Laddove l'impostazione comportamentista teneva in non cale la mente del soggetto durante le fasi apprenditive, risolvendo le sue domande in un rapporto di trasmissione ovvero di controllo delle risposte sulla base delle informazioni (dei dati) contenuti negli stimoli forniti dal docente ex cathedra, a cui dare risposte corrispondenti di azioni motorie (comportamenti) osservabili, il cognitivismo ristabilisce non solo il ruolo della mente del soggetto nei processi apprenditivi -elaborativi ma, eziandio, stabilisce canoni (modalità e regole) fondamentali quali quelli dell'apprendimento significativo, del problem solving. in definitiva si tende a far si che lo "studente" acquisti una precisa consapevolezza di processi cognitivi di cui era soggetto passivo, quindi inconsciamente -senza partecipazione decisoria- posti in essere, nella impostazione comportamentista (sia quella classica che quella operante). Si ha, insomma, una decisa responsabilizzazione del soggetto che deve apprendere, nell'individuare le soluzioni necessarie quando dovesse trovarsi innanzi ad un problema. Da questo punto di vista, il cognitivismo stabilisce la fondamentalità di schemi esistenti nel patrimonio delle conoscenze acquisite esperienzialmente e memorizzate, schemi che economizzano le nostre classificazioni, cioè le categorie con le quali organizziamo le percezioni oggetive del mondo, oltre al ricorso a modalità risolutive quali possiamo individuare nelle: 1.euristiche, 2.negli algoritmi e 3.negli scripts (le prime sono regole approssimate a cui ricorriamo quando i problemi da risolvere non sono ben definiti; esse funzionano a volte, ma si arrestano davanti all'imprevisto o al verificarsi del contrario rispetto alle nostre ipotesi; i secondi costituiscono regole date su problemi definiti che funzionano in qualunque circostanze, mentre i terzi sono regole che ci servono routinariamente per raggiungere i nostri scopi mediante processi cognitivi a noi già noti ed automatizzati). Il comportamentismo si poneva l'obiettivo del controllo comportamentale attraverso l'erogazione di stimoli particolari (è noto il caso di Watson che fece impazzire il figlio, sottoponendolo a stimoli sonori corrispondenti alle fobie ingenerate verso animali [Watson sosteneva di poter trasformare chiunque in qualunque cosa]), mentre il cognitivismo mira sinteticamente ad insegnare ad imparare ed all'insegnamento significativo. Quando diciamo: imparare ad imparare non possiamo sottacere la metacognizione che accompagna una tale procedura, ovvero la consapevolezza dei livelli di difficoltà del problema, quindi del problema in genere, e le strategie operate per affrontare tali difficoltà. Se Flavell indicava l'evento cognitivo come composto dalla conoscenza metacognitiva e dalla esperienza metacognitiva (livello di conoscenza del compito da cui deriva la prima), Brown inserisce la metacognizione nella dimensione metamnemonica (non a torto secondo noi, poiché dichiarativamente noi facciamo ricorso proprio alla memoria a lungo termine). Va da sé che i processi cognitivi abbisognano per la soluzione del problema e dei loro livelli di difficoltà, di un corretto funzionamento della memoria a breve termine, notoriamente organizzata in loop fonologico, taccuino visuo-spaziale e buffer episodico (una sorta di codice per decrittare e collegare i vari linguaggi con cui le informazioni contenute negli stimoli subiscono l'elaborazione atta ad essere attenzionata e che impulsa la decisione). Naturalmente, altrettanto rilevanti nell'apprendimento cognitivamente memorizzato sono i processi attentivi e l'esecutivo centrale che governa il processo di selezione e "ritenuta" mnemonica. Rimane in discussione se, a livello attentivo, le informazioni ritenute non importanti siano filtrate e neglette, come dice Broadbent o piuttosto non siano semplicemente accantonate in qualche spazio temporo-talamico o paraippocampale da cui venir fuori al momento opportuno. L'importanza della metacognizione trova conferma in almeno tre precedenti della leteratura cognitivista nelle sue varie forme: in Piaget (sviluppo cognitivo), in Vygotskij (società e controllo cognitivo), in Richard (elaborazione della informazione). La conoscenza/regolamento metacognitiva/o, dà vita in realtà alla conoscenza autoregolata (afferente la memoria autobiografica), quando si pensa ai livelli di stoccaggio e reperimento dei dati in memoria di cui in Campione e Brown. Per altri si parla invece di livelli di intelligenza distinti in processi subordinati a realizzare azioni e processi dominanti di coordinamento. Distinguere fra conoscenza metacognitiva e controllo metacognitiva non è una distinzione fattuale e di procedure, poiché la seconda ci fa identificare i momenti in cui procedere o utilizzare una data strategia. Il dato assolutamente importante è, in ambito didattico, non QUANTO si apprende, ma COME si impara. L'accento si sposta dall'evoluzionismo darwinista ad una evoluzione decisa dalla qualità dei processi mentali validi caso per caso, secondo differenze individuali che sono riconosciute e valorizzate, agenti autonomamente senza alcun controllo o direzione imposta dal docente ovvero dallo scienziato sperimentatore. Allora si attenzionano soprattutto due teorie, alle quali abbiamo già accennato: teoria degli schemi e problem solving: la prima consente di concettualizzare un apprendimento per "accrescimento", "sintonizzazione", "ristrutturazione"; la seconda, prefigura un meccanismo di intervento in situazioni per le quali le nostre memorie ataviche autobiografiche NON hanno a disposizione una metodologia di intervento, in rapporto al nuovo problema da risolvere. Non ci dilunghiamo oltre, credendo che tanto basti per aprire il dibattito fra noi colleghi.

CLAUDIO PIRILLO