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  1. #1
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
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    27-03-2004
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    471

    Provocazione

    Sostanzialmente questo:

    "Voi credete che sia giusto rimborsare, totalmente o in parte, il paziente che ha trovato fallimentare il percorso psicoterapeutico?"

    In assenza di una specifica legge, voi credete che sapreste riconoscere il vostro fallimento?
    E, nel caso, vi comportereste di conseguenza anche nella prassi?

    E' chiaro che questa questione mette in gioco la nostra credibilità sulla nostra professione... Ma se non ne abbiamo noi....

    Santiago di Coelho
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

  2. #2
    Eowin
    Ospite non registrato
    Che simpatica provocazione! Nientepopodimeno che rivoluzionare il regime delle libere professioni, perchè se questo dovesse valere per gli psico qualcosa non si capirebbe perchè non dovrebbe valere anche per i medici, gli avvocati, gli architetti ecc. Primo, non funzionerebbe, nessuno farebbe più il professionista, che è uno che presta la sua competenza professionale senza vincolo di risultato, casomai non lo sapessi. Secondo, la credibilità professionale un professionista se la costruisce sui suoi successi, se è bravo; se non è bravo, se di fatto è un incompetente, il mercato provvede a rendere giustizia, molto semplicemente. Comunque, se un paziente trova fallimentare il percorso che sta percorrendo non ha che da interromperlo, nessuno lo tiene con la forza, dai!

  3. #3
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
    Data registrazione
    27-03-2004
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    471
    Che simpatica provocazione! Nientepopodimeno che rivoluzionare il regime delle libere professioni, perchè se questo dovesse valere per gli psico qualcosa non si capirebbe perchè non dovrebbe valere anche per i medici, gli avvocati, gli architetti ecc.

    Se un architetto costruisce male una casa e questa crolla, l'architetto viene denunciato.
    Se un medico opera male, che so, magari lasciando una forbice all'interno di uno stomaco, questo paga.
    L'opera di un terapeuta non può essere giudicata a tutt'oggi.
    Solo il paziente può farlo, è lui, l'unico giudice del nostro operato.
    E' semmai la relazione che insturiamo con lui che può mediare tale suo diritto.
    Su suo figlio la donna ha diritto di vita e di morte (con l'aborto). Il marito non può scegliere su un corpo che non è il suo, attraverso la relazione con la moglie, può solo mediare.
    Se gli obiettivi posti all'interno del contratto terapeutico non sono raggiunti, il rapporto HA fallito.
    E tornando al punto iniziale è giusto che il paziente stesso non sia (per quanto possibile) tutelato per il "capitale" che investe (e non parlo solo di capitale economico)?

    Primo, non funzionerebbe, nessuno farebbe più il professionista, che è uno che presta la sua competenza professionale senza vincolo di risultato, casomai non lo sapessi.

    La moralità dell'esistente non si giustifica da sè.
    Quello che riporti, più o meno esplicitamente, difende la categoria dei professionisti (chissà forse sarà perchè tu sei o sarai un professionista?).
    Ma se portassi la tua macchina dal meccanico, e pagheresti fior di euro, , qualora il tuo gioiellino non partisse, sborseresti 1000 euro al tuo meccanico?
    Tener d'occhio la prospettiva dell'utente mostra di per sè un rispetto, che nel nostro campo definirei terapuetico, e che con tutta probabilità avrebbe effetti paradossali, specie in riferimento alle modalità che un soggetto (che ha un problema) ha di costruire se stesso e gli altri, in una matrice squisitamente relazionale, processo che nasce nelle relazioni attaccamentali infantili, che può con tutta probabilità virare se i rapporti successivi lo permettono.
    Questo onere chi dovrebbe prenderselo se non un professionista pagato per questo?

    Secondo, la credibilità professionale un professionista se la costruisce sui suoi successi, se è bravo; se non è bravo, se di fatto è un incompetente, il mercato provvede a rendere giustizia, molto semplicemente.

    Questo è sostanzialmente vero seppur:
    - la fruttuosità di un rapporto terapeutico non dipende solo dalla bravura del terapeuta, e anche volendo ammettere il peso di tale competenza, la "bravura" è una qualificazione "relazionale" più di "tratto", per questo non può essere un costrutto socialmente condiviso.
    (in sostanza un terapeuta può essere bravo per me e non per te).
    Questo vale specie nel nostro lavoro, dove le rassicurazioni di un mago, piuttosto che la sua previsione ottimistica circa il futuro di un clinete, può agire come profezia che si autoavvera, indipendentemente quindi dalla competenza.
    Le emozioni veicolate dai rapporti umani non guardano i titoli esibiti dal professionista!

    Comunque, se un paziente trova fallimentare il percorso che sta percorrendo non ha che da interromperlo, nessuno lo tiene con la forza, dai!

    Ci sarebbero da considerare alcune eccezioni, che poi nei fatti sembrano essere la regola:
    -Può "tenerlo" o "sentirsi tenuto"(e già questa potrebbe essere una risposta).
    -Può essere la speranza che concordemente con lo script medico, qualcuno, designato tale dalla società, possa guarirlo.
    -E' un'evidenza che la "dipendenza" smebra essere uno stile relazionale che è maggiormente implicato nei disturbi psicologici.
    Chi è autonomo (nelle più vaste accezioni di questo termine) difficilmente richiede una terapia.

    E potrei andare oltre...

    Santiago
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

  4. #4
    Partecipante Super Esperto
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    25-07-2003
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    743
    Forse dimentichi che siamo esseri umani e non macchine da riparare...
    la relazione terapeutica è qualcosa che viene costruito insieme, da psicologo e cliente, e molto dipende proprio da questo incontro oltre che dalle singole caratteristiche di ognuno (fra cui sicuramente vi è la competenza del professionista).Una macchina rimane lì ferma mentre il meccanico la ripara, ma solitamente un essere umano interagisce e quello che poi lo psicologo fa dipende anche dall'altro.
    Non è detto che per ogni cosa vi sia una cura e non è detto che chi si rivolge ad uno psicologo sia necessariamente un malato che deve guarire.
    Lo psicologo non è onnipotente e il paziente/cliente non è un esere passivo fra le sue mani.

    Questo non toglie la necessità (proprio per non cadere nell'onnipotenza terapeutica o furor curandis, come diceva una mia vecchia professoressa) di essere onesti con se stessi e saper ammettere quando non riusciamo in una cosa o sentiamo che non la stiamo facendo bene: se non mi trovo bene con un paziente e sento che il mio atteggiamento verso di lui interferisce con il mio operato o se si rivolge a me per una cosa in cui non mi sento abbastanza competente, devo avere l'onestà di inviarlo ad altri e non di tenerlo un paio d'anni in terapia per pagarmi il mutuo!

    Quando ho iniziato a lavorare avevo un atteggiamento diverso (ero in preda a quello che ho chiamato furor curandis, e ogni tanto ci ricasco anche adesso), poi calandomi nella pratica mi ono resa conto che le cose non sono così semplici come sembrano e che il nostro lavoro dipende da una tutta una serie di variabili, alcune ascrivibili a noi, altre al cliente, altre ancora al contesto/setting e così via...
    Vimae

  5. #5
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
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    27-03-2004
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    Se rileggi il messaggio Vimae ti renderai conto che il mio paragone non è macchina-uomo, tutt'altro.
    E' lungi da me considerare il paziente una macchina e mi sembra chiaro nei post precedenti.
    Altrimenti non avrei posto questa questione. Non credi?

    Santiago
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

  6. #6
    Caro Santiago, io penso che se c'è malafede nel terapeuta o incuria o superficialità, il paziente abbia il diritto di essere rimborsato... se il terapeuta mette in atto un trattamento al meglio delle sue possibilità e questo non funziona è tutto un altro discorso... nemmeno i trattamenti farmacologici hanno il 100% di successi e uno che viene in terapia deve essere informato della possibilità di successo della stessa... credo che sia questo il significato di "consenso informato"...
    Il terapeuta deve essere anche onesto e se si rende conto che non funziona pensare a un invio o a qualcosa del genere...
    Questo è il campo dell'etica che quando si cerca di regolarizzare con leggi spesso si crea più casino che altro... guarda adesso con la privacy cosa è venuto furoi....
    Non sono d'accordo nemmeno sul fatto che sia il paziente l'unico giudice dell'efficacia del trattamento... non è detto... tutti i disturbi egosintonici dove li metti?
    Poi la terapia non è un processo lineare che procede verso la guarigione, ci possono essere dei passi ndietro, possono emergere fattori che in un primo momento erano in secondo piano che devono essere rielaborati...
    insomma mi sembra un po' semplicistico il tuo discorso... come tutte le provocazioni del resto))

  7. #7
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
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    ...e uno che viene in terapia deve essere informato della possibilità di successo della stessa... "

    E in che modo?

    Non sono d'accordo nemmeno sul fatto che sia il paziente l'unico giudice dell'efficacia del trattamento...

    Peccato che non siamo d'accordo su questo concetto fondante.
    Il paziente (chiamiamolo così...) è l'unico che epistemologicamente può dire il suo stato di benessere.
    La tragedia della gran parte delle psicoterapie (o forse degli psicoterapeuti) è quella che anche qui è stata portata a galla: l'onnipotenza. Mi chiedo come si fa a pensare che qualcun altro (nel nostro caso il terapeuta) possa decidere se il trattamento ha funzionato oppure no, se il paziente non lo considera riuscito. Se sta ancora male, per dirla breve.

    Poi la terapia non è un processo lineare che procede verso la guarigione, ci possono essere dei passi ndietro, possono emergere fattori che in un primo momento erano in secondo piano che devono essere rielaborati...

    Ma riuscite a mettervi nella posizione del paziente?
    Ma secondo voi che cosa cerca dal terapeuta se ne richiede l'aiuto?
    La comprensione, la gestione, ma specie la guarigione. Vuole stare bene!
    Il paziente è anche cliente, nel senso che chiede una prestazione (ad una persona che si dichiara in grado di poterla dare) per cui paga fior di euro. L'etica professionale e un certo tipo di moralità sono costrutti interni al terapeuta. Dato questo come tutelare l'investimento del paziente?

    insomma mi sembra un po' semplicistico il tuo discorso... come tutte le provocazioni del resto))

    Mi dispiace tu la pensi così, perchè io credo che il mio discorso sia molto meno semplicistico di quanto credi.
    Sarà che scrivo in parecchi forum, dove ci sono (e non esagero) almeno il 70% di persone che non hanno risolto i propri problemi e che hanno investito affetti e denaro per progetti sconclusionati.
    Provate per curiosità a vedere i prezzi e il moltiplicarsi di terapie on-line, cammufate con consulenzema che si protraggono all'infinito...
    Provate ad immaginare quanti terapeuti potrebbero far stagnare i loro pazienti anni quasi convincendo che magari i pochi risultati ottenuti siano da imputare alla terapia (e poi come fanno a saperlo loro) e immancabilmente poco dopo ricadono nel buio più buio, ma si aggrappano alla speranza...

    Io rifletto sulle possibilità.
    Ritengo inamissimile che un terapeuta, investito di un potere iniminagginabile, non trovi vincoli se non quelli imposti da se stesso.

    Santiago

    P.S. peccato che ancora nessuno abbia risposto alle esplicite questioni in cui ho riportato nel post in risposta a quello di Eowin.
    Ma era immaginabile un coro contrario. Penso sia attribuibile allo status che stiamo conquistando.
    Lo stesso post inserito in uno dei forum di cui parlavo ha riscosso molto successo.
    Una considerazione banale, vero?
    Eppure siamo noi, barricati nella nostra fortezza inattaccabile, che dettiamo le regole del gioco.
    Il rischio implicito è evidente. Le alternative ci sono sempre.
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

  8. #8
    Super Postatore Spaziale L'avatar di Accadueo
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    Santiago, e chi mi rimborsa le supervisioni, il lavoro intellettuale, emotivo e fisico, nonchè il tempo, la formazione, lo studio, l'iscrizione agli albi? Se io vado da un cardiologo pensando che il mio cuore si sta fermando e poi il "tipo" mi dice che si tratta di probabili attacchi di panico, che faccio gli richiedo i 60 euro per cinque minuti di visita per dirgli che vado dallo psicoterapeuta?

  9. #9
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
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    Santiago, e chi mi rimborsa le supervisioni, il lavoro intellettuale, emotivo e fisico, nonchè il tempo, la formazione, lo studio, l'iscrizione agli albi?

    Ma allora nemmeno noi siamo poi così fiduciosi per quanto concerne la nostra professionalità.
    I tuoi soldi, verrano ampiamente rimborsati se insieme ai tuoi clienti raggiungi gli obiettivi che vi siete dati... Questa domanda presuppone che i risultati terapeutici sono un plus, qualcosa che se arriva è meglio...
    Se la persona che ti richiede una terapia sta meglio sarà ben felice di pagarti, e non ti sbatterà i soldi sul tavolo, sul divano od ovunque tu sia...

    Se io vado da un cardiologo pensando che il mio cuore si sta fermando e poi il "tipo" mi dice che si tratta di probabili attacchi di panico, che faccio gli richiedo i 60 euro per cinque minuti di visita per dirgli che vado dallo psicoterapeuta?

    Assolutamente no, il cardiologo ha eseguito quello che gli abbiamo richiesto con risultato:
    una visita al cuore, che fortunatamente per il paziente ha escluso qualche problema a quest'organo vitale. Per esclusione andremo dall'endocrinologo per evitare che disturbi tiroidei possano essere implicati nel nostro problema di accelerazione cardiaca. A seguire lo psicoterapeuta.

    Negli altri campi medici il risultato è sempre visibile per essere giudicato dal suo paziente.
    Se si accorge di un errore medico il paziente può denunciare il curante.
    E con i disturbi psicologici, come la mettiamo?

    Santiago


    __________________
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

  10. #10
    Super Postatore Spaziale L'avatar di Accadueo
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    faccio un esempio riguardante la terapia familiare: a volte succede che nel momento in cui il "paziente designato" inizia a dare segni di benessere, i familiari "percepiscono" dei peggioramenti nello stesso e non tornano più in terapia.. cosa devo rimborsare, il fatto che i familiari hanno paura di un reale cambiamento che non riguarda solo "l' eroe" che ha deciso di "sacrificarsi", bensì l'intero sistema familiare?

    E il "momento" diagnostico, rimborsiamo anche quello?

    Il "contratto terapeutico", si concorda in seguito alla diagnosi, è quello il momento in cui si esplicitano le "reali" possibilità o impossibilità del momento terapeutico, stabilire a priori un tot. di incontri (che variano secondo il tipo di approccio), "valutare" la motivazione e le aspettative del cliente e, in caso di consenso, fissare l'incontro successivo.


    Ma allora nemmeno noi siamo poi così fiduciosi per quanto concerne la nostra professionalità. I tuoi soldi, verrano ampiamente rimborsati se insieme ai tuoi clienti raggiungi gli obiettivi che vi siete dati... Questa domanda presuppone che i risultati terapeutici sono un plus, qualcosa che se arriva è meglio...
    Io trovo più fiducioso e meno "onnipotente" il discorso del pagamento per la "prestazione" professionale piuttosto che la formula soddisfatti o rimborsati.. e poi, io investo i miei soldi in formazione, supervisione, ecc., proprio per i risultati terapeutici e non per la paghetta di fine colloquio.

  11. #11
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
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    Infattil il contratto stipultato dall'orientamento sistemico-relazionale è il più corretto eticamente.

    Come quello del cardiologo, il tuo esempio però non calza.
    Perchè giustamente il terapeuta sistemico ha previsto un tot di sedute. Se il paziente comprensibilmente incontra un peggioramento, ma non porta a termine la terapia, è come se fosse malato di cuore e prendesse medicine per una durata inferiore alla durata prescritta dal medico.
    I risultati in questo caso non sono raggiunti per intollerranza del paziente.

    Per quanto riguarda l'ultima parte del tuo messaggio, purtroppo come l'avevi messa giù più o meno esplicitamente dicevi:
    "Beh io ho investito, soldi, anni della mia vita, sacrifici ecc.. ecc... ora dovrebbero arrivare i sospirati soldi." E il risultato terapeutico era poco considerato.
    Personalmente io non ho mai risposto alla domanda che ho posto. Ho solo difeso una certa posizione (quella del paziente) che come sapevo qui, e nel mondo esterno sarà centomila volte peggio, è stata snobbata o assalita.

    Per quanto riguarda il mio pensiero è ancora in via di formazione, è questa discussione mi sta servendo a definirlo, perchè in genere prima di posizionarmi ascolto con attenzione cosa dicono i miei interlocutori, e non giudico la loro "provocazione" in base all'esistente (perchè l'esistente potrebbe essere migliorato).
    Personalmente credo che i rapporti falliti andrebbero rimborsati per metà.
    Se è il rapporto terapeutico che ha fallito non vedo perchè dovrebbe pagare solo il paziente.
    Tra l'altro tale mossa comunicherebbe al paziente:
    - Credo nel mio lavoro e in quello che ho da offrire.
    - Credo in lei e nelle sue capacità di stare meglio.
    _ Il tutto sigillato da un gesto simbolico, che lega le due individualità ad un progetto comune.

    Non è una novità che il terapeuta che fallisce (con il paziente) si libera dalle sue responsabilità dicendo:

    - Resistenza (psicoanalisi)
    - Le distorsioni cognitive e le idee disfunzionali erano troppo radicate (cognitivismo)
    _ Problemi inerenti la famiglia (non vuole partecipare o altro) (sistemico relazionale)

    Sono ipotesi vere, a mio parere.
    Ma non possono sempre e comunque coprire le responsabilità del terapeuta, che in tal modo, alla fine del contratto fallito, riaggiusta l'autostima, e va avanti....

    Santiago
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

  12. #12
    Se tu vai da un chirurgo e questi ti dice: puoi fare il trapianto del tal organo ma hai una probabilità di sopravvivenza del 30%, tu puoi accettare o meno...
    Noi psicologi dovremmo fare più o meno lo stesso (una volta che abbiamo delle ricerche sull'efficacia delle terapie)....
    Dopodichè noi siamo questo,il paziente può decidere o meno se venire da noi... noi NON garantiamo la riuscita del trattamento che dipende in gran parte anche dall'impegno del paziente...
    Santiago mi puoi dire che il mondo e cattivo e pieno di stronzoni che vogliono succhiare soldi ai poveri pazienti ma per quanto mi riguarda non obbligo nessuno e son molto chiaro all'inizio... la metafora che uso è "dovrai passare attraverso dei cerchi di fuoco", il cambiamento costa fatica e soldi... mi dispiace che sia così e di non avere la bacchetta magica...
    Se uno non vuole fare fatica non venga e conviva col suo problema...
    E poi smettiamola con questa storia dell'onnipotenza... il rapporto tra terapeuta e paziente è un rapporto tutorio non è un rapporto paritario... non è detto che il paziente sappia cosa è meglio per lui!!! lo dimostrano i disturbi egosintonici come ho già detto...
    Cmq Santiago dai sempre spunti interessanti a volte mi diventi un po' marxista ma... complimenti!

  13. #13
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
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    Finalmente intravedo qualcosa di interessante.... sebbene io sia in completo disaccordo.

    L'efficacia delle terapie non mi può dire se un paziente con un determinato disturbo ha più o meno possibilità di risolverlo.
    In realtà però credo che i primi colloqui (detti preliminari) ci diano margini di previsione (prognosi) accettabili. Solo che a differenza tua vincent non faccio previsioni in base alle statistiche sul disturbo che la persona presenta (seppur posso considerarle), bensì in base alla situazione che la persona presenta, ai suoi stili di coping, alle risorse che presenta, alla sua storia... e ancora alle mie possibilità di aiutarlo in base all'interazione delle mie caratteristiche personali in base alle sue..ecc..ecc..

    Poi scrivi del mondo pieno di stronzoni ecc.. e "per quanto mi riguarda"...
    Come vedi è un tuo principio interno, che altri potrebbero non condividere...
    Non credi che il soggetto dovrebbe essere tutelato da criteri esterni al terapeuta ?

    MEMORABILE l'ammissione di effettiva disparità tra la condizione del paziente e quella del terapeuta.
    Addirittura parli di tutorato ed io concordo perfettamente, l'esistenza di tale stile comunicativo che fa parte della cultura a cui sono esposti psicoterapeuti di taluni indirizzi terapeutici.
    Io ritengo che si possano limitare le semantiche tutoriali che sono già implicite nel rapporto terapeutico, al di là delle menti dei protagonisti.
    Sebbene creda che sporadicamente e specie all'inizio, per alcuni, possano essere utili, credo che successivamente tale impatto andrebbe eliminato completamente, perchè il processo di autonomizzazione del paziente, che ripeto è quasi onnipresente all'interno della psicopatologia, deve iniziare all'interno del processo terapeutico. E come può farlo all'interno di un "FRAME" tutoriale?

    Marxista io? mmm... ci devo pensare... per ora credo che la prospettiva e il punto di vista del paziente non sono stati presi abbastanza in considerazione dal mondo delle psicoterapie...

    Santiago
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  14. #14
    Partecipante Esperto
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    Caro Santiago,

    sono spesso d'accordo con te; non condivido del tutto alcune riflessioni sul rapporto paziente-terapeuta (quello professionale è un rapporto che, normativamente, non è basato sulla garanzia di risultato), ma condivido in pieno un sacco di altri punti.

    A proposito della tua ultima riflessione (il punto di vista del paziente), ti consiglio di approfondire il costruttivismo kellyano (la psicologia dei costrutti personali): è un approccio che della comprensione della "prospettiva semantica" del paziente fa il suo cardine operativo ed epistemologico fondamentale.
    Un buon libro in questo senso può essere "L'indagine di Personalità", di M.Armezzani, in cui vengono discussi in maniera molto acuta e brillante i limiti degli approcci basati sugli schemi del terapeuta, strutturalmente opachi alla dimensione di Senso soggettivo del paziente.

    Ciao,
    Lpd

  15. #15
    Partecipante Esperto L'avatar di Santiago
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    27-03-2004
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    Per quanto non abbia mai letto Kelley, qualcuno mi ha detto che in qualche modo ho Una visione del mondo che può essere riportata al suo modello.
    Ovviamente però ho letto qualcosa (purtroppo per ora solo qualche capitolo qua e là)sul costruttivismo (Chiari e Cionini) e sul costruzionismo sociale (Manfrida e Ugazio). E credo che, grazie ai presupposti epistemologici (che risultano fondanti in psicologia sebbene molti psicologi non sanno nemmeno cosa sia l'epistemologia) delineati da tali discipline, anche il terapeuta ha simbolicamente eliminato tavoli, lavagne, divani e quant'altro.
    Ti ringrazio per il consiglio del libro, non mancherò, ne sono certo.

    Santiago


    "nelle terapie cognitivo-razionaliste, il primato attribuito ai processi razionali e l'assunto che sia possibile stabilire oggettivamente - da un punto di vista esterno al paziente - quali comportamente siano più adattivi in determinate situazioni di vita e quali elaborazioni cognitive più corrette e idonee, comportano che il TERAPEUTA SI PONGA COME IL DETENTORE DI UN QUALCHE TIPO DI VERITA'; verità che il paziente DEVE giungere a riconoscere come propria (e aggiungo io per stare meglio!!??!!!).
    Lorenzo Cionini

    Su tale frase si potrebbe scrivere un poema sui processi di disindividualizzazione che il paziente deve incontrare in tale tipo di terapia, perchè gli viene posta sulla bilancia la possibilità della guarigione al prezzo di abbandonare sistemi interi di rappresentazioni della realtà, in definitiva gli si chiede di abbandonare la propria identità!

    Santiago
    "Soltanto i pesci non sanno che è acqua quella in cui nuotano, così gli uomini sono incapaci di vedere i sistemi di relazione che li sostengono" L. Hoffmann

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