“Anche gli esperimenti in ambito clinico sembrano confermare questa ipotesi, gli esperimenti di McGinnes sulla “difesa percettiva” (perceptual defense). Il soggetto è posto di fronte a un tachistoscopio, un dispositivo che fa apparire le parole attraverso una piccola apertura per periodi di tempo molto brevi. Con poche parole di prova viene stabilito il valore di soglia del soggetto a cui poi si chiede di riferire allo sperimentatore qualunque parola veda o creda di vedere ogni volta che appare attraverso l’ apertura. La lista delle parole, usate nell’ esperimento, è composta sia da parole neutre che da parole ‘critiche’ (che presuppongono una reazione emotiva, come ad es.: violentare, lurido, puttana). Se si confronta il rendimento del soggetto con le parole neutre e con quelle critiche si nota che le soglie più elevate si riscontrano, in modo significativo, per le parole critiche ( il soggetto ne ‘vede’ di meno).
Ma se il soggetto commette più errori con le parole socialmente tabù è evidente che prima ha dovuto identificarle come tali e poi convincersi di non essere in grado di leggerle. In tal modo si risparmia l’ imbarazzo di doverle leggere a voce alta allo sperimentatore.”
Paul Waltzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della Comunicazione Umana,Astrolabio, Roma 1971, p.69
Da questa delucidazione possiamo trarre delle riflessioni molto importanti.
Più che il problema in se è la percezione che ha il soggetto rispetto al problema a costituire il problema.
Nella misura in cui il soggetto considera il problema non alla sua portata, vedi l’ esempio sopra, seleziona l’ informazione per confermare questa percezione.
Ciò significa che anche nella misura in cui l’ ambiente, il terapeuta ad esempio, fornisse strumenti operativi di assoluta efficacia, il soggetto potrebbe non vederli. Anzi, tutto fa pensare che potrebbe ‘selezionare’ in ogni caso gli strumenti giusti per fallire piuttosto che quelli per risolvere!.
Tutto ciò è sconcertante. Si pone quindi come obbiettivo primario, la ristrutturazione del problema. Aiutare il soggetto a percepire il problema come piccolo e risolvibile, indipendentemente dalle dimensioni di questo. Nell’ esempio, aiutare il soggetto a percepire che può riferire allo sperimentatore ‘puttana’ anche senza provare imbarazzo.
Anzi, una volte che il soggetto percepisce il proprio problema come piccolo e risolvibile è possibile che orienterà le proprie energie per confermare questa percezione e portarsi verso la soluzione.
Il punto. Quale metodologia e tecnica è più appropriata per ridimensionare il problema?.
Rubens