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Discussione: falsi miti

  1. #61
    Partecipante Veramente Figo L'avatar di luigi '84
    Data registrazione
    25-03-2008
    Residenza
    Lecce
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    1,011

    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da _daimon_ Visualizza messaggio
    Tra l'altro mi sembra che le posizioni psicoanalitiche, data la parcellizzazione di orientamenti interni, sono così variegate che si possono tirare fuori dal cappello gli argomenti che più fanno comodo alla discussione.
    Sia' mica fessi!! (americani si, fessi no!)

    Saluti,
    Luigi

  2. #62
    benedetta14
    Ospite non registrato

    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da _daimon_ Visualizza messaggio
    Tra l'altro mi sembra che le posizioni psicoanalitiche, data la parcellizzazione di orientamenti interni, sono così variegate che si possono tirare fuori dal cappello gli argomenti che più fanno comodo alla discussione.
    Vedi anche l'articolo La psicoanalisi e la ricerca empirica
    Char_Lie,
    che tu abbia trovato chi può essere in linea con te e rispondere alle tue domande?


    Citazione Originalmente inviato da Megiston Matema Visualizza messaggio
    Dr. Megiston Matema
    Intendente degli Edifici del Tempio e del Tabernacolo, Grande Scozzese del Real Arco di Salomone e della Sacra Volta, Principe del Sole e Gran Pontefice della Gerusalemme Celeste, Venerabile Gran Maestro di Rosa-Croce e di Tutte le Logge, Patriarca Noachita, Cavaliere dell’Ascia Reale o Principe del Libano, Cavaliere di Sant’Andrea di Scozia o Gran Maestro della Luce, Cavaliere Prussiano Grand’Eletto Kadosh e Cavaliere dell’Aquila e del Pellicano, Gran Fico di Ops
    Caro Megiston,
    in firma ti stai fregiando di un titolo che non ti appartiene!!! Non so come dirtelo, ma cerca di accettare il fatto che ancora non sei "Gran fico di Ops"...dovrai postare ancora un migliaio di interventi prima di aspirare ad un riconoscimento di tal genere....su su su che anche essere un "Partecipante esperto" è decoroso!

  3. #63
    Partecipante Leggendario L'avatar di gieko
    Data registrazione
    28-03-2004
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    Milano
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    2,312

    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da _daimon_ Visualizza messaggio
    Tra l'altro le critiche alla natura effimera del cambiamento prodotto dalle terapie brevi è una argomentazione degli psicoanalisti, tutta da dimostrare. Ma come fanno se non prevedono neanche la possibilità o delle modalità con cui si possano verificare empiricamente i loro risultati?
    Citazione Originalmente inviato da _daimon_ Visualizza messaggio
    Non mi riferivo al fatto che non esistano ricerche empiriche, ma al dibattito interno alla psicoanalisi sulla rilevanza e la possibilità di aprirsi alla verifica empirica, attraverso cui valutarne i risultati, esortazione riportata anche dall'autore dell'articolo citato da Megiston Matema.
    Da quanto hai scritto precedentemente non si direbbe proprio...
    gieko

  4. #64
    Megiston Matema
    Ospite non registrato

    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da benedetta14 Visualizza messaggio
    Caro Megiston,
    in firma ti stai fregiando di un titolo che non ti appartiene!!! Non so come dirtelo, ma cerca di accettare il fatto che ancora non sei "Gran fico di Ops"...dovrai postare ancora un migliaio di interventi prima di aspirare ad un riconoscimento di tal genere....su su su che anche essere un "Partecipante esperto" è decoroso!
    Cara Benedetta,
    ti sbagli clamorosamente, controlla meglio; un di’ alcuni giorni or sono mi addormentai “seguendo i ritmi del cuore” partecipante esperto e mi svegliai gran fico; ne vado molto orgoglioso, tanto che dopo quel conseguimento ho chiesto e ottenuto di essere appellato “Sua Grazia, “Sua Sublimità”, “Sua Immensità”. Ho appeso il diploma sulle pareti dello studio, fra il nastrino della prima comunione e la medaglietta della cresima, appena sotto il certificato di battesimo; il nuovo titolo è scritto in tutte le lingue: Big Fig; Ficus Magnus; Grand Figue ; Higo Grandes; Große Figur; μεγάλη εικόνα; ص. بالغ, راشد أ. تين, شجرة التين; 無花果級.
    Poi, ti faccio notare, stai contestando l’unico titolo autentico, mentre su tutto il resto (tabernacoli, templi, kilt scozzese, asce, cedri del Libano, aquile e pellicani) non hai battuto ciglio; vuol dire che sei disposta a riconoscermi come “Venerabile”, “Patriarca” e Gran Pontefice”, mentre rifiuti di attribuirmi la somiglianza ad un frutto della tarda estate?
    Solo due parole riguardo a questa firma: di recente ho letto curricula di alcuni colleghi ancora più pomposi e prosopopaici di questo e altrettanto (se non di più) inconsistenti); spesso dietro titoli altisonanti, imprese mirabolanti, e immagini magnifiche si celano piccoli omini spaventati, allora ho sfoderato (spero si sia colta l’ironia) il mio narcisismo in doppio petto delle grandi occasioni.
    Ciao.
    P.S. Appena posso risponderò alla tua precedente domanda.
    Ultima modifica di Megiston Matema : 01-05-2010 alle ore 14.09.44

  5. #65
    Banned
    Data registrazione
    21-03-2008
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    Salerno
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    1,546

    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da benedetta 14
    Char_Lie,
    che tu abbia trovato chi può essere in linea con te e rispondere alle tue domande?
    Purtroppo credo che abbiamo tutti domande da fare, quel che manca spesso è la capacità di costruire risposte adeguate, per far questo qualcosa bisogna conoscerla al di là dei “forse”.
    Non so se hai visto anche tu un film semispassoso "A Serious Man" in cui un uomo (un ebreo americano) si trova alle prese con una serie di guai esistenziali, di carriera, familiari, economici davvero complicati da gestire, tutto gli casca sulla testa all'improvviso e così segue il consiglio di alcuni amici e si reca da alcuni rabbini. Uno di questi, mi sembra il secondo al quale si rivolge, dietro una tazza di te nella quale intinge un filtro e di fronte alla domanda di Larry (il protagonista del film) "Forse tutto quello che mi sta capitando rappresenta un messaggio di hashem (Dio), ma io non so cosa fare, cosa sta cercando di dirmi con tutto questo?" l'uomo, il rabbino, allora sorridendo cordialmente gli dice "Ah, bella domanda, come comunica Dio?", così il rabbino inizia a raccontargli una storia di un tale, un dentista che un giorno trova incise delle lettere dietro ognuno dei denti dell'arcata inferiore di un suo paziente non ebreo, lettere che lette insieme alla rovescia in ebraico formano la parola "aiutami". Il dentista ebreo inizia a fare diverse ipotesi, riguardo a questo misterioso messaggio da interpretare, che lui suppone sia di natura divina, e così associa anche alle lettere ebraiche, secondo la tradizione cabalistica, delle cifre numeriche credendo che fosse un numero di telefono scoprendo che è di un super market, si reca così lì in attesa di qualcosa, un segno, ma non succede nulla, il dentista continua a fare ipotesi varie ma senza riuscire mai trovare conferme plausibili, il dentista ossessionato da questa ricerca infruttuosa non riuscendo più a mangiare serenamente e nemmeno a dormire si rivolge allo stesso rabbino al quale si è rivolto il protagonista ponendo più o meno la stessa domanda e cioè "E' un messaggio di hashem (Dio)? Ma se è così cosa sta cercando di dirmi? Vuol dirmi che devo aiutare i non ebrei o che devo aiutare tutti gli altri? La risposta è nella Cabala, nella Torah?".
    A questo punto il rabbino smette di raccontare la storia e continua a sorseggiare il te restando in silenzio sorridendo a Larry.
    Larry, perplesso allora gli domanda "Quindi... Allora? Lei cosa gli ha risposto?"... Il rabbino sempre sorseggiando il te "E' importante?", e l'altro un po' irritato "Ma non è per questo che me l'ha raccontato!???", il rabbino allora dice "Va bene te lo dico, gli ho detto più o meno questo: Tu vuoi sapere se quella parola è un messaggio di Dio… Forse, non sappiamo... Vuosi sapere se significa aiutare gli altri… Non sappiamo, comunque aiutare gli altri non fa danno"... “Ecco gli ho detto questo”… Allora Larry sempre più perplesso ed irritato domanda ancora "Ma chi ce l'ha messo lì quel messaggio, era per il dentista o per altri?" ed il rabbino "Chissà, noi non possiamo sapere tutto", Larry allora "Ma pare che lei non sappia niente! Perché raccontarmi questa storia!? A cosa serve?"... Allora il rabbino un po' in difficoltà "Bah, prima devo raccontartela, poi non devo, io non so"... Larry vedendo che non riesce ad ottenere alcuna risposta allora gli chiede "Che fine ha fatto il dentista?" ed il rabbino "Beh, dopo un po' il dentista non ci ha pensato più al messaggio, ed è tornato alla vita... Vedi Larry queste domande che ti turbano sono come il mal di denti, le senti per un po' e poi spariscono", allora Larry insiste "Ma io non voglio che spariscano così, io voglio una risposta!"…

    Io sono un rompiscatole in tal senso, penso che rispetto a certe domande o si hanno delle risposte o non le si hanno, risposte come “non possiamo sapere tutto” non vogliono dire nulla e servono sempre per nascondere la propria ignoranza spacciandola per saggezza rispetto a certi dilemmi posti.
    Se non conosco qualcosa io dico semplicemente “non lo so” senza aggiungere “non possiamo sapere tutto”, “è complesso” e così via, per giustificarmi, riguardo a quella tal cosa io non possiedo soluzioni o risposte per ora, punto.

    Ringrazio comunque _daimon_ per il testo citato, non l’avevo mai letto: ci sono delle riflessioni simili a quelle che avevo proposto qualche post fa.

    “i dati clinici offrono un fertile terreno per la costruzione di una teoria ma non sono utilizzabili per distinguere fra teorie buone e meno buone. La proliferazione delle teorie cliniche attualmente in uso costituisce la miglior dimostrazione del fatto che i dati clinici sono più utili per generare teorie e ipotesi che per validarle.”

    Saluti
    Ultima modifica di Char_Lie : 01-05-2010 alle ore 16.54.26

  6. #66
    benedetta14
    Ospite non registrato

    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da Char_Lie Visualizza messaggio
    Purtroppo credo che abbiamo tutti domande da fare, quel che manca spesso è la capacità di costruire risposte adeguate, per far questo qualcosa bisogna conoscerla al di là dei “forse”.
    Ciao Char_Lie,
    ti avevo segnalato la risposta di daimon perché in un altro post tu dicevi di essere alla ricerca di risposte e mi sembrava potesse aiutarti ad averne. Continuare invece a ripetere che qualcuno non può darne a me sembra più un voler fare ammettere il “non lo so” da parte chi, per qualche motivo particolare, vogliamo lo ammetta, più che cercare risposte.

    Citazione Originalmente inviato da Char_Lie Visualizza messaggio
    .
    Mi chiedo se a monte non ci sia proprio una specie di difficoltà di fondo insita in tipologie psicologiche poco affini riguardo a queste tematiche, nel senso che persone come me vorrebbero disporre di prove abbastanza rigorose, di analisi formali migliori per poter dire e verificare qualcosa in modo sensato, mentre per altri dover sottoporre "una specie di arte" al setaccio di strumenti di misura (quantitativi e qualitativi) e quant'altro rappresenta quasi una violenza che snatura l'arte stessa.



    penso che rispetto a certe domande o si hanno delle risposte o non le si hanno, risposte come “non possiamo sapere tutto” non vogliono dire nulla e servono sempre per nascondere la propria ignoranza spacciandola per saggezza rispetto a certi dilemmi posti.
    Se non conosco qualcosa io dico semplicemente “non lo so” senza aggiungere “non possiamo sapere tutto”, “è complesso” e così via, per giustificarmi, riguardo a quella tal cosa io non possiedo soluzioni o risposte per ora, punto.
    Cosa cambia? Leggere “non lo so” oppure "non lo so, non possiamo sapere tutto" equivale comunque a non avere risposte da quella fonte.
    Cosa cerchi in realtà? La dialettica accresce, ma l’eristica sfianca!

    Naturalmente è un mio pensiero e tu sei libero di far tutte le domande a chi vuoi (e su molte sono pure d’accordo con te); mi spiace solo non esserti stata d’aiuto nell’indicarti una possibile fonte da cui attingere informazioni.

    Saluti


    P.S.: il film non l’ho visto, ma ormai mi hai incuriosito e prossimamente mi attiverò.

  7. #67
    benedetta14
    Ospite non registrato

    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da Megiston Matema Visualizza messaggio
    Cara Benedetta,
    ti sbagli clamorosamente, controlla meglio; un di’ alcuni giorni or sono mi addormentai “seguendo i ritmi del cuore” partecipante esperto e mi svegliai gran fico
    stai ancora sognando
    ne vado molto orgoglioso, tanto che dopo quel conseguimento ho chiesto e ottenuto di essere appellato “Sua Grazia, “Sua Sublimità”, “Sua Immensità”.
    troppa roba, mi fa fatica....se ti appello "Sua" ti basta?
    Poi, ti faccio notare, stai contestando l’unico titolo autentico, mentre su tutto il resto (tabernacoli, templi, kilt scozzese, asce, cedri del Libano, aquile e pellicani) non hai battuto ciglio
    vedo che hai notato
    Appena posso risponderò alla tua precedente domanda.
    Attendo con ansia

    Saluti,
    Ultima modifica di benedetta14 : 01-05-2010 alle ore 18.46.48 Motivo: mancavano i saluti e l'emote :-)

  8. #68
    Megiston Matema
    Ospite non registrato

    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da benedetta14 Visualizza messaggio
    stai ancora sognando
    Saluti,
    « Qué es la vida? Una ilusión, /una sombra, una ficción;/ y el mayor bien es pequeño,/que toda la vida es sueño, /y los sueños, sueños son ». Calderón de la Barca.

    A Benedé, può darsi che tu abbia trovato lavoro alle Poste e che ti abbiano messa allo sportello "telegrammi", ma il 1° maggio prenditi un po' di riposo: puoi pure scrivere in una prosa più distesa, qui su Ops non paghi per ogni parola (se no io avrei già dovuto fare un mutuo)
    Ultima modifica di Megiston Matema : 01-05-2010 alle ore 18.56.54

  9. #69
    Megiston Matema
    Ospite non registrato

    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da Char_Lie Visualizza messaggio
    Purtroppo credo che abbiamo tutti domande da fare, quel che manca spesso è la capacità di costruire risposte adeguate, per far questo qualcosa bisogna conoscerla al di là dei “forse”.
    Non so se hai visto anche tu un film semispassoso "A Serious Man" in cui un uomo (un ebreo americano) si trova alle prese con una serie di guai esistenziali, di carriera, familiari, economici davvero complicati da gestire, tutto gli casca sulla testa all'improvviso e così segue il consiglio di alcuni amici e si reca da alcuni rabbini. Uno di questi, mi sembra il secondo al quale si rivolge, dietro una tazza di te nella quale intinge un filtro e di fronte alla domanda di Larry (il protagonista del film) "Forse tutto quello che mi sta capitando rappresenta un messaggio di hashem (Dio), ma io non so cosa fare, cosa sta cercando di dirmi con tutto questo?" l'uomo, il rabbino, allora sorridendo cordialmente gli dice "Ah, bella domanda, come comunica Dio?", così il rabbino inizia a raccontargli una storia di un tale, un dentista che un giorno trova incise delle lettere dietro ognuno dei denti dell'arcata inferiore di un suo paziente non ebreo, lettere che lette insieme alla rovescia in ebraico formano la parola "aiutami". Il dentista ebreo inizia a fare diverse ipotesi, riguardo a questo misterioso messaggio da interpretare, che lui suppone sia di natura divina, e così associa anche alle lettere ebraiche, secondo la tradizione cabalistica, delle cifre numeriche credendo che fosse un numero di telefono scoprendo che è di un super market, si reca così lì in attesa di qualcosa, un segno, ma non succede nulla, il dentista continua a fare ipotesi varie ma senza riuscire mai trovare conferme plausibili, il dentista ossessionato da questa ricerca infruttuosa non riuscendo più a mangiare serenamente e nemmeno a dormire si rivolge allo stesso rabbino al quale si è rivolto il protagonista ponendo più o meno la stessa domanda e cioè "E' un messaggio di hashem (Dio)? Ma se è così cosa sta cercando di dirmi? Vuol dirmi che devo aiutare i non ebrei o che devo aiutare tutti gli altri? La risposta è nella Cabala, nella Torah?".
    A questo punto il rabbino smette di raccontare la storia e continua a sorseggiare il te restando in silenzio sorridendo a Larry.
    Larry, perplesso allora gli domanda "Quindi... Allora? Lei cosa gli ha risposto?"... Il rabbino sempre sorseggiando il te "E' importante?", e l'altro un po' irritato "Ma non è per questo che me l'ha raccontato!???", il rabbino allora dice "Va bene te lo dico, gli ho detto più o meno questo: Tu vuoi sapere se quella parola è un messaggio di Dio… Forse, non sappiamo... Vuosi sapere se significa aiutare gli altri… Non sappiamo, comunque aiutare gli altri non fa danno"... “Ecco gli ho detto questo”… Allora Larry sempre più perplesso ed irritato domanda ancora "Ma chi ce l'ha messo lì quel messaggio, era per il dentista o per altri?" ed il rabbino "Chissà, noi non possiamo sapere tutto", Larry allora "Ma pare che lei non sappia niente! Perché raccontarmi questa storia!? A cosa serve?"... Allora il rabbino un po' in difficoltà "Bah, prima devo raccontartela, poi non devo, io non so"... Larry vedendo che non riesce ad ottenere alcuna risposta allora gli chiede "Che fine ha fatto il dentista?" ed il rabbino "Beh, dopo un po' il dentista non ci ha pensato più al messaggio, ed è tornato alla vita... Vedi Larry queste domande che ti turbano sono come il mal di denti, le senti per un po' e poi spariscono", allora Larry insiste "Ma io non voglio che spariscano così, io voglio una risposta!"…

    Io sono un rompiscatole in tal senso, penso che rispetto a certe domande o si hanno delle risposte o non le si hanno, risposte come “non possiamo sapere tutto” non vogliono dire nulla e servono sempre per nascondere la propria ignoranza spacciandola per saggezza rispetto a certi dilemmi posti.
    Se non conosco qualcosa io dico semplicemente “non lo so” senza aggiungere “non possiamo sapere tutto”, “è complesso” e così via, per giustificarmi, riguardo a quella tal cosa io non possiedo soluzioni o risposte per ora, punto.

    Ringrazio comunque _daimon_ per il testo citato, non l’avevo mai letto: ci sono delle riflessioni simili a quelle che avevo proposto qualche post fa.

    “i dati clinici offrono un fertile terreno per la costruzione di una teoria ma non sono utilizzabili per distinguere fra teorie buone e meno buone. La proliferazione delle teorie cliniche attualmente in uso costituisce la miglior dimostrazione del fatto che i dati clinici sono più utili per generare teorie e ipotesi che per validarle.”

    Saluti
    Caro Charlie,
    leggendoti mi viene in mente Lacan col suo “soggetto supposto sapere”, secondo cui il paziente non fa all’analista soltanto una richiesta terapeutica, ma anche (e soprattutto) una domanda di significato; in particolare vuole conoscere chi è lui, qual’è il senso della sua esistenza e quale il suo compito in questa vita. La domanda viene posta ai propri genitori, a qualche guru esoterico, all’analista, alla scienza, alla filosofia, all’ascetismo, alle religioni costituite e persino a qualche truffatore e imbonitore. Esistono supermercati di identità, boutiques di soggettività dove ciascuno può provare e indossare la propria maschera prêt-à-porter, ti rifilano automobili, televisori al plasma, computer, viaggi a Dubai (andòvai?), crociere nel mar Egeo, enciclopedie Treccani solo facendo leva sulla domanda di identità che viene riempita da tutte queste cose, che non sono mai soddisfacenti, mai risolutive e devi passare dalla Golf GTD alla Porsche, da Jesolo Beach a Sharm el-Sheikh, dal video LCD a quello al plasma e da quello al plasma quello a globuli rossi.
    Per questo il povero Jacques diceva che non c’è “rapporto sessuale”, perché il “rapporto” non riempirà mai il vuoto (“...che mai non empie la bramosa voglia, e dopo 'l pasto ha più fame che pria”, Dante, Inf. I, vv. 98-99) di significato.
    Poi, mi fai venire in mente Corrado Guzzanti quando faceva il “maestro” di Quelo e diceva: “La risposta è dentro di te, e però è sbagliata!”.
    Comincio a credere che Lacan e Guzzanti abbiano ragione; in ogni caso: “C’è grossa crisi”
    Un saluto.

    YouTube - Quelo the best!
    Ultima modifica di Megiston Matema : 01-05-2010 alle ore 19.51.54

  10. #70
    Banned
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    Riferimento: falsi miti

    Megiston Matema e Benedetta non rispondo ai vostri commenti se no parlo di nuovo di me e così vado fuori tema, avevo anche scritto la risposta ma ho pensato di non postarla perché vengo accusato di convogliare troppo l'attenzione su di me, e chi mi accusa di questo ha pure ragione .
    Comunque il testo postato all'inizio ribadisco che io l'ho trovato interessante, l'autore poi ha detto anche chiaramente che certe psicoterapie vengono testate riguardo all'efficacia per certi disturbi perciò non è detto che una tecnica che non funziona per far qualcosa non funzioni necessariamente per ogni disturbo.

    Saluti

  11. #71
    Partecipante Assiduo
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    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da Megiston Matema Visualizza messaggio
    ... se le condizioni di partenza del soggetto che chiede una terapia sono “complesse”, non vedo perché debbano essere “semplici” quelle di arrivo in fine analisi. Complesso è il soggetto, complessa la relazione che si instaura col terapeuta, complesso il processo analitico, complesso ciò che avviene ...
    La ricerca sui risultati forse viene svalutata perchè si ritiene che gli obiettivi che si prefiggono i vari orientamenti siano più importanti della soddisfazione del cliente verso gli interventi ricevuti, questo perchè, per qualche strano motivo, si è diffuso il convincimento che quello che pensa il cliente non abbia significato, o forse perchè si confonde soddisfazione con mercificazione.
    Una ricerca sui risultati basata sul grado di soddisfazione dell'utenza non dovrebbe essere particolarmente complessa.

    Con questo non sono contro la ricerca sul processo, anzi, specialmente se questa può servire a dare uno status scientifico alla psicoterapia, tutelando così maggiormente l'utenza.

    perché dovrei pensare ad uno strumento semplice come un impianto sperimentale che adotta la linearità causale per cogliere i risultati di tutto questo? Perché dovrei affidarmi a degli indicatori quantitativi,
    Ma ritieni che le attuali ricerche empiriche sul processo possano dimostrare l'adeguatezza di una terapia o, a maggior ragione, di una analisi?

    alla semplice osservazione (standardizzata) di ciò che “Io” penso essere un beneficio per il paziente e di ciò che il paziente riferisce essere un beneficio per lui?
    Ma se ciò che il paziente riferisce, riguardo ai benefici che sperimenta, ha poco valore e non ha nemmeno valore l'osservazione del terapeuta, quale sarà il criterio attraverso cui valutare il termine di una terapia?

    Perché limitarmi a come è andata a finire e non al perché è andata a finire così?
    Il "perchè" mi sembra sia stato bandito dalla scienza, ormai non si studia il "come" avviene un processo (anche se è caotico)?

    Credo che con la semplice ricerca causale o correlazionale si perda molto di un intervento lungo e delicato come una psicoanalisi che, ripeto, è un’esperienza conoscitiva che rende superfluo il sintomo nella fase finale e non una psicoterapia che mira principalmente ad eliminare il sintomo.
    Il processo del cambiamento, anche per la sostituzione di un sintomo, è complesso in sè, a prescindere dall'orientamento. Non è una tecnica a determinare il cambiamento, ma il modo in cui il soggetto impara, magari attraverso il filtro di una tecnica, a dare nuovi significati alle sue esperienze e a reagirvi diversamente.

    Poi, per finire, intendiamoci, io non “critico” nessuno né le terapie brevi né altro, a me interessa capire, in particolare vorrei comprendere cosa fa una terapia breve, con quale scopo e come pensa di ottenerlo.
    Per il resto, mi sembra che la psicoanalisi e le psicoterapie dinamiche siano fondamentalmente orientate verso l’autoconsapevolezza profonda del soggetto non a renderlo più adattivo modificando il sintomo, l’ideazione, l’emotività e le sue dinamiche relazionali. Non parlo di “natura effimera del cambiamento”, ma semplicemente dico che il loro obiettivo è diverso dal mio. Sarebbe un grave errore pensare, come si sta facendo in questo thread, che facciamo la stessa cosa, che raggiungiamo lo stesso obiettivo, un ipotetico “cambiamento” o “miglioramento”, se cerchiamo di definire meglio l’obiettivo che si pone ciascuna teoria appare chiaro che si tratta in realtà di cose molto diverse.
    Tu non critichi esplicitamente, ma la psicoanalisi squalifica il cambiamento prodotto dalla maggior parte degli altri orientamenti.

    Per il resto, più che l'obiettivo che prescrive l'orientamento del terapeuta, penso sia più rilevante capire il problema che sperimenta il cliente, considerato come persona nella sua unicità, e permettergli di superarlo.
    E se per superarlo qualcuno ritiene che sia necessario un lungo scavo verso una profonda conoscenza e autoconsapevolezza, è una sua scelta determinata da un sistema di convinzioni (o teoria, come la vogliate chiamare).

  12. #72
    Partecipante Leggendario L'avatar di gieko
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    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da _daimon_ Visualizza messaggio
    Tu non critichi esplicitamente, ma la psicoanalisi squalifica il cambiamento prodotto dalla maggior parte degli altri orientamenti.
    Inizio col dire la mia, sicuro che Megiston esporrà il suo punto di vista.
    Questo mi sembra che sia un falso problema, che peraltro spiega molti degli atteggiamenti antipsicoanalitici. La psicoanalisi tuttavia non squalifica (semmai pare diffuso l'atteggiamento contrario, come qui si è ampiamente mostrato), piuttosto porta degli argomenti soprattutto di natura clinica (!) a sostegno delle proprie posizioni. Non c'è che da confrontarsi sul terreno della pratica e della teoria. Tanto è vero che il dialogo a questo livello è presente con orientamenti anche molto distanti, e non mi sembra proprio che si situi a livello di demolizione dell'avversario. Questo è più un problema personale che non altro...

    Citazione Originalmente inviato da _daimon_ Visualizza messaggio
    Per il resto, più che l'obiettivo che prescrive l'orientamento del terapeuta, penso sia più rilevante capire il problema che sperimenta il cliente, considerato come persona nella sua unicità, e permettergli di superarlo.
    Credo che nessuno abbia da ridire su questo punto. Il problema è che non risulta per nulla semplice come prospetti, stabilire se la persona ha veramente superato le proprie problematiche. Processi di "pseudo-guarigione", spostamenti sintomatici, situazioni di temporaneo compenso, creazione di nuove forme di dipendenza, sono di comune osservazione clinica. E sono tutte situazioni in cui i pazienti dicono di stare bene. Alcuni interromperebbero il lavoro e nessuno lo impedisce, altri invece colgono nuove sfumature e strade percorribili e continuano. Magari dopo anni dicono pure "se avessi interrotto all'epoca non avrei risolto granchè...".
    L'unicità delle problematiche non va confusa con il fatto che alle prime avvisaglie di risoluzione sintomatica sia tutto risolto.

    Saluti
    gieko

  13. #73
    Megiston Matema
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    Riferimento: falsi miti

    Citazione Originalmente inviato da _daimon_ Visualizza messaggio
    La ricerca sui risultati forse viene svalutata perchè si ritiene che gli obiettivi che si prefiggono i vari orientamenti siano più importanti della soddisfazione del cliente verso gli interventi ricevuti, questo perchè, per qualche strano motivo, si è diffuso il convincimento che quello che pensa il cliente non abbia significato, o forse perchè si confonde soddisfazione con mercificazione.
    Una ricerca sui risultati basata sul grado di soddisfazione dell'utenza non dovrebbe essere particolarmente complessa.

    Con questo non sono contro la ricerca sul processo, anzi, specialmente se questa può servire a dare uno status scientifico alla psicoterapia, tutelando così maggiormente l'utenza.

    Ma ritieni che le attuali ricerche empiriche sul processo possano dimostrare l'adeguatezza di una terapia o, a maggior ragione, di una analisi?

    Ma se ciò che il paziente riferisce, riguardo ai benefici che sperimenta, ha poco valore e non ha nemmeno valore l'osservazione del terapeuta, quale sarà il criterio attraverso cui valutare il termine di una terapia?

    Il "perchè" mi sembra sia stato bandito dalla scienza, ormai non si studia il "come" avviene un processo (anche se è caotico)?

    Il processo del cambiamento, anche per la sostituzione di un sintomo, è complesso in sè, a prescindere dall'orientamento. Non è una tecnica a determinare il cambiamento, ma il modo in cui il soggetto impara, magari attraverso il filtro di una tecnica, a dare nuovi significati alle sue esperienze e a reagirvi diversamente.

    Tu non critichi esplicitamente, ma la psicoanalisi squalifica il cambiamento prodotto dalla maggior parte degli altri orientamenti.

    Per il resto, più che l'obiettivo che prescrive l'orientamento del terapeuta, penso sia più rilevante capire il problema che sperimenta il cliente, considerato come persona nella sua unicità, e permettergli di superarlo.
    E se per superarlo qualcuno ritiene che sia necessario un lungo scavo verso una profonda conoscenza e autoconsapevolezza, è una sua scelta determinata da un sistema di convinzioni (o teoria, come la vogliate chiamare).
    Penso di essere in accordo con quanto ti ha risposto Gieko. Non credo ci sia alcuna sottovalutazione della “soddisfazione” del “cliente”, anzi tengo in così grande considerazione la sua risposta che non mi accontento di una risposta parziale. Vedo di spiegarmi meglio: se una persona che è violenta con la moglie, con i figli , con i vicini e a cui capita di creare pretesti per una rissa, si rivolge ad una terapia e questa terapia fa in modo che questo individuo non sia più violento, questo è un successo terapeutico senza alcun dubbio. Può darsi che questo successo sia limitato nel tempo, come è possibile che sia duraturo; potrei considerarmi soddisfatto di aver risolto il problema e di sapere come ciò è avvenuto (ho applicato delle tecniche standardizzate di provata efficacia e queste hanno funzionato).
    E invece io sono molto curioso e mi chiedo perché* [*Sulla ricerca del “perché” sono di parere avverso al tuo, la concezione scientifica positivista (e neo-positivista) guardava con sospetto la ricerca del perché, considerandola prossima ad un finalismo e ad un teleologismo estraneo a ciò che si intendeva per scienza rigorosa, in cui tutto era legato da precisi nessi causali linerari e tutto aveva un senso. La scienza che sui ispira al paradigma costruttivista non teme di misurarsi con la ricerca del “perché”, sapere perché una terapia ha funzionato è altrettanto importante del sapere il “quanto” e il “come”. Solo chiedersi perché una terapia ha funzionato ci permette di interrogarci a fondo su quali sono stati i suoi “fattori terapeutici”, quale il “processo”) seguito e di trarne insegnamento per i futuri percorsi] ciò ha funzionato e dove è andata a finire tutta l’aggressività di questa persona? Perché per me l’aggressività non è soltanto un comportamento manifesto, se uno picchia è aggressivo altrimenti non lo è, e più picchia più è aggressivo; io credo, piuttosto, che l’aggressività appartenga ad un assetto di personalità, faccia parte della coerenza di un sistema uomo, se privo quell’uomo della sua aggressività metto in pericolo la sua coerenza e il suo equilibrio. E’ pur vero che ogni sistema che subisca un mutamento si riassesta cercando il miglior equilibrio che può trovare in quella situazione data e in base alle risorse di cui dispone; per questo ha molto senso la domanda precedente, per questo non posso accontentarmi del fatto che non è più aggressivo. In psicoanalisi io posso sospettare la presenza di aggressività anche in assenza di manifestazioni aggressive manifeste, anzi addirittura in presenza di comportamenti apparentemente opposti (in base al meccanismo della formazione reattiva).
    L’osservazione della variabilità del sintomo discende dai resoconti degli antichi esorcisti ed è stata descritta con un certo rigore e frequenza dai primi ipnotisti; le lezioni del venerdì di Charcot con i pazienti isterici della Salpêtrière in cui il grande neurologo francese induceva con l’ipnosi a suo piacimento qualsiasi sintomo, oppure eliminava quelli presenti nei pazienti, o ancora scatenava o bloccava un attacco isterico, a cui assistette anche Freud oltre ai maggiori neurologi e psichiatri dell’epoca, la vicenda clinica di Anna O. curata attraverso la terapia catartica, e che alla fine quando tutti i sintomi sembravano miracolosamente sconfitti, sembra abbia annunciato una gravidanza (isterica) e abbia individuato il dr. Breuer come il responsabile del suo stato e padre del bambino. Le prime vicende dello stesso Freud, dalla giovane madre incapace di allattare il proprio bambino, che viene sbloccata attraverso la suggestione ipnotica con sole due sedute, ma che necessita dello stesso intervento un anno dopo, in occasione della nascita di un altro figlio.
    Negli scritti di Freud dei primi anni si nota tutta l’insoddisfazione per uno strumento (come quello dell’ipnosi) che da risultati straordinari immediati, ma che non sempre era applicabile (la variabilità soggettiva e la permeabilità dei soggetti in momenti diversi era ben nota anche ai suoi tempi) e non dava risultati affidabili nel tempo.
    Freud ha faticosamente cercato e trovato un metodo diverso, più impegnativo in termini di tempo ed energie, che va più in profondità e non si occupa soltanto dei sintomi, ma dell’intero soggetto. Di recente il cognitivismo costruttivista ha messo in discussione il dogma dell’efficacia delle tecniche e del focus sintomatologico per mettere mano ad una più onerosa ristrutturazione della personalità, concedendosi più tempo per realizzarla.
    L’insistenza di alcuni modelli teorici sul breve e sul sintomatico, non mi creerebbero alcun problema se fossero corredate da una certa correttezza e da un certo rigore nell’esplicitare ciò che realmente fanno; in fondo non è cosa di poco conto privare una persona del suo sintomo, spesso molto fastidioso, in alcuni casi sostituendolo con una modalità relazionale o comportamentale più adattiva.
    Capita anche in analisi che alcuni pazienti si ritengano soddisfatti della sparizione (o attenuazione) sintomatica e che decidano unilateralmente di interrompere la terapia; io in genere in questi casi dico che a mio parere il lavoro non è concluso, che il sintomo è diventato transfert, che occorrerebbe comprenderlo a fondo, analizzarlo per essere sicuri di aver capito qual’era il significato soggettivo di quel sintomo e pensare di poterlo padroneggiare davvero. Se il paziente è risoluto nel voler concludere, rispetto la sua volontà e non mi oppongo in alcun modo.
    La nota dolente a mio parere non sta nella soluzione sintomatologia, che può anche essere definitiva per quel che riguarda quel sintomo, ma nel pensare che in fondo le terapie più o meno brevi e quelle più lunghe psicodinamiche o cognitive facciano la stessa cosa, solo che le prime la realizzano in un tempo molto minore, con un minor dispendio di risorse psicologiche e materiali.
    Questa insistenza sui criteri sintomatici e quantitativi mi pare paragonabile al modo di lavorare di quella cameriera che scopa il salotto e butta la polvere sotto il tappeto, poi alla padrona mostra il pavimento pulito, soprattutto negli angoli più visibili, ma cerca in tutti i modi di evitare che si alzi il tappeto, perché si scoprirebbe il suo inganno.
    O come quell’illusionista che ha fatto sparire la carta con molta maestria e mostra bene il palmo delle mani, ma evita accuratamente di mostrare il dorso perché la carta è li, tenuta fra le pieghe di due dita e proprio la dimostrazione ostentata che non c’è nasconde accortamente dov’è.
    Un meccanico onesto, di fronte ad una vecchia carretta ti dice che forse sarebbe meglio comprarne una nuova, ma se non vuoi o se non puoi, ti dice che può sistemarla per farla durare ancora qualche anno, dopo forse bisognerà rimetterci le mani, fare qualche altra modifica; un meccanico disonesto ti dice di lasciare fare a lui che te la renderà come nuova.
    In fondo, gli stregoni, gli esorcisti, i maghi, gli ipnotizzatori da piazza, i santoni, le ostensioni della Sindone, i luoghi sacri di culto, non è detto che non abbiano dei risultati, talvolta anche miracolosi; si diceva che persino il solo toccare il re di Francia fosse taumaturgico e puntualmente i cronisti raccontano di guarigioni impressionanti e miracolose avvenute davvero.
    Lo scienziato differisce da tutta questa gente, che pure ha dei risultati, beninteso, per la serietà della sua proposta e perché oltre ad accettare che il risultato c’è stato, e spiegare come è avvenuto (anche loro sono in grado di dar conto, a modo loro, di queste cose) è anche capace di spiegare il perché è avvenuto, cioè di averne compreso il processo.
    Un saluto.
    Ultima modifica di Megiston Matema : 04-05-2010 alle ore 14.54.09

  14. #74
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    Citazione Originalmente inviato da Megiston Matema Visualizza messaggio
    Penso di essere in accordo con quanto ti ha risposto Gieko. Non credo ci sia alcuna sottovalutazione della “soddisfazione” del “cliente”, anzi tengo in così grande considerazione la sua risposta che non mi accontento di una risposta parziale. Vedo di spiegarmi meglio: se una persona che è violenta con la moglie, con i figli , con i vicini e a cui capita di creare pretesti per una rissa, si rivolge ad una terapia e questa terapia fa in modo che questo individuo non sia più violento, questo è un successo terapeutico senza alcun dubbio. Può darsi che questo successo sia limitato nel tempo, come è possibile che sia duraturo; potrei considerarmi soddisfatto di aver risolto il problema e di sapere come ciò è avvenuto (ho applicato delle tecniche standardizzate di provata efficacia e queste hanno funzionato).
    E invece io sono molto curioso e mi chiedo perché* [*Sulla ricerca del “perché” sono di parere avverso al tuo, la concezione scientifica positivista (e neo-positivista) guardava con sospetto la ricerca del perché, considerandola prossima ad un finalismo e ad un teleologismo estraneo a ciò che si intendeva per scienza rigorosa, in cui tutto era legato da precisi nessi causali linerari e tutto aveva un senso. La scienza che sui ispira al paradigma costruttivista non teme di misurarsi con la ricerca del “perché”, sapere perché una terapia ha funzionato è altrettanto importante del sapere il “quanto” e il “come”. Solo chiedersi perché una terapia ha funzionato ci permette di interrogarci a fondo su quali sono stati i suoi “fattori terapeutici”, quale il “processo”) seguito e di trarne insegnamento per i futuri percorsi] ciò ha funzionato e dove è andata a finire tutta l’aggressività di questa persona? Perché per me l’aggressività non è soltanto un comportamento manifesto, se uno picchia è aggressivo altrimenti non lo è, e più picchia più è aggressivo; io credo, piuttosto, che l’aggressività appartenga ad un assetto di personalità, faccia parte della coerenza di un sistema uomo, se privo quell’uomo della sua aggressività metto in pericolo la sua coerenza e il suo equilibrio. E’ pur vero che ogni sistema che subisca un mutamento si riassesta cercando il miglior equilibrio che può trovare in quella situazione data e in base alle risorse di cui dispone; per questo ha molto senso la domanda precedente, per questo non posso accontentarmi del fatto che non è più aggressivo. In psicoanalisi io posso sospettare la presenza di aggressività anche in assenza di manifestazioni aggressive manifeste, anzi addirittura in presenza di comportamenti apparentemente opposti (in base al meccanismo della formazione reattiva).
    L’osservazione della variabilità del sintomo discende dai resoconti degli antichi esorcisti ed è stata descritta con un certo rigore e frequenza dai primi ipnotisti; le lezioni del venerdì di Charcot con i pazienti isterici della Salpêtrière in cui il grande neurologo francese induceva con l’ipnosi a suo piacimento qualsiasi sintomo, oppure eliminava quelli presenti nei pazienti, o ancora scatenava o bloccava un attacco isterico, a cui assistette anche Freud oltre ai maggiori neurologi e psichiatri dell’epoca, la vicenda clinica di Anna O. curata attraverso la terapia catartica, e che alla fine quando tutti i sintomi sembravano miracolosamente sconfitti, sembra abbia annunciato una gravidanza (isterica) e abbia individuato il dr. Breuer come il responsabile del suo stato e padre del bambino. Le prime vicende dello stesso Freud, dalla giovane madre incapace di allattare il proprio bambino, che viene sbloccata attraverso la suggestione ipnotica con sole due sedute, ma che necessita dello stesso intervento un anno dopo, in occasione della nascita di un altro figlio.
    Negli scritti di Freud dei primi anni si nota tutta l’insoddisfazione per uno strumento (come quello dell’ipnosi) che da risultati straordinari immediati, ma che non sempre era applicabile (la variabilità soggettiva e la permeabilità dei soggetti in momenti diversi era ben nota anche ai suoi tempi) e non dava risultati affidabili nel tempo.
    Freud ha faticosamente cercato e trovato un metodo diverso, più impegnativo in termini di tempo ed energie, che va più in profondità e non si occupa soltanto dei sintomi, ma dell’intero soggetto. Di recente il cognitivismo costruttivista ha messo in discussione il dogma dell’efficacia delle tecniche e del focus sintomatologico per mettere mano ad una più onerosa ristrutturazione della personalità, concedendosi più tempo per realizzarla.
    L’insistenza di alcuni modelli teorici sul breve e sul sintomatico, non mi creerebbero alcun problema se fossero corredate da una certa correttezza e da un certo rigore nell’esplicitare ciò che realmente fanno; in fondo non è cosa di poco conto privare una persona del suo sintomo, spesso molto fastidioso, in alcuni casi sostituendolo con una modalità relazionale o comportamentale più adattiva.
    Capita anche in analisi che alcuni pazienti si ritengano soddisfatti della sparizione (o attenuazione) sintomatica e che decidano unilateralmente di interrompere la terapia; io in genere in questi casi dico che a mio parere il lavoro non è concluso, che il sintomo è diventato transfert, che occorrerebbe comprenderlo a fondo, analizzarlo per essere sicuri di aver capito qual’era il significato soggettivo di quel sintomo e pensare di poterlo padroneggiare davvero. Se il paziente è risoluto nel voler concludere, rispetto la sua volontà e non mi oppongo in alcun modo.
    La nota dolente a mio parere non sta nella soluzione sintomatologia, che può anche essere definitiva per quel che riguarda quel sintomo, ma nel pensare che in fondo le terapie più o meno brevi e quelle più lunghe psicodinamiche o cognitive facciano la stessa cosa, solo che le prime la realizzano in un tempo molto minore, con un minor dispendio di risorse psicologiche e materiali.
    Questa insistenza sui criteri sintomatici e quantitativi mi pare paragonabile al modo di lavorare di quella cameriera che scopa il salotto e butta la polvere sotto il tappeto, poi alla padrona mostra il pavimento pulito, soprattutto negli angoli più visibili, ma cerca in tutti i modi di evitare che si alzi il tappeto, perché si scoprirebbe il suo inganno.
    O come quell’illusionista che ha fatto sparire la carta con molta maestria e mostra bene il palmo delle mani, ma evita accuratamente di mostrare il dorso perché la carta è li, tenuta fra le pieghe di due dita e proprio la dimostrazione ostentata che non c’è nasconde accortamente dov’è.
    Un meccanico onesto, di fronte ad una vecchia carretta ti dice che forse sarebbe meglio comprarne una nuova, ma se non vuoi o se non puoi, ti dice che può sistemarla per farla durare ancora qualche anno, dopo forse bisognerà rimetterci le mani, fare qualche altra modifica; un meccanico disonesto ti dice di lasciare fare a lui che te la renderà come nuova.
    In fondo, gli stregoni, gli esorcisti, i maghi, gli ipnotizzatori da piazza, i santoni, le ostensioni della Sindone, i luoghi sacri di culto, non è detto che non abbiano dei risultati, talvolta anche miracolosi; si diceva che persino il solo toccare il re di Francia fosse taumaturgico e puntualmente i cronisti raccontano di guarigioni impressionanti e miracolose avvenute davvero.
    Lo scienziato differisce da tutta questa gente, che pure ha dei risultati, beninteso, per la serietà della sua proposta e perché oltre ad accettare che il risultato c’è stato, e spiegare come è avvenuto (anche loro sono in grado di dar conto, a modo loro, di queste cose) è anche capace di spiegare il perché è avvenuto, cioè di averne compreso il processo.
    Un saluto.
    Hai una visione aperta, e non dogmatica, e ciò ti fa onore, concordo anche sul fatto che sia importante indagare il processo e del perchè e come avvengono i cambiamenti. Non concordo pienamente, nell'aspetto sintomatico, se è pur vero che può essere pericoloso togliere un sintomo, ad uno psicotico, o a certe personalità al limite (per evitare il rischio, che si slantetizzino, nuclei psicotici, molto pericolosi), è pur vero che lo scienziato, (come sottolineava Bateson, dovrebbe creare teorie soggettive, che non abbiano sempre un valore definitivo), quindi in alcuni soggeti, l'eliminazione sintomatica, potrebbe non comportare nessun danno futuro, perchè il suo problema potrebbe essere molto circoscritto,ed il suo io ben strutturato, in quel caso, un approccio che sia solamente espressivo potrebbe essere utile.
    Il problema, potrebbe purtroppo nascere nella mente dell'analista, che pur di dar retta alla sua impostazione teorica iniziale, pensa che esista altro, anche se magari non esiste.
    Ultima modifica di bella primavera : 04-05-2010 alle ore 15.32.15

  15. #75
    Partecipante Esperto
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    Riferimento: falsi miti

    La nota dolente a mio parere non sta nella soluzione sintomatologia, che può anche essere definitiva per quel che riguarda quel sintomo, ma nel pensare che in fondo le terapie più o meno brevi e quelle più lunghe psicodinamiche o cognitive facciano la stessa cosa, solo che le prime la realizzano in un tempo molto minore, con un minor dispendio di risorse psicologiche e materiali. (Megiston)

    Ecco, io propongo che qualcuno di coloro che in questo forum si occupano di terapie brevi si spieghi, se ne ha voglia, su questo punto, perchè è quello che confonde le idee al paziente.
    Al di là della durata, terapia breve e psicoanalisi sono la stessa cosa? Approdano agli stessi risultati?

    Per esempio: io sono una di quelle pazienti che è entrata in psicoanalisi senza alcun sintomo, con una vita affettiva consolidata e tranquilla, una maternità serena, un lavoro appagante e una carriera in gran crescendo. Nessun problema di adattamento, anzi, il prototipo dell’adattamento in persona.

    Eppure, stavo di merda. E sono entrata in terapia perchè non sapevo più chi fossi.
    Mi domando a questo punto: “non sapere più chi si è” è considerato un sintomo per chi propone la terapia breve?

    E se per superarlo qualcuno ritiene che sia necessario un lungo scavo verso una profonda conoscenza e autoconsapevolezza, è una sua scelta determinata da un sistema di convinzioni (o teoria, come la vogliate chiamare). (Daimon)

    Cose mi proporrebbe allora, la terapia breve, al posto della profonda conoscenza di me e dell’autoconsapevolezza?
    Per esempio che,per questo, sono vittima di un sistema di convinzioni?
    Che il mio bisogno di autoconsapevolezza e profonda conoscenza di me stessa sono proprio il sintomo?

    Giulietta.O

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