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  1. #76
    Partecipante Affezionato
    Data registrazione
    08-01-2013
    Messaggi
    73

    Riferimento: lavoro neuropsicologo...facciamoci un'idea

    Ottima risposta. Grazie Psychocircus, mi hai chiarito un po' di cose. Anche se non mi è chiaro come possa il neurologo conseguire una specialistica in Neuropsicologia dal momento che per iscriverti in una di queste specialistiche si devono possedere alcuni crediti nelle aree PSI. Molto probabilmente sono crediti che si recuperano, ma questo potrebbe poter significare che di Neurologi specializzati in Neuropsicologia, oggi, nell'ambito clinico, ce ne siano molto pochi. Si spera sia così.

    Dando una interpretazione un po' fantasiosa e pessimista della questione mi viene però quasi da pensare che il Neuropsicologo sia come un "manovale" della pratica clinica. Anche se è ovvio che la qualità della terapia e l'incidenza che la conoscenza degli aspetti cognitivi ha su di essa risentono molto di questa piccola parte di scienza di cui si occupa lo psicologo cognitivo.

    La mia domanda sorgeva, in realtà, non per interesse diretto nei confronti della terapia, ma perché ero curioso di capire quali conoscenze possedesse uno e quali l'altro in media. Questo perché essendo più appassionato del versante della ricerca pura noto che spesso gli articoli, gli argomenti di studio, le teorie induttive, le ipotesi, i paradigmi di ricerca inventati e utilizzati, portati avanti da psicologi cognitivi o neuropsicologi sono molto più complessi e interessanti (spesso fantasiosi) rispetto a quelli perpetrati da medici. Mi vengono in mente Dehaene, Haggard, Sirigu, ecc.

    In realtà mi risulta difficile credere che il neuropsicologo sia l'unico specialista dei sistemi cognitivi (teorici). Ho sempre pensato che questo campo di ricerca fosse comune alle varie cliniche che si occupano di problematiche cerebrali. Evidentemente mi sbagliavo.

  2. #77

    Riferimento: lavoro neuropsicologo...facciamoci un'idea

    Citazione Originalmente inviato da IoSonoMarco Visualizza messaggio
    Ottima risposta. Grazie Psychocircus, mi hai chiarito un po' di cose. Anche se non mi è chiaro come possa il neurologo conseguire una specialistica in Neuropsicologia dal momento che per iscriverti in una di queste specialistiche si devono possedere alcuni crediti nelle aree PSI. Molto probabilmente sono crediti che si recuperano, ma questo potrebbe poter significare che di Neurologi specializzati in Neuropsicologia, oggi, nell'ambito clinico, ce ne siano molto pochi. Si spera sia così.
    Oggigiorno per acquisire il titolo di “neuropsicologo” occorre fare una scuola quadriennale (ce ne sono 3 o 4 in Italia). Si tratta di scuole ad accesso limitatissimo (mi pare che alla Bicocca prendano 1 o 2 persone). Dunque di “neuropsicologi” ufficiali ce ne sono pochissimi. Nella realtà, il 95% dei neuropsicologi italiani non ha frequentato tali scuole, ma ha acquisito competenze sul campo o tramite master (io, ad esempio) eppure sono tutti “neuropsicologi”.
    Dentro questa categoria ci sono anche i neurologi specializzati in neuropsicologia. Non hanno frequentato alcuna scuola di specializzazione in neuropsicologia, ma si sono formati sul campo, o in università.
    Ad oggi direi che nell'area la maggior parte dei neuropsicologi ha una laurea in psicologia, invece nel campo della ricerca direi 50% psicologi e 50% neurologi.
    In passato, invece, clinica e ricerca neuropsicologica erano territori presidiati esclusivamente da neurologi (almeno in Italia).
    Negli ultimi anni, i diversi corsi di laurea, master, ecc. delle facoltà di Psicologia, hanno fatto in modo che molti più psicologi si avvicinino all’area neuropsicologica.


    Citazione Originalmente inviato da IoSonoMarco Visualizza messaggio
    Dando una interpretazione un po' fantasiosa e pessimista della questione mi viene però quasi da pensare che il Neuropsicologo sia come un "manovale" della pratica clinica. Anche se è ovvio che la qualità della terapia e l'incidenza che la conoscenza degli aspetti cognitivi ha su di essa risentono molto di questa piccola parte di scienza di cui si occupa lo psicologo cognitivo.
    “Manovale della pratica clinica” è terribile
    Non vederla così nera, su…
    Nel caso delle valutazioni, il neuropsicologo è un “importante consulente”, aiuta il medico ad avere elementi preziosi per una corretta diagnosi e trattamento.
    Nel caso della riabilitazione, il neuropsicologo è un “importante protagonista”. Pensa ai casi di ictus, quando a livello farmacologico la lesione è curata, ma il paziente presenta una serie di sintomi cognitivi, e il medico non serve più a nulla. In questo caso, il neuropsicologo, tramite il programma riabilitativo fa in modo che il paziente recuperi e migliori la funzionalità cognitiva (così come il fisioterapista si occupa della funzionalità neuro-motoria e il logopedista della funzionalità linguistica-deglutitoria).
    Se ci pensi, non è poco..

    Citazione Originalmente inviato da IoSonoMarco Visualizza messaggio
    La mia domanda sorgeva, in realtà, non per interesse diretto nei confronti della terapia, ma perché ero curioso di capire quali conoscenze possedesse uno e quali l'altro in media. Questo perché essendo più appassionato del versante della ricerca pura noto che spesso gli articoli, gli argomenti di studio, le teorie induttive, le ipotesi, i paradigmi di ricerca inventati e utilizzati, portati avanti da psicologi cognitivi o neuropsicologi sono molto più complessi e interessanti (spesso fantasiosi) rispetto a quelli perpetrati da medici. Mi vengono in mente Dehaene, Haggard, Sirigu, ecc.
    Beh, si tratta di angolature differenti da cui osservare la realtà.
    In campo medico l’interesse è più di natura biologica, in campo psicologico l’interesse è sul comportamento.
    Direi che la neuropsicologia e le neuroscienze cognitive sono affascinanti proprio perchè fanno da ponte tra queste due aree.
    In ambito neuropsicologico, di fronte ad un disturbo (ad. esempio un disturbo del linguaggio orale: l’afasia) ci si muove sempre su questi tre livelli:
    - Cervello, cioè la lesione (lesione ischemica sinistra in area post-rolandica)
    - Comportamento, cioè i sintomi (difficoltà a produrre parole, numerose parafasie lessicali)
    - Mente, cioè il modello cognitivo (compromissione del magazzino fonologico di output del modello a doppia via di Patterson)

    Citazione Originalmente inviato da IoSonoMarco Visualizza messaggio
    In realtà mi risulta difficile credere che il neuropsicologo sia l'unico specialista dei sistemi cognitivi (teorici). Ho sempre pensato che questo campo di ricerca fosse comune alle varie cliniche che si occupano di problematiche cerebrali. Evidentemente mi sbagliavo.
    Le teorie cognitive sono nozioni meramente psicologiche, quindi su base comportamentale. L’esame di psicologia cognitiva in certi corsi di laurea italiani di psicologia non è nemmeno previsto, figurati nei corsi di medicina. I medici sanno poco e niente del sistema cognitivo perché si basa tutto su teorie e modelli che non fanno certo parte dell’approccio medico e ai fini terapeutici non è utile; al contrario conoscere il sistema cognitivo è invece essenziale per realizzare una riabilitazione cognitiva adeguata.
    Inoltre, oggi si sa tutto della biologia del cervello a livello motorio e sensoriale; a livello associativo-cognitivo invece la situazione è molto più confusa.

    Ad ogni modo, è il medico che legge le valutazione neuropsicologiche, e questa sua carenza di conoscenze del sistema cognitivo va tenuta in considerazione dal neuropsicologo, soprattutto quando egli scrive il referto.
    Esempio pratico. Sotto trovate due frasi, dicono esattamente la stessa cosa, ma con un linguaggio molto differente:

    - Il paziente presenta un deficit di attenzione visiva, in cui l’orientamento esogeno è iperattivato a discapito di quello endogeno.

    - Il paziente presenta forte distraibilità verso stimoli esterni e difficoltà nel mantenere la concentrazione nel compito.

    La prima frase è troppo “cognitiva-teorica”, il medico non capirebbe nulla; la seconda invece è molto più “comportamentale”, sicuramente preferibile. Questo approccio vale quando l’obiettivo è la chiarezza espositiva per un interlocutore che non conosce in modo approfondito il sistema cognitivo.
    Il discorso cambia quando l’obiettivo è stendere un programma di riabilitazione. In questo caso è essenziale sapere qual è il processo cognitivo compromesso, perché sarà la base su cui impostare il lavoro con il paziente.
    Ultima modifica di psychocircus : 05-09-2014 alle ore 12.17.17

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