Hai assolutamente ragione sul fatto che un professionista dovrebbe sentire l'obbligo morale di aggiornarsi e questo indipendentemente da considerazioni di interesse economico, tuttavia il dovrebbe è d'obbligo perché la realtà e variegata e allo stesso modo lo sono le persone il cui atteggiamento verso il lavoro e l'aggiornamento professionale è influenzato da moltissime variabili, più o meno condivisibili ma comunque presenti...
Vuoi un esempio? Ti puoi trovare a lavorare in un contesto in cui hai colleghi che percepiscono il tuo stesso stipendio, ma si impegnano molto meno di te e che a differenza di te non si formano a dovere, magari perché sfruttano le tue competenze anche per avanzare agli occhi di un datore di lavoro...per quanto tempo continueresti ad essere motivata nello spendere parte del tuo stipendio per pagarti la costosa formazione?
Detto questo, mi sembra doveroso fare un distinguo tra il dipendente pubblico e il privato, lo Stato assume dipendenti al fine di garantire un diritto al cittadino, il diritto alla salute, per cui è nell'ottica della tutela del cittadino che obbliga i dipendenti ad uniformare la loro formazione a standard comuni.
Tralasciamo il fatto che poi nella realtà non sono affatto uniformi, per i motivi che esponevo sopra e che non sto a ripetere, in ogni caso per quanto negativi per il singolo, in quanto obblighi fortemente penalizzanti, gli ECM sono l'esito di un intento meritorio dello Stato.
Per il privato il discorso mi sembra diverso perché possono esserci due possibilità: che avverta l'esigenza di formarsi per obbligo morale, come dici tu, o che non senta affatto questo obbligo (non sto a giudicare se questo è giusto o sbagliato, ogni persona è il frutto del suo passato secondo me, e non sta a me dire se va bene o meno quello che fanno).
In entrambi i casi è comunque suo interesse aggiornarsi, perché il suo lavoro gli garantisce la sopravvivenza e qualunque siano i suoi motivi si formerà senza esservi costretto da altri.
Per quello che tu dici sul fatto che
"lo Stato fa l'interesse del paziente/cliente, al quale il professionista deve garantire qualità ed efficienza" forse lo Stato, prima di pensare all'interesse del paziente obbligando i professionisti con una laurea ad aggiornarsi secondo il volere di altri, dovrebbe salvaguardare i cittadini regolamentando la professione e definendone meglio l'esercizio, perché mi risulta che ci sia molta gente che approfitta dell'attuale vaghezza delle norme per esercitare attività che dovrebbero essere di esclusiva pertinenza di psicologi con tanto di laurea.
Non va dimenticato poi, come dicevo in altri post, che quando viene istituito un obbligo rimane tale anche in momenti in cui non potresti permettertelo...esempio quando ti sei appena iscritto all'Albo ma non lavori, o se sei malato per un lungo periodo;
in questi casi non potresti ottemperare all'obbligo di "raccolta punti" (sopratutto se abiti in una zona d'Italia dove non vengono organizzati corsi di formazione) e incorreresti in sanzioni che ti penalizzerebbero ancora di più...
Sinceramente a me non sembra giusto, anche perché nei periodi di inattività più o meno forzata puoi aggiornarti comunque per conto tuo tramite testi o altro, senza essere forzato a seguire corsi organizzati da provider accreditati secondo un calendario definito da altri e con contenuti non sempre commisurati all'impegno che richiedono.
Dimenticavo di dire che tra gli obblighi a cui siamo tenuti nel sistema ECM c'è quello di formarsi con ampia percentuale dei 50 crediti nel tuo ambito di lavoro (mi sembra sia l'85%)...in pratica questo ha due spiacevoli conseguenze:
se nel corso di un anno non ci sono sufficienti corsi o convegni che riguardino quel settore pur avendo intenzione di formarti sei fuori dale regole e sarai sanzionato;
se ti interessa altro rispetto al tuo ambito abituale di lavoro, per "ampliare le vedute" sei liberissimo di farlo, ma non vale ai fini dell'accreditamento annuale.