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  1. #1
    Partecipante Leggendario L'avatar di pinga
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    09-02-2002
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    Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'umore.

    Ciao a tutti, ho una questione da porre in merito alla psicoterapia e ai suoi effetti.
    Nello specifico vorrei chiedervi se è normale, i primi 2-3 mesi che la persona in terapia mostri un peggioramento delle sue condizioni.

    Una persona che conosco, dopo il primo mese e mezzo di psicoterapia, sta avendo un brusco peggioramento del suo umore, cosa che prima avveniva meno o con minore frequenza.
    Ci sono infatti alcuni giorni in cui questa persona è molto abbattuta, vuole stare da sola, non si alza dal letto.
    Una cosa che dice è che in quelle giornate NO non vede l'ora di andare dalla terapeuta "per sfogarsi".
    Questa cosa ormai avviene ogni 2-3 settimane. Esce dalla psicoterapeuta come nuova perché, ovviamente si è sfogata e va tutto ok. Ma poi il loop ricomincia dopo un po'.

    Mi è sorto il dubbio che la terapeuta non sia abbastanza brava. Tanto che questa persona sostiene che la terapeuta lo faccia sfogare ma, il più delle volte, non "restituisce" molto. Dall'altro penso che sia normale che, i primi mesi di psicoterapia, possa uscire il peggio di se stessi perché comunque è presente un rimescolamento delle emozioni e dei vissuti che non è da poco e una reazione così è possibile, se non addirittura sana.

    Se poteste aiutarmi in questo momento ve ne sarei grata perché vorrei capire se la cosa può essere temporanea e soggetta a sfumare oppure no. Grazie
    Ultima modifica di pinga : 16-11-2014 alle ore 23.21.14

  2. #2
    Partecipante Super Figo
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    Argomento molto interessante ma temo che verrà spostato nella sezione "psicoterapie".
    Premetto che non sono una terapeuta ma ho solo studiato e letto e sperimentato sulla mia pelle...
    Non saprei dire se questa cosa possa dipendere dalla bravura della terapeuta, ma di sicuro scoprire nuovi aspetti di sé, parlarne e poi rifletterci su quando si torna a casa dopo la seduta...beh, può essere anche sconvolgente. E può deprimere. Può disorientare. Non credo si possa definire "peggioramento"...è comunque un momento in cui vengono smantellati i vecchi schemi e le vecchie strutture... ma il lavoro successivo (e questo dipende anche dalla competenza della terapeuta) deve servire a ristrutturare in maniera più funzionale... Tuttavia, non so se questo possa già succedere dopo 2 o 3 mesi di terapia. Proprio non lo so... in alcuni casi ci vogliono anni
    Forse dopo 2 o 3 mesi è semplicemente il dover affrontare aspetti di sé poco piacevoli, che magari fino ad allora erano stati negati....

  3. #3
    Postatore Epico L'avatar di Morgana-z
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    nella terra in cui lo scirocco scompiglia i capelli e arruffa i pensieri
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    La discussione è stata spostata in "psicologia clinica" perchè si parla di un fenomeno relativo al percorso terapeutico.

    Pinga, se mi permetti....da come hai scritto il post non si capisce se tu stia parlando di te, di qualche amico/a (usi spesso il femminile ma una volta il maschile).
    Di conseguenza:
    -se parli di te, mi sembra di ravvisare un timore a dire di essere in terapia (ma ti ricordo che siamo in un forum specifico....e qui, su questo, non ci sono nè remore nè giudizi).
    -se parli di qualcun altro, l'impressione è che tu ti stia prendendo pensiero in modo troppo eccessivo, quasi ansioso. Ma, forse, una spiegazione potrebbe essere una tua conoscenza ridotta su tempi, modalità e processi della terapia (lecito) che dunque, unito all'affetto per questa "amica/o" ti fa venire l'ansia.
    -sia che si tratti di te che di un amico/a, la cosa più giusta è che tale questione venga riportata NON fuori nè tantomeno su questo forum (per chiedere soluzione) ma torni DENTRO la stanza di terapia, dove può diventare anzi oggetto di lavoro e progresso.

    Un'ultima osservazione: una terapia è un percorso delicatissimo, non ce n'è MAI una uguale ad un'altra, e ogni coppia terapeuta-paziente è un microcosmo unico.
    La terapia smuove moltissime cose, e se c'è tristezza o sbalzi d'umore è segno che qualcosa si sta muovendo.
    Ogni terapeuta può avere uno stile proprio, che la si percepisca in un certo modo può essere una percezione del paziente (questione da discutere in seduta).


    Gli interrogativi che poni, sia che siano i tuoi sia che, soprattutto, siano del tuo amico/a, non sono cosa da dibattere qui nel forum.
    Vanno discussi in terapia.
    Cercare salvagenti esterni diviene dannoso per il paziente stesso.
    Piuttosto è utile porsi delle domande e riflettere ed entrare in contatto con interrogativi ed emozioni.

    Buona terapia!
    Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
    (Haruki Murakami)

  4. #4
    Partecipante Leggendario L'avatar di pinga
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    Ciao Morgana-z,
    non volevo incentrare la discussione sulla persona, bensì su quello che può accadere come reazione dell'utente alla terapia.

    Concordo con te quando dici che certe questioni debbono tornare dentro la stanza della terapia. Tuttavia non sono sempre fan degli assiomi perché, se la terapia inizia a compromettere il funzionamento lavorativo di X - chiunque sia X, che in questa sede per me è superfluo dettagliare - ritengo di avere libertà di decidere se informarmi in merito.

    Potrei anche subdorare che la terapeuta non sia brava, o che ami rubare i soldi e che X, che sta dentro la relazione, non sia in grado di accorgersene. Ovviamente non sarò io a "salvare" X ma se inizio a sentire puzza di bruciato, e poi certe cose continuano, e poi si ripresentano ancora, si, potrei anche decidere di dire la mia ad X.
    Non sono sempre d'accordo con l'idea di non interferire con il microcosmo terapeutico: tutto e tutti interferiscono, ogni ora, ogni giorno, molte persone, tanti eventi: non stiamo dentro una campana di vetro. Tanto più io che, prima di essere una psicologa, non mi scordo infatti di essere amica, fidanzata, sorella, madre.

    Chiusa questa parentesi che reputavo necessaria, se ti spaventa che la relazione terapeutica si sversi su questo forum potrai chiudere la discussione. In questo caso mi scuso, però tarando la discussione in un certo modo poteva diventare imho un argomento sfruttabile per tutti, non solo per me e trovare le risposte che cerco tramite un discorso generico e ben strutturato. In fin dei conti ho aperto una discussione qui perché conosco questo forum, ne sono stata moderatrice, ne stimo l'utenza, mi fido e l'idea di creare qualcosa di utile ai più può essere molto interessante, e mi sembra che utenti che hanno scritto precedentemente mi hanno dato atto dell'interesse di questo argomento, peraltro non presente sul forum.

    Ciao e grazie.
    Ultima modifica di pinga : 24-11-2014 alle ore 18.48.49

  5. #5
    Postatore Epico L'avatar di Morgana-z
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    La discussione in sè è interessante, ma il fatto è che come tu stessa espliciti, il paziente è una terza persona, dunque le nostre opinioni-che però possiamo continuare a scambiarci tutti quanti creando un laboratorio di riflessione-rimangono tali e ad un certo punto divengono congetture.
    Comprendo, grazie alla tua spiegazione, le tue perplessità.
    E anche rispetto a queste possiamo discutere.
    Non ho alcuno spavento, ma da utente e con i tuoi trascorsi di moderatrice sai quanto me quanto spesso il forum rischi di essere usato a mò di terapia sostitutiva o consulto.
    Da moderatrice attuale mi tocca l'ingrato compito al richiamo del regolamento.
    Mi auguro che altri intervengano e che ne derivi una buona discussione.
    Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
    (Haruki Murakami)

  6. #6
    Partecipante Leggendario L'avatar di Lyanne
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    io avevo scritto questa risposta ma nel momento dell'invio "sono diventata scollegata" e dopo essermi riautenticata ho letto la risposta di Morgana.
    La copio qui sotto, così come la sentivo nel rispondere al post di pinga:

    Ciao pinga,
    io credo che lo scopo della psicoterapia sia acquisire una migliore consapevolezza di sé e sperimentare ed elaborare insieme al terapeuta certi vissuti, spesso dolorosi. Proprio per questo, credo che la decisione di una persona "terza" di intervenire possa costituire un vero e proprio tentativo di rottura dell'alleanza terapeutica.
    Mi sono fermata un po' su questo bisogno di intervenire che emerge dalle tue parole, come se dovessi controllare, o risolvere la situazione, con poca fiducia (è quello che percepisco) nelle due persone che sono in relazione.
    Però io lo percepisco dall'esterno: essendo parole tue, suppongo che tu ci abbia riflettuto, come persona in relazione con .... e come psicologa.

    Inoltre non ho capito perché parli di spavento, rivolgendoti alla risposta di Morgana.
    io non ho ravvisato alcun allarmismo nelle sue parole: mi è sembrato un intervento equilibrato che ha preso in considerazione entrambe le possibilità, in relazione alla possibile indentità della persona in terapia.
    Secondo te qualcuno può essere spaventato?

    Infine, scusami,non capisco cosa c'entri il fatto che tu sia stata moderatrice su questo forum in merito all'aver aperto questa discussione, con un argomento, peraltro, molto interessante.

  7. #7
    Postatore Compulsivo L'avatar di arwen
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    ciao a tutti
    provo a dire la mia, da utente ma anche da persona che ci è passata: da compagna di un uomo che è stato in psicoterapia per 5 anni, mi viene da fare una riflessione...

    forse per noi psicologi e "addetti ai lavori" c'è - almeno, nel mio caso c'è e c'è stato, poi ovviamente sono osservazioni mie, che possono o meno essere utili - una grande fatica nel vedere un proprio famigliare stare male, soffrire e rivolgersi alle cure di "altri"...per molti motivi vuoi perchè i diversi orientamenti terapeutici e i diversi approcci non sempre ci aiutano ad avere fiducia nelle tecniche che un collega mette in atto, poichè anche noi siamo "esperti" e spesso abbiamo ricevuto una formazione in cui il presupposto più o meno esplicito è stato che "solo la tecnica che impariamo è efficace"; vuoi perchè "da esperti" tendiamo ad interpretare il disagio di chi ci sta vicino, facendo diagnosi più o meno "esplicite" ; vuoi perchè abbiamo noi stessi imparato a riconoscere i nostri stati d'animo, e quando un nostro caro sta male ci dibattiamo tra la reazione spontanea che ci sorge, e che sorgerebbe a tutti (rabbia verso la persona che "non reagisce", ansia, preoccupazione) e la nostra parte professionale che ci dice che "per essere di sostegno a un famigliare che sta male non bisogna fare così"; mettiamoci anche che a volte c'è un pizzico di "senso di fallimento" per il fatto che quella persona sta male e noi (pur essendo "esperti"!) non ci capiamo proprio niente ; vuoi anche perchè in giro ci sono talmente tanti incompetenti o persone che si improvvisano esperti che dubitare è lecito e protettivo

    detto ciò, per venire al quesito di Pinga: per fortuna siamo persone, prima che terapeuti, e quindi per fortuna siamo dotati di sentimenti che ci fanno preoccupare per il percorso che una persona sta facendo e per il suo stato di salute, per quanto tale preoccupazione sia infondata o "poco utile"
    Se Pinga non fosse psicologa mi verrebbe da risponderle: cara Pinga, è perfettamente normale che una persona possa peggiorare! Sia perchè emergono vissuti e sentimenti che prima erano nascosti, ma anche e soprattutto perchè se la persona si fida e instaura una buona alleanza terapeutica, è un po' come se finalmene "si potesse mettere nelle mani di qualcuno", abbandonando l'obbligo di "tenere duro". Sarà poi la terapeuta a valutare come gestire il momento delicato che il/la paziente attraversa, e a trovare le adeguate misure di sostegno e contenimento (variazione nella frequenza delle sedute, cura farmacologica ecc)...
    Siccome Pinga è anche psicologa, mi viene da dirle invece di provare, per quanto è possibile ovviamente, a uscire dal ruolo (lo psicologo lo si FA...non lo si E'!!) e a provare ad essere semplicemente persona che cerca di stare accanto a qualcuno che sta male, magari soffrendo insieme a lui, incavolandosi per come reagisce e soprattutto "spegnendo l'interruttore" delle domande sul percorso che questa persona fa (in fondo è così che fanno le persone "non addette ai lavori"!)

    ...poi magari non ci ho capito niente e allora chiedo scusa fin da ora per essere andata fuori tema e per le osservazioni campate in aria
    a presto
    Chiara
    Dott.ssa Chiara Facchetti
    Ordine Psicologi della Lombardia n.12625


    Io credo che le pietre respirino. Non possiamo percepirlo con le nostre brevi vite.

    Siamo tutti nella fogna, ma alcuni di noi guardano alle stelle (Oscar Wilde)

  8. #8
    Postatore Epico L'avatar di Morgana-z
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    nella terra in cui lo scirocco scompiglia i capelli e arruffa i pensieri
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    le parole di arwen mi portano a scrivere una cosa che dico sempre ai miei pazienti: se in terapia, dopo un'iniziale progresso, c'è una fase di stallo o un ritorno sintomatico, vuol dire che si sta procedendo nella giusta direzione, ma che la parte "antievolutiva" di noi tende a remare contro il processo terapeutico e a riportarci allo status quo antea. Ma, poichè nella quasi totalità dei casi è un momento transitorio, dunque si procede con calma e attenzione al momento della terapia.


    Concordo con arwen su quanto sia difficile vedere qualcuno che è in terapia soffrire, soprattutto se ci teniamo. Mi si stringeva il cuore a vedere certe mie amiche in condizioni difficili (e io le avevo inviate da una persona di cui ho piena fiducia!!!). Ma mi sono forzata all'astensione, all'attesa. Perchè ognuno deve fare il suo percorso. Con i suoi tempi. E deve anche prendersi la piena responsabilità della relazione terapeutica.
    Vero è che "noi che siamo del mestiere" possiamo subodorare prima se ci sono cose che non vanno. Ma ogni paziente, in terapia, se qualcosa non va sperimenta un disagio che lo porta ad elaborare, sognare, agire o fare degli agiti, prima o poi. In questo forum c'è una discussione di una paziente molto interessante in merito (quella sui ritardi della terapeuta) che mostra bene come anche il più fiducioso dei pazienti può sollevare una questione importante. L'eccessiva sollecitudine o la tendenza all'interventismo diventano un problema nostro e un sintomo di sfiducia nell'altro.

    L'allenamento al non agire è una prova durissima per noi tutti. Ma necessaria.
    Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
    (Haruki Murakami)

  9. #9
    Partecipante Leggendario L'avatar di pinga
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    Citazione Originalmente inviato da arwen Visualizza messaggio
    Siccome Pinga è anche psicologa, mi viene da dirle invece di provare, per quanto è possibile ovviamente, a uscire dal ruolo (lo psicologo lo si FA...non lo si E'!!) e a provare ad essere semplicemente persona che cerca di stare accanto a qualcuno che sta male, magari soffrendo insieme a lui, incavolandosi per come reagisce e soprattutto "spegnendo l'interruttore" delle domande sul percorso che questa persona fa (in fondo è così che fanno le persone "non addette ai lavori"!)
    Premettendo che sono ignorantissima sulla terapia: non sono una psicologa clinica. Trattami meno come tua pari e considera che rischio di essere sempre un passo dietro di te nella discussione.
    Assumere un ruolo diverso da quello di psicologa è proprio quello che sto facendo. Nel senso che, se facessi la psicologa, mi preoccuperei dell'alleanza terapeutica e tutto e lascerei tutto il mondo com'è, proprio perché so come possono andare le cose in terapia (e lo so anche di più adesso, dopo gli ultimi post di qualcuno che sono illuminanti e vi ringrazio).
    Ma, dato che sono una persona, prima che una psicologa (mi pare di averlo scritto anche qualche post, ma forse non mi sono spiegata bene) vedo - vedo - una persona che da settimane non si alza dal letto e non va a lavoro e questo per me è gravissimo, per lei è gravissimo, non ho bisogno di essere "del mestiere" per accorgermene, per fare eco a Morgana-z. a quel punto domande me le faccio, dal momento che 1. non sono un robot 2. sono curiosa di sapere in generale 3. mi dispiace che questa persona stia male.
    Come si fa a spegnere l'interruttore delle domande io non lo so: probabilmente voi sarete bravissime a farlo, ma io da persona (non da psicologa*) non sono capace sarà che sono abituata a pormi domande su tutto.

    In effetti comunque, spostando la cosa su un piano generale, mi chiedo come un parente/amico/partner può gestire, vuoi anche affrontare, a sua volta, il peggioramento della persona in terapia. La relazione terapeutica ok, ma poi tutto si riversa sull'esterno no?

    Citazione Originalmente inviato da Morgana-z Visualizza messaggio
    se in terapia, dopo un'iniziale progresso, c'è una fase di stallo o un ritorno sintomatico, vuol dire che si sta procedendo nella giusta direzione, ma che la parte "antievolutiva" di noi tende a remare contro il processo terapeutico e a riportarci allo status quo antea. Ma, poichè nella quasi totalità dei casi è un momento transitorio, dunque si procede con calma e attenzione al momento della terapia.
    Mi interessa tanto questa cosa. E' sempre meglio rientrare nella zona di comfort, anche se non proprio piacevole, che affrontare un cambiamento sono d'accordo. Ho seguito dei workshop di improvvisazione teatrale che avevano l'obiettivo di farci uscire dalla zona di comfort e dai nostri schemi, gestendo la situazione: era veramente complesso per noi tutti, perché venivamo continuamente messi alla prova con situazioni inattese ed eravamo chiamati in causa a metterci in gioco, ma reagivamo tentando di ripristinare l'equilibrio iniziale. Alla fine del workshop finalmente le difese hanno ceduto, ma che fatica.

    Mi chiedo come possa il percorso psicoterapico compromettere un livello di funzionamento. Adesso non sto facendo domande sul mio specifico caso, eh occhio. Però mi sembra un po' buffo, ecco. Oltre che molto pericoloso imho. E ripeto: non trattatemi come pari affatto, sto facendo domande da ignorante in materia.

    Ps: non saltate alle conclusioni "non hai fiducia nella terapia". Non è questo il punto: troppo facile.

    Citazione Originalmente inviato da Morgana-z Visualizza messaggio
    l'allenamento al non agire è una prova durissima per noi tutti. Ma necessaria.
    Per me l'allenamento al non agire è contro la stessa natura umana. Secondo me non è sempre la soluzione migliore, non saprei... poi dipende dai casi

    Citazione Originalmente inviato da Lyanne Visualizza messaggio
    la decisione di una persona "terza" di intervenire possa costituire un vero e proprio tentativo di rottura dell'alleanza terapeutica.
    Non sono convinta. Un'ora a settimana sto dalla terapeuta ma le altre 600 ore sono costantemente esposta al rischio di contaminare la relazione perché faccio cose, vedo persone, parlo con amici e chiedo loro consigli e opinioni e loro ne chiedono a me, leggo articoli, mi creo idee, altre le abbadono e bla e bla e bla e grazie al cielo che questo accada.
    Ora non è che a cannone io debba andare da qualcuno a dirgli "stai attento che questo psicoterapeuta uhm". Ma almeno gradirei capire alcune cose, per iniziare. Poi il resto si vede, stando al varco, dialogando, con il tempo e così via.

    Citazione Originalmente inviato da Lyanne Visualizza messaggio
    Infine, scusami,non capisco cosa c'entri il fatto che tu sia stata moderatrice su questo forum in merito all'aver aperto questa discussione, con un argomento, peraltro, molto interessante.
    Perché volevo comunicare a Morgana-z di non voler aprire discussioni intimistiche ma di voler creare una discussione che offrisse valore aggiunto in nome del fatto che conosco questo forum, la sua utenza, e la stimo. Non volevo mantenere un livello basso ecco, perché non è da Ops, tutto qui.
    Tuttavia mi scuso anticipatamente se forse il livello un po' basso si manterrà comunque perché, in alcuni momenti, è come se mi parlaste di cose che percepisco siano per voi assiomi basilari, concetti fondanti, quelle robe scritte sui libri e che sono diventate il vostro faro (tipo la relazione terapeutica che è sacra, tipo l'importanza della non-interferenza esterna, ecc...). Tuttavia non riesco a capire completamente, forse perché non capisco che sono ferri del mestiere, forse perché un po' le vedo come assolutismi, forse perché appunto sono schifosamente ignorante in materia e di questo mi scuso o forse anche perché le ho incontrate nei libri anche io e, dopo una riflessione molto personale, le ho ritenute valide ma non per tutto e non per tutti.
    Ultima modifica di pinga : 26-11-2014 alle ore 15.36.26

  10. #10
    Postatore Epico L'avatar di Morgana-z
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    Ciao Pinga,
    ti rispondo cercando di essere esauriente.
    -Quando una persona va in terapia, proprio perchè la psicoterapia NON è una terapia come le altre, ed è anzi particolarmente esclusiva (il fatto che il paziente non debba parlare di ciò che avviene in seduta stimola moltissimo il senso di esclusione e l'invidia per qualcosa che non si può condividere, e quindi dubbi e perplessità) porta le persone vicine al paziente a cominciare ad avere una grande curiosità, e non è infrequente che comincino a fare domande, cercando talvolta psicologi, psichiatri o medici a cui chiedere pareri e conferme, tentando di capire se il terapeuta in questione "è capace di fare il proprio lavoro e sappia come fare con il nostro caro".
    Dubbi leciti, ma non opportuni.
    Perchè se una persona ha scelto un professionista, si sarà ovviamente informato, avrà fatto confronti, avrà scelto per il meglio. Ha fatto una scelta SUA. E se sta affrontando una terapia vuol dire che ci si trova bene. O che, se ci sta male, ha difficoltà ad esprimere il dissenso. E anche questo fa parte della terapia. Ma, al di là di queste cose, quella persona sta facendo un cammino solo suo e si prende la responsabilità del proprio benessere. Dunque, se affronta una fase delicata o se è in un momento di calo umorale, questo è quello che tu vedi dall'esterno, ma non sai cosa stia accadendo dentro la persona e dentro la cura. E, tuttavia, non ti è dato saperlo. Per amore spesso vorremmo lenire la sofferenza altrui, o sollevare dal dolore chi soffre. Ma si diventa forti solo affrontando le proprie fragilità. E la terapia serve anche a questo. Poi, se il momento di vita è critico o il disturbo molto strutturato, una persona in terapia non è mai sola. Sa che, quando ha bisogno e se sa veramente fidarsi, può ricever aiuto dal proprio terapeuta. Ma ognuno ha i propri tempi. E dobbiamo imparare a rispettarli.
    -Il non agire. Tu dici che ti sembra una cosa innaturale. Ma in realtà è anche un modo per permettere che ognuno affronti le proprie esperienze e se ne prenda le responsabilità, che impari anche dai propri fallimenti e scopra il gusto straordinario di una conquista. Non possiamo fare le cose al posto degli altri per proteggerli, prenderli in braccio per timore che non siano capaci o si affatichino. Peraltro, questo comportamento (oltre a farci sembrare dei crocerossini) nasconde una velata sfiducia nell'altro, come se senza di noi non fosse capace di farcela.
    -Tu hai scritto che fai terapia. Potresti porre al tuo terapeuta tutti questi interrogativi. Riceveresti delle risposte più circostanziate di quelle che potresti avere qui e sarebbe un modo per comprendere anche qualcosa in più di te stessa. Peraltro, proprio perchè tu fai terapia, alcuni quesiti che poni mi sembrano strani. Sai bene pure tu quanto la segretezza del setting, il rispetto dei tempi soggettivi e il sostare anche nelle emozioni più cupe facciano parte del percorso. Anzi, nella mia esperienza, il ricordarsi che il momento buio serve per rivedere la luce era una delle cose che sentivo dire a me e ai miei colleghi mentre facevamo terapia.
    -Contaminare la relazione. Chi ha fatto terapia ha esperito questa dualità dentro-fuori, l'ora di elaborazione e l'intera settimana "catapultati" dentro le cose. Ma questa non è contaminazione, bensì la vita reale. La contaminazione si ha quando esponi quanto è emerso e si è realizzato nella stanza d'analisi ad "agenti esterni", quando porti fuori le cose dal setting e, tolte dal loro contesto, lasci che vengano fraintese, distorte e possano influenzarti rispetto al successivo colloquio o al percorso. Anzi, la vita fuori dalla stanza d'analisi è la fonte del lavoro del setting e il suo stesso banco di prova. Se uno non si mette in gioco quando esce da quella stanza forse sta solo fingendo di fare il percorso, o lo fa solo in modo superficiale. E la terapia perde di significato. E' naturale e giusto stare con gli altri, cambiarsi opinioni e parlare. Ma non parlare di quanto accade in terapia, perchè loro non sono lì. E francamente spesso riportare cose fuori ti porta a cercare alleati che siano tuoi complici nel permanere nella zona di comfort mentre invece dovresti metterti in discussione. Come ti ho già scritto, se vuoi capire dei fenomeni della terapia è ad una terapeuta che devi chiedere. Perchè la psicologia, la psicoterapia, non sono "senso comune".
    -Il rischio in cui potresti incorrere è quello di attentare ad una psicoterapia altrui indagando su questi concetti ma non per saperne di più, bensì per trovare qualcosa che attesti la scarsa bravura di una certa terapeuta. E questo sarebbe un'attacco al setting.
    Questi concetti che definisci assiomi, o fari, sono concetti che abbiamo studiato tutti, e che a leggerli sui libri lasciavano talvolta anche me perplessa. Ma, nella mia esperienza di paziente e nel mio lavoro di terapeuta, mi trovo a verificarne la validità nella pratica clinica, che è qualcosa che le parole sui libri (sintetiche e teoriche) non rendono ovviamente nella giusta misura. Ma non sono baluardi dietro cui nascondersi e difendersi. Credimi, nella mia formazione ho lavorato molto anche sulle trasgressioni del setting, e la riflessione sugli errori mi è stata molto più costruttiva di quella sulle "giuste vie". Non si tratta di difendere le basi del nostro lavoro, o di difendere la collega terapeuta, no. Semplicemente è che queste regole hanno tutte un senso. E sono necessarie, se veramente si vuole affrontare un vero cambiamento.
    Spero di continuare gli scambi.
    Ciao!
    Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
    (Haruki Murakami)

  11. #11
    Partecipante Leggendario L'avatar di pinga
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    Ciao Morgana-z, grazie per la risposta.

    E' molto importante che la vita reale sia il contesto che poi va elaborato dentro il setting.
    C'è tuttavia una cosa che mi basisce: non so quale orientamento hai nel tuo lavoro ma, personalmente, non ho mai sentito parlare di contratti terapeutici che includano di non parlare della propria terapia con gli altri. Posso citarti molti casi in cui mi è capitato personalmente di sentire gente che tranquillamente parla della propria terapia e si confronta con altri in merito. In sostanza, mi parli di una sorta di regola, ma ho la sensazione che i pazienti questa regola non la colgano appieno perché, uscendo dallo studio, fanno un po' quello che vogliono.
    Questo può voler significare che, più o meno volontariamente, più o meno inconsciamente, un'influenza c'è nell'opinione che si ha della propria terapia, del terapeuta, della relazione, della propria o delle proprie problematiche e debolezze. Siamo probabilmente un mondo di persone che resistono al cambiamento... o magari che tentano di accelerare questo cambiamento anche per vie traverse, chissà. Fare di tutta l'erba un fascio è così difficile hai ragione, generalizzare non si può, e direi anche meno male.

    Dico queste cose probabilmente anche perché sono un'osservatrice comportamentale, per cui lavoro poco in laboratorio/studio e molto nell'ambiente stesso degli utenti. Mi piace vedere come, anche micro-micro comportamenti, siano in grado di modificare le sensazioni, emozioni, opinioni e comportamenti degli altri.
    E' interessante come io e te costituiamo due lati dello stesso mondo. Tu, dentro lo studio, ascolti il mondo dei tuoi utenti filtrato dal loro modo personalissimo di vederlo. Io, direttamente nel loro setting, osservo come i mille stimoli esterni li modificano e li influenzano. Il filo che unisce lo studio e il mondo esterno è il paziente/utente stesso, che ti viene a raccontare un mondo di sensazioni, emozioni ed impressioni frutto di tutte le microcose che sono accadute nei giorni trascorsi ed elaborate.

    Per questo anche quando mi parli del non agire, riconosco l'importanza. Le tue argomentazioni sono sacrosante e soprattutto quelle relative all'indipendenza sono incredibilmente vere. In ogni caso, ho la vaga sensazione che il non agire possa verificarsi per troppo poco tempo, perché non siamo inerti: nelle nostre parole influenziamo risposte, nei nostri gesti tradiamo fastidio, nella nostra stessa posizione o prossemica tradiamo il rifiuto o il dolore, nell'amore tradiamo il bisogno di proteggere.

    Passando - ma proprio brevemente - sul piano personale, ma solo perché ne hai parlato tu abbondantemente esprimendo anche qualche giudizio su di me un po' affrettato, ripeto che non andrei mai a cannone da una persona a dire che il suo terapeuta non è bravo e quant'altro, "attentando" (mi permetto di usare questo tuo termine) alla relazione. Sono solo interessata a capire e non lo faccio né per invidia né per fare la crocerossina. Cerco di essere una persona normale, cioè di non fare la psicologa, che vede una persona che ama non alzarsi dal letto la mattina e, per quanto belle e interessanti siano le dinamiche della psicoterapia, per quanto piene di fari e parole e di regole importanti, rimane sempre una persona che la mattina non va a lavorare. Con questo non dico che è colpa della psicoterapia, assolutamente non mi permetto, ma pensavo e penso possa avere la propria fettina di responsabilità.
    Chiudo la parentesi personale, tra l'altro in effetti davvero troppo personale per trattarla qui, mentre il discorso generico che si sta sviluppando è carino. Un saluto.
    Ultima modifica di pinga : 28-11-2014 alle ore 16.56.13

  12. #12
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    E' vero quello che dici, Pinga, noi lavoriamo su due versanti differenti dello stesso universo, ma non per forza osserviamo nello stesso soggetto cose complementari.
    Tu osservi i comportamenti, azioni e reazioni.
    Chi lavora come me in ambito psicodinamico osserva sì i comportamenti, ma si concentra molto di più sulle emozioni e sulle difese che determinano, influenzano o a volte frenano i comportamenti. Che io osservo pure, ma richiamandoli al mondo interno che li genera in quanto espressione di desideri o talvolta "mistificazione" degli stessi.
    Descrivi in modo intessantissimo noi due. Tu come un'osservatrice "naturalista", io come una biologa di laboratorio. Come se tu guardassi le cose in toto e chi lavora in studio, invece, solo una piccola parte, come se chi fa il mio lavoro vedesse solo ciò che il paziente vuole portare (con distorsioni e manipolazioni volontarie). E, col sorriso, mi sembra di essere descritta come un'eremita fuori dal mondo (cosa che, nella realtà, non è affatto così!)
    Quello che dici non è proprio esatto.
    Perchè molto spesso i comportamenti possono essere straordinariamente costruiti e molto poco "naturali", e anche i cambiamenti a livello di comportamenti talvolta possono essere solo di superficie.
    Allo stesso modo quando un paziente viene in studio può anche raccontarmi un mucchio di bugie, o lavorare in seduta ma poi lasciar cadere tutto quanto una volta varcata la soglia. Il fatto è che ciò che interessa a me non sono i fatti oggettivi, ma il senso di quei fatti, le motivazioni delle azioni, i desideri che generano i comportamenti e, anche per le bugie, il motivo per cui un paziente stesso se le racconti e me le racconti.

    Per entrambe probabilmente vale un punto comune: se il paziente "finge" di fare dei cambiamenti a noi giova forse qualcosa, o si sta prendendo in giro egli stesso?

    Ciò che io osservo nel mio lavoro e che costituisce un segno del progresso è il constatare come il mio paziente, nelle cose che mi porta, operi un cambiamento di prospettiva, guardando le cose in modo diverso, sperimentandosi emotivamente in modo più ampio e ammorbidendo difese troppo rigide. Ma questo non è fare, è sentire.
    Poichè lavoriamo da due prospettive teoriche molto differenti, ora capisco meglio cosa intendevi per non agire....essendo di una prospettiva comportamentale l'agire è il fulcro del tuo lavoro!
    Ma nella terapia a stampo psicodinamico (sono una psicodrammatista gruppoanalista, formata secondo la teoria di Jung),in seduta il corpo si ferma e si muovono le emozioni. E' una situazione diversa dalla tua, lo capisco. E ora mi spiego anche il motivo di alcuni punti di disaccordo.
    Rispetto alla regola del silenzio, posso solo dirti che è qualcosa che il paziente deve ritenere importante.
    Cioè, sta al paziente proteggere questo spazio personale tenendo riservate per sè le cose che accadono e che si dicono.
    Alla prossima!
    Ultima modifica di Morgana-z : 28-11-2014 alle ore 19.12.57
    Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
    (Haruki Murakami)

  13. #13
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    Chiaramente ogni situazione è a sé ma io mi sono anche chiesta quanto magari, dal di fuori, tendiamo a identificare il ripiegamento con lo stare male e l'euforia con lo stare bene, soprattutto quando vediamo delle variazioni in una persona. Non necessariamente è così, anzi...
    Sono d'accordo con il resistere all'intervento, qualunque sia l'orientamento della terapia non importa, è questione "tra due" (e qualunque sia l'orientamento mi chiederei da dove viene il bisogno di intervenire). Che i pazienti possano parlare della terapia al di fuori del setting, mi sembra una cosa normale, ma non credo che questo possa infuire sulla buona riuscita della terapia, dove, quello che conta, è la relazione tra due.
    Per tornare al discorso iniziale, se un buon andamento della psicoterapia (io mi riferisco sempre all'orientamente psicoanalitico) significa entrare in contatto con il proprio vissuto e le proprie emozioni, anche e soprattutto negative, se l'obiettivo è la caduta, faticosa e graduale, delle difese e delle maschere che a volte ci siamo costruiti, accompagnati in questo processo di cambiamento, ben venga una variazione, forse è uno segno che la terapia funziona.
    Capisco che da esterni ci possa essere tutta una serie di pensieri, ma credo sia importante essere noi, come familiari, a contatto con i nostri sentimenti, e tollerare che il rapporto sia tra solo tra quelle due persone e che sia il nostro caro a vivere il suo viaggio, anche se questo può farci sperimentare un po' di senso di esclusione e forse anche un po' di gelosia.

  14. #14
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    Citazione Originalmente inviato da Morgana-z Visualizza messaggio
    E' vero quello che dici, Pinga, noi lavoriamo su due versanti differenti dello stesso universo, ma non per forza osserviamo nello stesso soggetto cose complementari.
    Tu osservi i comportamenti, azioni e reazioni.
    Chi lavora come me in ambito psicodinamico osserva sì i comportamenti, ma si concentra molto di più sulle emozioni e sulle difese che determinano, influenzano o a volte frenano i comportamenti. Che io osservo pure, ma richiamandoli al mondo interno che li genera in quanto espressione di desideri o talvolta "mistificazione" degli stessi.
    Descrivi in modo intessantissimo noi due. Tu come un'osservatrice "naturalista", io come una biologa di laboratorio. Come se tu guardassi le cose in toto e chi lavora in studio, invece, solo una piccola parte, come se chi fa il mio lavoro vedesse solo ciò che il paziente vuole portare (con distorsioni e manipolazioni volontarie). E, col sorriso, mi sembra di essere descritta come un'eremita fuori dal mondo (cosa che, nella realtà, non è affatto così!)
    Quello che dici non è proprio esatto.
    Perchè molto spesso i comportamenti possono essere straordinariamente costruiti e molto poco "naturali", e anche i cambiamenti a livello di comportamenti talvolta possono essere solo di superficie.
    Allo stesso modo quando un paziente viene in studio può anche raccontarmi un mucchio di bugie, o lavorare in seduta ma poi lasciar cadere tutto quanto una volta varcata la soglia. Il fatto è che ciò che interessa a me non sono i fatti oggettivi, ma il senso di quei fatti, le motivazioni delle azioni, i desideri che generano i comportamenti e, anche per le bugie, il motivo per cui un paziente stesso se le racconti e me le racconti.

    Per entrambe probabilmente vale un punto comune: se il paziente "finge" di fare dei cambiamenti a noi giova forse qualcosa, o si sta prendendo in giro egli stesso?

    Ciò che io osservo nel mio lavoro e che costituisce un segno del progresso è il constatare come il mio paziente, nelle cose che mi porta, operi un cambiamento di prospettiva, guardando le cose in modo diverso, sperimentandosi emotivamente in modo più ampio e ammorbidendo difese troppo rigide. Ma questo non è fare, è sentire.
    Poichè lavoriamo da due prospettive teoriche molto differenti, ora capisco meglio cosa intendevi per non agire....essendo di una prospettiva comportamentale l'agire è il fulcro del tuo lavoro!
    Ma nella terapia a stampo psicodinamico (sono una psicodrammatista gruppoanalista, formata secondo la teoria di Jung),in seduta il corpo si ferma e si muovono le emozioni. E' una situazione diversa dalla tua, lo capisco. E ora mi spiego anche il motivo di alcuni punti di disaccordo.
    Rispetto alla regola del silenzio, posso solo dirti che è qualcosa che il paziente deve ritenere importante.
    Cioè, sta al paziente proteggere questo spazio personale tenendo riservate per sè le cose che accadono e che si dicono.
    Alla prossima!
    Ciao Morgana-z, assolutamente non ti ho dato della biologa da laboratorio né ho cercato di mettere uno scalino sotto il tuo lavoro rispetto al mio perché da quello che scrivi (come "un'eremita fuori dal mondo") mi sembra che tu senta questo. Ma voglio rassicurarti che non è vero: rilevo invece una complementarietà tra due mondi che, a mio parere, sono equipollenti ed entrambi rilevantissimi. Mi piacerebbe moltissimo capire questo passaggio, invece, ed è verissima la differenza che individui.
    Sono dispiaciuta che hai visto la mia risposta come uno sminuire il lavoro di qualcuno perché, anzi, il mio tono era molto affascinato.

    Il mio lavoro esplora i comportamenti è vero, ma l'aspetto comportamentale è solo il primo stadio. Successivamente approdo ad un'indagine che è più di carattere emozionale, e tante volte mi scontro con aspetti inconsci che non posso non tenere in considerazione. Ma è indubbio che la seduta psicoterapica lavori a tutto tondo sulle emozioni, ci mancherebbe, così come imho è vero che il comportamento è costruito ma guidato spesso da ragioni e influenza il mondo circostante. Nel mio post precedente, comunque, non parlavo di comportamenti veri e propri, quelli che costruiamo appunto come dici tu, ma proprio delle emozioni che "tradiamo" quando ci comportiamo in modo nettamente diverso dall'emozione che stiamo provando

    Non sono una comportamentista, non ho mai fatto una scuola di psicoterapia. Sono banalmente un'osservatrice del comportamento convintissima, al contrario di quello che pensi, che emozioni e comportamenti vadano a braccetto. Per tornare al discorso originario, penso che non agire sia difficile perché pur non agendo - o pur tentando di non farlo - le nostre emozioni e il nostro reale "provare" filtra spesso all'esterno e una parte di esso riesce ad essere trasmessa e comunicata all'altro.

    Se il paziente finge, il problema purtroppo è del paziente, non ci si può fare niente. E secondo me tanti fingono senza magari volerlo perché un po' di resistenza a raccontarsi c'è sempre. Ma alla fine, costruendo una buona alleanza, probabilmente queste difese si ammorbidiscono.

    Comunque una cosa io voglio dirla, e non per provocare e similia. Ma noto, nel tempo, che gli specialisti che hanno approcci diversi tante volte si guardano in cagnesco, tentando di difendere l'efficacia del proprio approccio. Questo mi è sempre accaduto con amici psicologi che hanno fatto scuole diverse o anche tra professori all'università. A me questo è sempre parso un po' buffo perché, alla fine alla base di tutto c'è che, per quanto esistano i modelli mentali, la mente non puoi "spiegarla" con un solo approccio, anzi, andandoci da più prospettive diverse ci si avvicina meglio ad essa. Se si rimane sulla propria posizione e si va addirittura sulla difensiva, invece si vede solo una parte del tutto.
    Il mio discorso infatti non era esclusivo, era necessariamente e piacevolmente integrativo. Un saluto

    A presto.

    Citazione Originalmente inviato da Lyanne Visualizza messaggio
    Chiaramente ogni situazione è a sé ma io mi sono anche chiesta quanto magari, dal di fuori, tendiamo a identificare il ripiegamento con lo stare male e l'euforia con lo stare bene, soprattutto quando vediamo delle variazioni in una persona. Non necessariamente è così, anzi...
    Osservazione molto interessante. Nel mio caso specifico io osservo una compromissione del funzionamento lavorativo, però (oltre ad altri tipi di problemi), quindi non è una cosa da pochissimo.
    Tengo a ribadirlo anche perché su questo non ho ancora ricevuto troppi spunti e non riesco a trovarne.

    Sono d'accordo con il resistere all'intervento, qualunque sia l'orientamento della terapia non importa, è questione "tra due" (e qualunque sia l'orientamento mi chiederei da dove viene il bisogno di intervenire).
    Esatto. Ma qui non intendo intervenire. Intendo solo capire.

    Capisco che da esterni ci possa essere tutta una serie di pensieri, ma credo sia importante essere noi, come familiari, a contatto con i nostri sentimenti, e tollerare che il rapporto sia tra solo tra quelle due persone e che sia il nostro caro a vivere il suo viaggio, anche se questo può farci sperimentare un po' di senso di esclusione e forse anche un po' di gelosia.
    In linea molto generale si. Molto meno se una persona non si alza dal letto la mattina.
    Non è questione di gelosia e di esclusione, anzi. Detto in poche righe, questa persona quando mi ha conosciuta mi ha riversato addosso immediatamente tutti i suoi problemi e conflitti. Parlandone in modo sereno, ho provato a parlare dell'ipotesi di tornare in terapia affinché potesse affrontare un percorso davvero funzionale dal momento che io non potevo dare aiuto alla stregua di uno specialista serio. Quindi questo problema non si pone
    Ultima modifica di pinga : 01-12-2014 alle ore 17.15.18

  15. #15
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    Riferimento: Primi mesi di psicoterapia e peggioramento del tono dell'

    Pinga,
    ho usato delle metafore esplicative che non volevano essere altro, ma sarebbero servite a cogliere in modo più immediato delle peculiarità. E' una mia caratteristica nel lavoro, lo faccio con molto senso pratico ed ironia, perchè talvolta un'immagine aiuta meglio di tante parole la comprensione. Ma non mi appartengono i sentimenti che mi attribuisci.
    E' vero che talvolta gli specialisti diventano dei puristi del proprio orientamento e difensori ad oltranza ed acritici dello stesso, ma non è il mio caso, perchè non vedo nella molteplicità e nella diversità degli orientamenti nulla che attenti o sminuisca il mio lavoro.
    Anche perchè, e questo posso dirlo senza tema di smentita, quando un paziente sceglie un determinato approccio lo fa anche sentendoselo congeniale, e anche questo determina l'efficacia di un qualsiasi trattamento di cura. Se un paziente sente di potersi trovare bene con l'approccio X e la cura Y, che senso ha affermare:"No, sarebbe meglio la teoria C e la cura D?". Per la mia esperienza, la scanna tra gli approcci e i professionisti (e di conseguenza la mancanza di coesione della nostra categoria) denota una scarsa fiducia nelle proprie competenze professionali, una scarsa convinzione che la propria professionalità sia ben costruita su basi teoriche e pratiche solide.
    Se ognuno di noi è sereno del suo, è anzi piacevole aprirsi e confrontarsi proprio a partire dalle nostre differenti prospettive.
    Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
    (Haruki Murakami)

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