Non capisco che importanza possa avere cmq lavoro come analista comportamentale in un servizio pubblico di psicologia
Non capisco che importanza possa avere cmq lavoro come analista comportamentale in un servizio pubblico di psicologia
E cosa faresti tu in un servizio pubblico di psicologia?
non mi hai ancora detto cmq cosa faresti con un paziente psicotico e con un nevrotico, nè dove lavori e quale CDL hai fatto.
La diagnosi di epatopatia, viene fatta con ecografie, tac, risonanze magnetiche, che hanno ben altro valore scientifico rispetto a dei test,o all'esperienza dello psichiatra che può essere influeunzato dalle sue teorie e credenze, come dire, che può vedere le patologie dove vuole, come già scritto ieri, le battaglie tra perizie psichiatriche nei processi, sono la dimostrzione lampante di ciò.
Non sempre.
Può anche bastare la palpazione del fegato nonchè l'analisi del colorito del paziente e dei suoi occhi, oltre ovviamente al resoconto dei sintomi.
Comunque scusa ma non capisco cosa c'entri la tua risposta....sembrerebbe che consideri le diagnosi psicologiche aria fritta.
Bella primavera, se ognuno di noi può lasciarsi influenzare dalle proprie teorie e credenze mi spieghi che considerazione hai della professione di psicologo? Ritieni la psicologia una non scienza, per cui ognuno può dire ciò che vuole e lasciarsi influenzare anche dopo anni di preparazione ed esperienza?
Il problema e' che queste diagnosi sono descrittive e non dimensionali. Cioe' sintetizzano in una etichetta un insieme di manifestazioni comportamentali ma non dicono nulla sul significato di queste manifestazioni. Necessariamente non possono perche' prraticamente ogni psicologo ha un proprio modello teorico idiosincratico.
In altre parole l'aspettativa che ad uno stesso insieme di sintomi corrisponda uno stesso insieme di significati e' sempre piu' infondata quanto piu' le categorie descrittive si fanno generali. Cioe' possiamo sperare che lo stesso modello clinico sia applicabile (a grandi linee) a due persone che presentano fobia sociale piu' di quanto possiamo sperare che che due psicotici siano interpretabili nello stesso modo.
Guarda sta poi alla professionalità del clinico non lasciarsi ingabbiare in maniera cieca dal proprio modello di riferimento, non è mica colpa delle categorie diagnostiche.
Non a caso ci sono manuali che spiegano il rischio iatrogenia nonchè l'utilità di un uso consapevole dei singoli approcci.
E poi, come ho detto prima, utilizzare il paradigma della complessità che tiene conto dell'individualità del soggetto.
Ultima modifica di Tenaciaa : 30-07-2011 alle ore 11.33.04
Sì, ma nella baraonda di idee, costruzioni mentali, pregiudizi, supposizioni, teorie, credenze e quant'altro ci sono delle competenze, studi, analisi, esperienze cliniche, riflessioni, lavoro su di sè (indispensabile per chi vuole lavorare nel campo clinico e prendere coscienza di sè) che per quanto non infallibili sono grandi risorse nella relazione di aiuto. Voler negare tutto ciò ci porta verso una svalutazione dell'utilità di questa professione, ad un relativismo esasperante per cui tutti potrebbero capire o fraintendere a prescindere dalle competenze maturate in molti anni e a filosofeggiare a non finire. Dopo non ci lamentiamo se i medici si chiedono cosa stiamo a fare nella pratica!
Anche il teraputa con un approccio costruttivista, usa la clinica e cura, solamente non si ferma a rigide definizioni psichiatriche, si passa da una concezione lineare determinitica ad una circolare, da una prospettiva empirista (di scienziato conoscitore della realtà), ad una costruttivista dove non può esistere una realtà oggettiva, perchè l'occhio dell'osservatore influenza sempre ciò che osserva, (cibernetica 2 livello). Ma qui ninfa verde, non si tratta di una lotta fra noi psicologi del forum, ma di una dialettica fra diverse epistemologie.
ciao ninfaverde
leggevo tra i vari post e ho letto che hai fatto un tirocinio in una struttura in cui si occupavano di psicosi...volevo chiederti se tu avessi approfondito anche l'argomnto..io sto per laurearmi e sto facendo una tesi sulla schizofrenia.dopo aver inquadrato il dsm, ora dovrei occuparmi della schizofrenia in ottica psicodinamica..sto cercando di mettere a confronto le teorie di freud jung sullivan e bion..su jung ho trovato buon materiale a riguardo, ma su freud non riesco a trovare niente che mi aiuti nel mio lavoro..puoi darmi una mano..indicandomi qlk libro o qlk sito da visitare??
Modifico il titolo a questo punto
gazzaladra, complimenti per la tua tesi! Credo che in questo forum ci siano colleghi molto preparati sull'argomento, mi viene in mente gieko, willy e altri che ho visto partecipare spesso a dibattiti sulla terapia psicodinamica e psicoanalitica... E se non sanno loro indicarti qualche testo di riferimento!
Menninger (1966) afferma che scopo della diagnosi non è come chiamare una
malattia, ma cosa fare di fronte ad essa, individuare gli interventi atti a modificare lo
stato di disagio. Questo comporta il superamento di una diagnosi prototipica, quella
fondata sul confronto tra un quadro clinico tipico di riferimento -il prototipo- e le
manifestazioni patologiche del soggetto in esame. Ma evidenzia anche l'inadeguatezza
di una diagnosi politetica, quella cioè formulata in base al fatto che vengano soddisfatti
un certo numero di criteri derivanti da teorie differenti, con la conseguenza che sotto lo
stesso nome vengono raccolti soggetti aventi caratteristiche e bisogni molto diversi. E' il
"menù cinese" (Frances, Widiger, 1986) del DSM IV.
Una prospettiva è stata adottata da Zapparoli (1979), che propone di
dividere gli psicotici in tre gruppi, utilizzando elementi diagnostici basati sulle condizioni
attuali e sulla storia maturativa ed evolutiva, per arrivare ad una valutazione delle
caratteristiche strutturali e dinamiche del paziente, individuandone potenzialità e risorse.
Al primo gruppo appartengono pazienti che conservano tali potenzialità in modo
sufficientemente ampio per raggiungere un discreto livello di emancipazione ed
autonomia. Al secondo pazienti che, pur presentando certe capacità evolutive, potranno
mantenere un funzionamento adeguato solo avendo sempre a disposizione una équipe
terapeutica da utilizzare ogni volta che se ne presenti il bisogno. Nel terzo gruppo,
infine, vi sono pazienti con necessità di dipendere costantemente da una persona,
istituzione o gruppo che svolga funzioni vicarie e protettive, permettendo la saturazione
dei bisogni di base legati alla sopravvivenza, vale a dire quei pazienti nei quali sono
minime le potenzialità maturative.