Originalmente inviato da
Morgana-z
E' vero quello che dici, Pinga, noi lavoriamo su due versanti differenti dello stesso universo, ma non per forza osserviamo nello stesso soggetto cose complementari.
Tu osservi i comportamenti, azioni e reazioni.
Chi lavora come me in ambito psicodinamico osserva sì i comportamenti, ma si concentra molto di più sulle emozioni e sulle difese che determinano, influenzano o a volte frenano i comportamenti. Che io osservo pure, ma richiamandoli al mondo interno che li genera in quanto espressione di desideri o talvolta "mistificazione" degli stessi.
Descrivi in modo intessantissimo noi due. Tu come un'osservatrice "naturalista", io come una biologa di laboratorio. Come se tu guardassi le cose in toto e chi lavora in studio, invece, solo una piccola parte, come se chi fa il mio lavoro vedesse solo ciò che il paziente vuole portare (con distorsioni e manipolazioni volontarie). E, col sorriso, mi sembra di essere descritta come un'eremita fuori dal mondo (cosa che, nella realtà, non è affatto così!)
Quello che dici non è proprio esatto.
Perchè molto spesso i comportamenti possono essere straordinariamente costruiti e molto poco "naturali", e anche i cambiamenti a livello di comportamenti talvolta possono essere solo di superficie.
Allo stesso modo quando un paziente viene in studio può anche raccontarmi un mucchio di bugie, o lavorare in seduta ma poi lasciar cadere tutto quanto una volta varcata la soglia. Il fatto è che ciò che interessa a me non sono i fatti oggettivi, ma il senso di quei fatti, le motivazioni delle azioni, i desideri che generano i comportamenti e, anche per le bugie, il motivo per cui un paziente stesso se le racconti e me le racconti.
Per entrambe probabilmente vale un punto comune: se il paziente "finge" di fare dei cambiamenti a noi giova forse qualcosa, o si sta prendendo in giro egli stesso?
Ciò che io osservo nel mio lavoro e che costituisce un segno del progresso è il constatare come il mio paziente, nelle cose che mi porta, operi un cambiamento di prospettiva, guardando le cose in modo diverso, sperimentandosi emotivamente in modo più ampio e ammorbidendo difese troppo rigide. Ma questo non è fare, è sentire.
Poichè lavoriamo da due prospettive teoriche molto differenti, ora capisco meglio cosa intendevi per non agire....essendo di una prospettiva comportamentale l'agire è il fulcro del tuo lavoro!
Ma nella terapia a stampo psicodinamico (sono una psicodrammatista gruppoanalista, formata secondo la teoria di Jung),in seduta il corpo si ferma e si muovono le emozioni. E' una situazione diversa dalla tua, lo capisco. E ora mi spiego anche il motivo di alcuni punti di disaccordo.
Rispetto alla regola del silenzio, posso solo dirti che è qualcosa che il paziente deve ritenere importante.
Cioè, sta al paziente proteggere questo spazio personale tenendo riservate per sè le cose che accadono e che si dicono.
Alla prossima!