credo che la cosa migliore sarebbe parlare dei tuoi sentimenti con la tua analista.
    Ma perché se 404inside ne parla anche con altre persone cosa succede?

    Se non hai intenzione di perdonare i tuoi genitori per aver fatto qualcosa di sbagliato, secondo il tuo metro di giudizio morale, non li perdonare, non credo sia compito di nessun altro dirti quali valori ritenere più importanti e nemmeno consigliarti che sentimenti provare nei confronti di certe persone che ti hanno fatto del male (che siano pure i tuoi genitori). Se hai intenzione di odiare qualcuno perché ti ha fatto qualcosa di male realmente (insomma un qualcosa che non sta nella tua fantasia), hai tutto il diritto di odiarlo, non vedo davvero cosa c'entrino la cura e la guarigione.

    In ogni caso "prendere le distanze" da un certo avvenimento comunque per me rappresenta qualcosa di diverso rispetto al perdonare qualcuno. Il perdone è una modifica del proprio atteggiamento di condanna che si ha nei confronti di un individuo che ci ha feriti o danneggiati in qualche modo. Puoi "prendere le distanze" nei confronti di una violenza che ti è stata inflitta da qualcuno senza per questo dover necessariamente perdonare questa persona.

    In questo posto virtuale, credo però che difficilmente troverai qualche sostenitore, soprattutto perché sono quasi tutti guidati dall'idea che un bambino, in quanto bambino, ha sempre torto, tanto è vero che si usa spesso la metafora della guarigione come un qualcosa che dovrebbe liberare l'individuo da questa o quella visione infantile distruggendola di sana pianta (l'apprezzamento per la favola di pinocchio, presente in un certo post che trattava del libero arbitrio in questa sezione mi sembra, la dice lunga riguardo a questo atteggiamento terapeutico molto diffuso).

    Saluti

  5. #5
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Succede che "la vita è tutta un'interferenza!", come mi rispose una psy di spirito!

  6. #6
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Citazione Originalmente inviato da Char_Lie Visualizza messaggio
    Ma perché se 404inside ne parla anche con altre persone cosa succede?

    Se non hai intenzione di perdonare i tuoi genitori per aver fatto qualcosa di sbagliato, secondo il tuo metro di giudizio morale, non li perdonare, non credo sia compito di nessun altro dirti quali valori ritenere più importanti e nemmeno consigliarti che sentimenti provare nei confronti di certe persone che ti hanno fatto del male (che siano pure i tuoi genitori). Se hai intenzione di odiare qualcuno perché ti ha fatto qualcosa di male realmente (insomma un qualcosa che non sta nella tua fantasia), hai tutto il diritto di odiarlo, non vedo davvero cosa c'entrino la cura e la guarigione.

    In ogni caso "prendere le distanze" da un certo avvenimento comunque per me rappresenta qualcosa di diverso rispetto al perdonare qualcuno. Il perdone è una modifica del proprio atteggiamento di condanna che si ha nei confronti di un individuo che ci ha feriti o danneggiati in qualche modo. Puoi "prendere le distanze" nei confronti di una violenza che ti è stata inflitta da qualcuno senza per questo dover necessariamente perdonare questa persona.

    In questo posto virtuale, credo però che difficilmente troverai qualche sostenitore, soprattutto perché sono quasi tutti guidati dall'idea che un bambino, in quanto bambino, ha sempre torto, tanto è vero che si usa spesso la metafora della guarigione come un qualcosa che dovrebbe liberare l'individuo da questa o quella visione infantile distruggendola di sana pianta (l'apprezzamento per la favola di pinocchio, presente in un certo post che trattava del libero arbitrio in questa sezione mi sembra, la dice lunga riguardo a questo atteggiamento terapeutico molto diffuso).

    Saluti
    Semmai é il contrario: il bambino ha sempre ragione anche quando ha torto, proprio perché é un bambino e come tale, ha dei diritti inviolabili: Alice Miller é un'autrice pasicoanalitica che parla di argomenti molto specifici come il diritto del bambino ad essee creduto in casi di abuso che si cerca di mistificare, facendo anche riferimento allo sconfinamento nella cosiddetta "pedagogia nera" da parte di alcuni.

    Ps: credo la metafora di Pinocchio nell'altro 3d, si rifesse soprattutto ad un "oggetto inanimato"che aspetta e si apetta di" venir deterterminato da altri" rispetto alla possibilità di una persona di divenire capace di "autodeterminarsi", non ad un bambino che ha torto.
    Gaia

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  7. #7
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Citazione Originalmente inviato da RosadiMaggio
    Semmai é il contrario: il bambino ha sempre ragione anche quando ha torto, proprio perché é un bambino e come tale, ha dei diritti inviolabili: Alice Miller é un'autrice pasicoanalitica che parla di argomenti molto specifici come il diritto del bambino ad essee creduto in casi di abuso che si cerca di mistificare, facendo anche riferimento allo sconfinamento nella cosiddetta "pedagogia nera" da parte di alcuni.

    Ps: credo la metafora di Pinocchio nell'altro 3d, si rifesse soprattutto ad un "oggetto inanimato"che aspetta e si apetta di" venir deterterminato da altri" rispetto alla possibilità di una persona di divenire capace di "autodeterminarsi", non ad un bambino che ha torto.
    Forse non ci siamo capiti bene. Io già quando un certo tipo di terapeuti iniziano a parlare di regressione credo che si attuino meccanismi del genere, si assume che certe preferenze e desideri non vadano bene perché appartengono al "mondo infantile", ma l'uscita da questo mondo, da quel che ho potuto osservare, spesso viene generata da una serie di violenze inflitte in svariati modi (e ci si ripara sempre dietro espressioni come "è per il tuo bene") che vengono poi accettate come "naturali" dalla maggior parte degli adulti.
    I riti di iniziazione piuttosto violenti presenti nelle tribù più primitive non sono tanto diversi dalle idee di certi terapeuti riguardo al fatto che il male subito vada accettato come un qualcosa di naturale, che si regredisce quando non si è ben disposti a sopportare qualcosa che a noi non ci sta bene.
    Io personalmente il male lo posso subire là dove non ho il potere di oppormi, che io sia adulto o bambino credo che poco cambi, ma che debba pure convincermi di accettarlo e dirmi che tutto va bene così com'è perché è tutto "naturale" perché "non sono più un bambino" non mi sta bene e perciò mi sento solidale col punto di vista inizialmente espresso da 404inside nel non perdonare, nel non essere ben disposti soprattutto verso chi ci fa o ci ha fatto del male dicendo che che lo fa o lo ha fatto "per il nostro bene". Chi ha resistito e non ha lasciato che l'educazione così inflitta tramite svariate violenze, atti intimidatori e rilelaborazioni varie si impiantasse da qualche parte in pianta stabile, è rimasto una persona "infantile", ed io dico meglio così.
    Pinocchio era molto più simpatico e vicino ai propri interessi e desideri (i propri e non quelli della società in cui viveva o quelli di un genitore) quando era un burattino che quando è divenuto un bambino.

    Saluti
    Ultima modifica di Char_Lie : 28-05-2010 alle ore 15.28.32

  8. #8
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Citazione Originalmente inviato da Char_Lie Visualizza messaggio
    Ma perché se 404inside ne parla anche con altre persone cosa succede?

    Se non hai intenzione di perdonare i tuoi genitori per aver fatto qualcosa di sbagliato, secondo il tuo metro di giudizio morale, non li perdonare, non credo sia compito di nessun altro dirti quali valori ritenere più importanti e nemmeno consigliarti che sentimenti provare nei confronti di certe persone che ti hanno fatto del male (che siano pure i tuoi genitori). Se hai intenzione di odiare qualcuno perché ti ha fatto qualcosa di male realmente (insomma un qualcosa che non sta nella tua fantasia), hai tutto il diritto di odiarlo, non vedo davvero cosa c'entrino la cura e la guarigione.

    In ogni caso "prendere le distanze" da un certo avvenimento comunque per me rappresenta qualcosa di diverso rispetto al perdonare qualcuno. Il perdone è una modifica del proprio atteggiamento di condanna che si ha nei confronti di un individuo che ci ha feriti o danneggiati in qualche modo. Puoi "prendere le distanze" nei confronti di una violenza che ti è stata inflitta da qualcuno senza per questo dover necessariamente perdonare questa persona.

    In questo posto virtuale, credo però che difficilmente troverai qualche sostenitore, soprattutto perché sono quasi tutti guidati dall'idea che un bambino, in quanto bambino, ha sempre torto, tanto è vero che si usa spesso la metafora della guarigione come un qualcosa che dovrebbe liberare l'individuo da questa o quella visione infantile distruggendola di sana pianta (l'apprezzamento per la favola di pinocchio, presente in un certo post che trattava del libero arbitrio in questa sezione mi sembra, la dice lunga riguardo a questo atteggiamento terapeutico molto diffuso).

    Saluti
    Che vuoi dire esattamente con "prendere le distanze" da una persona non perdonabile per una violenza che ti é stata inflitta senza dover necessariamente perdonare questa persona, secondo il tuo metro di giudizio morale e secondo il tuo (personale ed interiore) approccio psicologico all'essere umano ed alle sue azioni?

    E, tra il prendere le distanze ed il non perdonare, che posto occupa il desiderio di vendetta, se lo occupa, secondo te?
    E che posto occupa e/o dovrebbe occupare la persona "non perdonabile"?
    Ultima modifica di RosadiMaggio : 30-05-2010 alle ore 13.33.45
    Gaia

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  9. #9
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Chi ha resistito e non ha lasciato che l'educazione così inflitta tramite svariate violenze, [B]atti intimidatori e rilelaborazioni varie [/B]si impiantasse da qualche parte in pianta stabile, è rimasto una persona "infantile",

    Perché metti insieme gli atti intimidatori con il concetto di rielaborazione?
    L'educazione con la psicoterapia? Perché cerchi di mettere un concetto dentro l'altro, in questo caso? Molto interessante questo tentativo.
    Gaia

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  10. #10
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Char_Lie ti ringrazio di cuore per avermi riconosciuto la "facoltà" di sollevare un interrogativo e ricevere risposte sul forum. Effettivamente ho esitato a lungo nel porre il mio dubbio, temendo di dire cose inopportune e/o in sedi o modi inopportuni.

    Ti ringrazio anche per le tue risposte. Quando scrivi che
    sono quasi tutti guidati dall'idea che un bambino, in quanto bambino, ha sempre torto, tanto è vero che si usa spesso la metafora della guarigione come un qualcosa che dovrebbe liberare l'individuo da questa o quella visione infantile distruggendola di sana pianta
    , ho la sensazione che si tratti effettivamente di "nodo gordiano" nel significato che ciascun terapeuta attribuisce al concetto di guarigione - ossia allo scopo ultimo di una terapia psicologica, e quindi agli strumenti e al tipi di intervento che la caratterizzano.

    Quando sono entrato in analisi non avevo nessuna idea della direzione che avrebbe assunto il lavoro. Oggi non posso certo dire di essere un esperto, ma ripercorrendo la mia esperienza ho la sensazione che il disagio psicologico non sia generato dalla persistenza di idee/sensazioni infantili (incluso naturalmente l'odio, nel caso di esperienze traumatiche), ma dalla loro repressione, prima ad opera del contesto pedagogico (violento), e poi delle "sentinelle" interiori che ci accompagnano anche nell'età adulta.

    Se una terapia punta, sia pure con strumenti infinitamente più raffinati e rispettosi della persona, ad allontanarci ulteriormente da questi sentimenti in nome di una non chiara "adultità", a me sembra che così non faccia altro che istituzionalizzare la scissione e la rimozione che stanno alla base del nostro malessere. Ed en passant riproporre quella precettistica che ci ha fatto perdere il contatto con i nostri sentimenti, impedendoci di accettarli. Ovviamente, come tu scrivi, "a fin di bene".

    Personalmente non credo che si possa star meglio "guardando avanti", ma solo "guardando indietro" per ricucire lo strappo con una realtà non accettata/accettabile, e pertanto vissuta colpevolmente.

    In quanto al perdonare chi ci ha fatto soffrire, non penso sia un male, ma in fondo neanche un bene. E' infinitamente più importante perdonare se stessi.
    Ultima modifica di 404inside : 30-05-2010 alle ore 03.06.07

  11. #11
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    [QUOTE=404inside;2341066]Char_Lie ti ringrazio di cuore per avermi riconosciuto la "facoltà" di sollevare un interrogativo e ricevere risposte sul forum. Effettivamente ho esitato a lungo nel porre il mio dubbio, temendo di dire cose inopportune e/o in sedi o modi inopportuni.

    Ti ringrazio anche per le tue risposte. Quando scrivi che , ho la sensazione che si tratti effettivamente di "nodo gordiano" nel significato che ciascun terapeuta attribuisce al concetto di guarigione - ossia allo scopo ultimo di una terapia psicologica, e quindi agli strumenti e al tipi di intervento che la caratterizzano.

    Quando sono entrato in analisi non avevo nessuna idea della direzione che avrebbe assunto il lavoro. Oggi non posso certo dire di essere un esperto, ma ripercorrendo la mia esperienza ho la sensazione che il disagio psicologico non sia generato dalla persistenza di idee/sensazioni infantili (incluso naturalmente l'odio, nel caso di esperienze traumatiche), ma dalla loro repressione, prima ad opera del contesto pedagogico (violento), e poi delle "sentinelle" interiori che ci accompagnano anche nell'età adulta.

    Se una terapia punta, sia pure con strumenti infinitamente più raffinati e rispettosi della persona, ad allontanarci ulteriormente da questi sentimenti in nome di una non chiara "adultità", a me sembra che così non faccia altro che istituzionalizzare la scissione e la rimozione che stanno alla base del nostro malessere. Ed en passant riproporre quella precettistica che ci ha fatto perdere il contatto con i nostri sentimenti, impedendoci di accettarli. Ovviamente, come tu scrivi, "a fin di bene".

    Personalmente non credo che si possa star meglio "guardando avanti", ma solo "guardando indietro" per ricucire lo strappo con una realtà non accettata/accettabile, e pertanto vissuta colpevolmente.

    In quanto al perdonare chi ci ha fatto soffrire, non penso sia un male, ma in fondo neanche un bene. E' infinitamente più importante perdonare se stessi.[/QUOTE]ri se
    --------------------------------------------------------------------------------
    Ciao, vuoi dire per essersi sentiti in colpa per motivi "impropri" ad es?
    Se tu provi la sensazione che la terapia ti allontani dai tuoi sentimenti repressi favorendo fenomeni di scissione o da te vissuti come tali - non so cosa tu personalmente intenda dire con questo termine- credo sia molto importante che tu ne parli con la tua terapeuta (non perché non possa farlo qui -e neppure gieko penso avesse la minima intenzione di farti sentire inopportuno-) magari dicendole dell'autrice che hai letto e con cui ti sei sentito in sintonia.
    Tieni conto che la Miller, rispetto ad alcuni orientamenti odierni della psicoanalisi (e non solo ) che attribuiscono minore importanza al concetto di trauma (reale) é un'autrice un pò controcorrente.




    ciao
    Ultima modifica di nico : 01-06-2010 alle ore 14.19.56
    Gaia

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  12. #12
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Provo a contribuire alla riflessione, il tema mi tocca personalmente e analiticamente.

    Per prima cosa, una parola sulla “adultità”: se chi ci ha usato violenza, o chi ha abusato di noi quando non avevamo i mezzi per difenderci fosse stato più adulto, forse ciò non sarebbe avvenuto.
    Ovvero, se costui fosse stato in grado di mettere da parte le sue richieste egoiche, di contenerle, di comprenderle e controllarle, di perseguire i suoi desideri a tutti i costi - e costi quel che costi all’altro - noi non saremmo stati vittime.
    Per questo entrare nella dimensione adulta serve.

    Il male e la cattiveria altrui ci ferisce e distrugge quando non siamo in grado di difenderci. Poi, se a distanza di tempo capita che si vada a indagare di nuovo là dentro, la cosa più spaventevole è quanto la ferita che ci è stata inferta sia in grado di mostrarci, nel contempo, la cattiveria che c’è in ognuno di noi. Il nostro potenziale abusatore, il nostro lato violento. E’ questo che a me è apparso più difficile da accettare, soprattutto essendone stata vittima. Riconscere in sè, per chi non ha subito in maniera pesante, questo lato che a tutti ci appartiene, forse è più accettabile, magari perchè non ne conosci concretamente il potenziale distruttore.
    Ma se sai di che cosa si sta parlando, perchè lo hai vissuto sulla tua pelle, risulta sulle prime inammissibile riconoscerlo anche dentro di sé.

    Il sentimento di vendetta per esempio, o il risentimento che ci logora e che inquina il nostro vivere, sono dei sentiti estremamente negativi e distruttivi: verso noi stessi in primo luogo. Ma si ripercuotono in un qualche modo - e inconsciamente - anche sugli altri, e in modo sottile, senza cioè necessariamente andare in giro a perpretare le stesse forme di violenza che si sono subite. Ma il disagio lo si vive comunque e continuamente.
    Forse è questo che ci fa star male ora, più che l’ingiustizia subita al tempo.
    La vita è zeppa di ingiustizie, e anche questo va accettato, nella misura in cui non tutti riuscono ad avere il bene degli altri a cuore quanto il proprio. E il rimanere in una dimensione infantile non aiuta a vedere e vivere l’altro con rispetto e cura, a continuare a mettere se stessi davanti a tutto.

    Non credo sia tanto una questione di perdono, questo almeno il mio punto di vista. Ma di saper riconoscere il male, anche il nostro, e di attrezzarci - attraverso una maggior conoscenza di noi stessi - il più possibile per non infliggerlo agli altri e ai noi. Il risentimento o il desiderio di vendetta, il rimuginare all’infinito su ciò che abbiamo subito, lo stare con la testa perennemente rivolta al passato (e dunque anche alla dimensione infantile), il congelarci anche in un alibi infinito che spesso il male subito finisce per innescare, è proprio la vera manifestazione della violenza che ci è stata inflitta, cioè il non riuscire a venire fuori da quella dimensione dell’infanzia violata e nella quale non si avevano i mezzi psicologici per affrontarla.
    A differenza dell’eta adulta.
    E condannandoci, così, ad un’eterna forma di violenza che ora ci autoinfliggiamo, però. Spezzare la catena, ognuno con i suoi modi (per alcuni forse anche il perdono) è un atto di libertà.

    Ed è a questa libertà che l’analista, il tuo ma anche il mio, lavora. Non all’imposizione (Charlie, siamo alle solite...) di buoni sentimenti modello mulino bianco. Forse, il tuo analista ha messo nell’elenco anche il perdono come una delle possibilità. Niente di più.
    Non sono padri eterni, sono solo analisti, e magari non hanno subito le nostre stesse ferite. Potrebbero, attraverso di noi, scoprire anche qualcosa di nuovo, non trovi?

    Giulietta.O

  13. #13
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Desidero ringraziare tutti per i bellissimi contributi. Giulietta sei stata chiarissima e certo, non può esserci dubbio che i sentimenti di risentimento per il dolore inflitto al bambino innocente siano inquinanti e persecutori. E quindi anche forieri di "vendette trasversali" o in effigie.

    Anche io mi immagino il benessere come lo spegnimento di questo incendio rancoroso che ci blocca e ci distrugge da dentro Ma aggiungo: perché non può uscire!

    Pur concordando sull'obiettivo, il punto che trovo torbido e pericoloso (e char_lie mi sembra avere colto perfettamente) è l'idea di andare direttamente all'attacco della negatività "infantile". Trovo che sia una battaglia persa in partenza se:

    1) non se ne riconosce appieno la legittima genesi (con tutto il tempo, l'empatia e il coraggio che questo comporta - perché è vero: il male ci fa paura anche perché lo riconosciamo in noi stessi)
    2) (corollario di sopra) non si fanno i conti con il vero problema, cioé la repressione dell'odio accumulato (il nostro rifiuto, in buona misura indotto e incoraggiato dall'esterno, di riconoscerlo come una parte sana e normale di noi - altro che infantile). Sono convinto che TUTTI gli analisti conoscono perfettamente il problema, ma nella foga di passare alla pars costruens quacuno potrebbe non considerarne appieno la forza tirannica.

    Se non si arriva a rendere giustizia all'odio, immergendosi nei drammi che lo hanno necessariamente generato e alimentato, questo continuerà a scottare come un fuoco sotto le ceneri dei propositi saggi e adulti di cui scrivi, trasformandoli in un coperchio con cui si vorrebbero soffocare sentimenti veri e reali.

    Alla fine è vero ciò che dice char_lie: tutto diventa un'operazione pedagogica e di imposizione. Esattamente uguale, nei suoi effetti, all'educazione che ci imponeva di soffocare il nostro risentimento in passato: allora perché "lo facciamo per il tuo bene", oggi perché "bisogna essere adulti e lasciare andare il passato doloroso e i sentimenti che ci logorano e che inquinano il nostro vivere" ecc. ecc. Cambiano gli operatori ma il risultato non cambia: DEVI smetterla di odiare, altrimenti... peggio per te! E se, con complicati equilibrismi teoretici, riuscissimo a convincerci che invece la proposta terapeutica è "ben altro", allora, per dirla appunto con la Miller, "der Körper versteht diese Moral überhaupt nicht" (il corpo non capisce assolutamente questa morale) e si mette in moto la scissione/rivolta interiore (die Revolte des Körpers), che, temo, alcuni analisti sono sempre pronti a catalogare come "resistenza al cambiamento".

    In fondo però non credo di pensarla diversamente da Giulietta. Il male che ci spaventa è quello che abbiamo dentro (ma non infantile: umano e basta), più di quello che subiamo. L'emergenza, ancora una volta, è perdonare se stessi.
    Ultima modifica di 404inside : 30-05-2010 alle ore 15.10.35

  14. #14
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    E se uno si porta dietro un "profondissimo" senso di colpa, come fa?

    Se lo tiene.
    Ultima modifica di complicata : 30-05-2010 alle ore 15.33.01

  15. #15
    benedetta14
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    Riferimento: A. Miller e il perdono in analisi

    Io credo che non ci sia un "odio da far fluire", ma ci sia un "tu da capire".
    Se pensi che un analista adotti una tecnica o un pensiero, approccio o quant'altro riguardo al perdono invece di una/uno "alla Miller", stai cercando qualcuno che ti faccia "indossare" una teoria che a te possa piacere, invece di qualcuno che provi a capire quello che sei.
    Per questo trovo giusto il consiglio di quanti dicono di parlarne col terapeuta: sei tu l'"oggetto" di analisi, non la teorizzazione più valida sull'elaborazione dei traumi da applicare a chi soffre.

    Solo un'opinione di una non addetta ai lavori.

    Saluti
    Ultima modifica di benedetta14 : 30-05-2010 alle ore 18.01.24

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