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  1. #16
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
    Data registrazione
    30-06-2005
    Messaggi
    335
    Ho letto anche con interesse l'idea di che cosa per te sia un dato oggettivo in psicologia.

    Attenzione, quello che ho scritto non è che cosa è per me un dato oggettivo in psicologia, ma è ciò su cui concordano gli scienziati di tutte le discipline per definire una conoscenza scientifica in generale. La caratteristica fondamentale è l’oggettività:
    Un individuo compie le stesse osservazioni nelle medesime condizioni in tempi diversi + persone diverse compiono le stesse osservazioni nelle medesime condizioni. Altre elementi fondamentali sono quelli di variabile, di controllo, etc, ma soprattutto, come ti ho scritto più in basso, quella di misurazione.


    A mio parere dire che la persona ha un Q.I. di 112 è un'affermazione oggettiva ma non so se esatta (perchè è cmq una misurazione indiretta riferita ad un costrutto ipotetico) e la considero tutto meno che scientifica. Sarebbe come dire che il metro e scientifico perchè un metro è sempre lungo un metro.

    Il discorso è questo: per avere una conoscenza scientifica devo poter compiere osservazioni oggettive, e per far questo la misurazione è fondamentale. Non è tanto che il metro è scientifico, ma il suo uso è necessario per produrre conoscenze scientifiche. Se tutti i ricercatori non fossero d’accordo sull’impiego del metro, non si potrebbero confrontare i risultati degli esperimenti (altro concetto fondamentale della scienza è la replicabilità, che si ricollega all’oggettività). Non a caso i manuali di introduzione alla fisica spendono pagine e pagine a parlare di misurazione e degli errori di misura; oltretutto attualmente ci sono dei fisici che fanno ricerca per determinare nel modo più preciso e oggettivo possibile quant’è un secondo (un metro ad esempio, si definisce secondo il Sistema Internazionale come il tragitto percorso dalla luce nel vuoto in un tempo di 1/299 792 458 di secondo). Anche l’atomo è un costrutto ipotetico, le cui caratteristiche sono cambiate nel tempo, ma le prove oggettive della sua esistenza possono essere ottenute in ogni momento da qualsiasi ricercatore.
    Ti assicuro che il Q.I. è una misura oggettiva allo stesso modo, per esempio, delle radiografie. I test validati psicometricamente devono essere validi, cioè misurare quello che si propongono, e attendibili, cioè devono avere coerenza interna e stabilità nel tempo. Attraverso le procedure di costruzione dei test, si possono ottenere delle misure di queste caratteristiche (attraverso coefficienti di correlazione). E’ chiaro che io misurerò un costrutto ipotetico, ma vedendo quanto questa misura mi correla con numerosi indicatori, se possiede la dimensionalità teorica prevista attraverso l’analisi fattoriale, etc, insomma procedendo con quanto esposto dai manuali di costruzioni di test, si possono ricavare indici che quantificano quanto il test sia valido. L’attendibilità ha invece a che fare con l’ottenere gli stessi risultati misurando più volte lo stesso soggetto (ovviamente controllando variabili come apprendimento e maturazione): ci sono test che hanno un’attendibilità (misurata con tutta una serie di indici statistici) superiore a quella delle radiografie!


    Credo che la scienza si occupi di comprendere i 'come' e i 'perchè' dell'universo e la psicologia scientifica debba studiare i 'come' e i 'perchè' del cervello, della nostra mente, ma soprattutto - lasciami introdurre un altro pezzo del mio pensiero - delle menti (plurale).

    Potrei sottoscrivere tutto, ma la cosa fondamentale è che questa conoscenza sia oggettiva. Se manca questa caratteristica, il risultato che ho ottenuto non è scientifico. Se mi confronto con un fisico senza avere dei risultati oggettivi (come definiti sopra), questo considererà il mio risultato come una forma di conoscenza di serie B.


    Ma ancora: se a effettuare il test fosse stata un'altra persona, o il test si fosse effettuato in un'altra struttura un'altro giorno, il risultato sarebbe stato approssimativamente identico? O no?

    Se il test è validato, e la persona che lo somministra lo fa in modo corretto (seguendo le indicazioni del manuale), la risposta è si. E’ chiaro che ci saranno delle variazioni (il bambino ha il mal di pancia, non ha voglia, etc), ma i coefficienti di attendibilità mi quantificano proprio questi aspetti: questa è la cosiddetta varianza d’errore, e i test vengono costruiti in modo minimizzarla.


    La scoperta clinica della stretta associazione tra abuso o trauma di altro tipo e ritardo mentale ci ha fatto capire quanto poco avevamo capito del ritardo mentale. Molti di questi limiti derivavano però dalle teorie implicite o esplicite degli psicologi che li istruivano su che cosa può essere considerato un 'dato' nel senso scientifico del termine. La psicologia dinamica è un approccio intersoggettivo che consente di trasformare in 'dati' le nostre esperienze con gli altri, a patto che queste esperienze siano vicini all'orizzonte fenomenologico dell'esperienza: in realtà parte dal presupposto che come esseri umani (nel senso di homo sapiens) sia possibile accedere al mondo interno dell'altro e che sia possibile comprendere gli stati interiori. Ho detto possibile, il che non significa che accada sempre, ma nemmeno che sia un evento raro o improbabile.
    Detto questo rispondo alla tua domanda circa il dissenso degli analisti. Va considerata la possibilità che in un retest di qualsiasi tipo la condizione di x può essere diversa in t1 e t2 perchè il valore della variabile è mutato nel corso del tempo.


    Facciamo un esperimento mentale: prendiamo un singolo individuo e due analisti al tempo t. In un caso è l’analista A che al tempo t si relazione al singolo individuo, nell’altro è l’analista B che sempre al tempo t si relaziona al medesimo individuo. Secondo te arriveranno alle stesse conclusioni? A parte che potrebbero differire per modelli teorici sui quali si basano (Freud, piuttosto che Jung), ma ammettiamo che siano due psicoanalisti ortodossi. Arriveranno alle stesse conclusioni? Secondo me no, proprio perché i due analisti sono persone diverse fra loro, e di conseguenza, a sua volta, cambierà la relazione che instaureranno con l’individuo.


    Il motivo per cui due psicologi dinamici possono giungere a conclusioni diverse può non risiedere affatto nella non scientificità dei loro metodi ma nell'effettiva variabilità nel tempo del fenomeno studiato.
    Questo significa che il campo intersoggettivo che instauro io con un paziente può essere molto diverso da quello instaurato da un altra persona e portare l'individuo a mostrare volti e profili di attività anche molto diversi, coerentemente con le diverse modalità di integrazione dell'esperienza di quel cervello in quel momento e in quelli precedenti che ne hanno modificato il comportamento (hanno cioè prodotto un apprendimento a breve o lungo termine). .


    Anche i fenomeni studiati dalla psicologia sperimentale cambiano nel tempo, ciò non toglie che produce risultati oggettivi come li ho definiti sopra, a differenza della psicologia dinamica.


    Rispondo a proposito anche del confronto tra diverse metapsicologie: vorrei che non si confondessero i fatti con le teorie. I modelli esplicativi sono diversi dai risultati sperimentali e allo stesso modo la spiegazione di un caso analitico (o di un fenomenopsicodinamico) in termini teorici va intesa come una teoria esplicativa suscettibile di falsificazione. Anche se spesso (ma non sempre) la psicpanalisi non ha impiegato modelli di falsificazione scientifici questo non vuol dire che non si sia cmq fatto un lavoro di revisione e di miglioramento delle teorie. Ad es. oggi nessuno ritiene più valide le teorie pulsionali freudiane e c'è un sostanziale e definitivo abbandono anche della teoria kleiniana e di alcuni aspetti della teoria di Bion. Perchè? La risposta è che accedendo di nuovo al mondo fenomenologico dinamico i diversi studiosi e ricercatori sono arrivati a conclusioni diverse e alla fine alcuni punti di vista sono stati confermati da più osservatori e hanno avuto la meglio.

    E’ proprio questo il punto. Sono d’accordo che non bisogna confondere fatti e teorie, anche in psicologia sperimentale ci sono teorie rivali. Il discorso cruciale è che nessuno discute i fatti. Tutti possono replicarli quando vogliono (sono fenomeni oggettivi!). Puoi dire che lo stesso accade in psicodinamica? Se fosse possibile, tutti i kleiniani sarebbero scomparsi, o quanto meno avrebbero abbandonato certe idee non credi? Hai parlato di definitivo abbandono, ma sei sicuro?


    La difficoltà di produrre evidenze scientifiche in psicoanalisi consiste infatti nel riuscire a studiare gli aspetti dinamici senza alterarli: a tutt'oggi non siamo in grado di evitare che il nostro essere osservatori non induca una alterazione nella relazione con l'altro.

    Esiste una branca della psicodinamica dove questo non accade?


    In base a quanto detto prima e riprendendo un problema noto da tempo in fisica, anche in questo caso la misurazione incide con il processo da misurare.

    Il principio di indeterminazione di Heinsenberg e i vari concetti della meccanica quantistica non impediscono però di avere a che fare con fatti oggettivi in questa disciplina, attenzione!


    Esistono tuttavia degli artifici eleganti che non precludono la possibilità di uno studio scientifico del problema (a mio parere).

    Tipo? In psicologia sperimentale è possibile avere dei fatti oggettivi perché ci si occupa di aspetti periferici dell’essere umano (la memoria, la percezione, etc), per quanto riguarda i processi centrali (come definiti da Fodor), al momento non è possibile…
    Ultima modifica di korianor : 19-12-2005 alle ore 14.00.01
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

  2. #17
    Daidaidaidai
    Ospite non registrato
    Ciao Korianor,
    ho letto con interesse le tue argomentazioni. vediamo di fare alcune controbattute che mi consentono di spiegarti le posizioni della psicologia dinamica spero in maniera comprensibile e soddisfacente.

    >
    Ho letto anche con interesse l'idea di che cosa per te sia un dato oggettivo in psicologia.

    Attenzione, quello che ho scritto non è che cosa è per me un dato oggettivo in psicologia, ma è ciò su cui concordano gli scienziati di tutte le discipline per definire una conoscenza scientifica in generale. La caratteristica fondamentale è l’oggettività:
    Un individuo compie le stesse osservazioni nelle medesime condizioni in tempi diversi + persone diverse compiono le stesse osservazioni nelle medesime condizioni. Altre elementi fondamentali sono quelli di variabile, di controllo, etc, ma soprattutto, come ti ho scritto più in basso, quella di misurazione.
    >

    Scusami per il x te: intendevo dire che cosa uno scienziato o se vogliamo uno psicologo sperimentale pensa possa essere letto come un dato e cosa, per contro, no.
    Tralasciando per un istante le problematiche di misurazione (che mi propongo di riprendere in seguito) devo però aggiungere che il problema dell'oggettività della scienza parte dal presupposto che sia maggiormente possibile (e con maggiore certezza) conoscere la realtà attraverso il metodo sperimentale oggettivo che rifugge da qualunque esperienza dilettantesca della realtà empirica e necessita dei criteri di attendibilità, oggettività e ripetibilità che accanto ad altre posizioni epistemologiche costituiscono il nerbo della scienza, della psicologia come della fisica. A mio parere però la fisica è un modello di scienza con cui noi psicologi non abbiamo molto da spartire. Ritengo che la disciplina scientifica fondamentale della psicologia sia la biologia. In effetti io considero la psicologia una sorta di etologia e neurobiologia umana. Ma questa è la mia opinione.
    Il problema sorge dal fatto che la relazione che io ho con un atomo e quella che ho con una persona sono molto diverse. Il mio sistema nervoso non interpreta nè reagisce ai due stimoli in modo uguale o paragonabile.
    Sento il bisogno di fare un preambolo necessario ad allontare dei malintesi considerevoli:
    Lo scienziato pensa a sè stesso come una persona razionale che indaga il mondo. Questa idea è plausibile finchè non si studiano gli esseri umani. In questo caso alla componente oggettiva e scientifica si sovrappone la componente biologica: quello stimolo che entra nel mio campo visivo non è 'neutro' dal punto di vista emotivo e motivazionale. Se così fosse noi non riconosceremmo i nostri simili da un sasso e soprattutto non proveremmo le emozioni che proviamo per i nostri simili grazie alle quali siamo sopravvissuti nel corso dei millenni. La domanda è: come abbiamo fatto? La mia risposta è conforme a quella degli etologi che studiano i primati: l'intelligenza sociale. Oggi sono molti a ritenere che il primo compito di un organismo sia quello di riuscire in situazioni sociali: è bello fare gli scienziati ma tu capisci che prima di andare bene a scuola (o prima che esistesse una scuola...) l'organismo deve risolvere una serie di compiti che hanno a che fare con gli obiettivi fondamentali di tutte le specie viventi:
    a) sopravvivere
    b) riprodursi
    c) assicurarsi che la prole sia al sicuro.
    L'ultimo punto si riferisce al graduale sviluppo della funzione genitoriale nel percorso filogenetico che nella nostra specie ha raggiunto un picco molto alto. Se questi scopi sono fondamentali e il loro raggiungimento è mediato da strutture nervose centrale, come in tutti i cosiddetti animali superiori, io mi immagino che una parte consistente del nostro cervello e della nostra vita mentale sia devoluta alla risoluzione di questi problemi sociali che ci permettono come individui di trovare una partner, di copulare e di avere dei figli; di rimanere dentro la società, mantendo un ruolo di prestigio. I prodotti mentali di queste attività di intelligenza sociale sono l'oggetto di interesse psicodinamico.
    Non è un caso se i contenuti dell'inconscio sono appartenenti a tre reami: la vita sessuale, l'aggressività e l'attaccamento. Il primo media l'espressione della sessualità dell'organismo nei suoi connotati piacevoli (come l'autostimolazione infantile) e in quelli riproduttivi (per i maschi e le femmine fertili). Inutile dire che l'espressione pubblica dei propri bisogni sessuali è nell'uomo come negli altri animali un segno di dominanza sociale. agli individui esclusi o menomati non è consentito esprimere la loro sessualità. Il secondo reame ha a che fare con la capacità di affermazione nel e del gruppo e infine il terzo ha a che fare con lo stabilire dei legami duraturi tra i membri della nostra specie al di là degli interessi immediati come la copula o ad es. l'alimentazione. Stiamo parlando delle 'relazioni' che tanta parte hanno nel mondo psicodinamico.

    Chiariti questi punti vado avanti a risponderti:
    Se il problema diventa: come funziona questo cervello relazionale? la domanda diventa: come misuro questo tipo di attività mentali o di problem solving?
    Una risposta può essere quella di misurarli indirettamente tramite indici comportamentali oggettivi e oggettivabili: usando pellicole da 25-30 fotogrammi al secondo è possibile cogliere il comportamento in modo estramente chiaro e procedere ad una codifica. Questo lavoro per inciso è stato fatto anche con le emozioni. Esistono tuttavia delle misure più dirette che mi facciano osservare COME e COSA pensa l'individuo in questione?
    La risposta è: non lo so.
    Però accedendo all'esperienza riusciamo a farlo continuamente e la cosa straordinaria è che lo facciamo anche molto bene.
    La mia domanda diventa allora: come fa il nostro cervello a compiere queste operazioni? Perchè un paziente ha bisogno di una psicoterapia per risollevarsi da una depressione? Cosa avviene durante la psicoterapia: c'è differenza tra una psicoterapia che funziona e una no?
    Il punto è: ci sono cose che misuriamo meglio con l'esperienza che non con misurazioni oggettive per via della nostra specificità come esseri umani ed esseri viventi. Ti rimando al capitolo 2 di Eibl-eibesfeldt, Etologia del comportamento umano per ulteriori chiarimenti. Posso solo dire che le modificazioni dell'esperienza interna degli individui sono correlati a modificazioni dei nostri metodi di misurazione cioè che pur essendo accessibili solo all'esperienza essi sono misurabili tramite costrutti indiretti. Sarebbe però sbagliato considerare di serie B i risultati dell'esperienza soggettiva. Non dobbiamo dimenticare che l'esperienza soggettiva è una scienza pret-a-porter che ha consentito le principali scoperte pre-scientifiche senza le quali la scienza probabilmente non esisterebbe. Prima di Galileo abbiamo addomesticato animali, costruito capanne e monumenti, organizzato eserciti da migliaia di persone, scoperto la fermentazione del vino ecc...
    Piuttosto direi che le affermazioni di tipo soggettivo dovrebbero essere messe a confronto con la variazione di indici oggettivi quantunque rimanga una differenza tra costrutti e fenomeni (vedi il rapporto tra Q.I e il concetto di intelligenza: anche senza sapere il Q.I. di una persona sai stimare se la persona che ti è di fronte è intelligente oppure no e che tipo di intelligenza possiede). Se disponessimo di strumenti più capillari e meno globali potremo tuttavia riannodare l'esperienza con le modalità di attività del cervello. Io in particolare seguo la pista della neurobiologia perchè la ritengo più promettente.
    Concordo invece pienamente sulla oggettività dello strumento usato: se il test è validato e somministrato correttamente il suo risultato è attendibile al massimo (in alcuni casi meglio delle radiografie). I test psicometrici sono costruiti proprio a questo scopo :-D

    Spero di averti dato delle risposte. Il post sta diventando lungo e ti risponderò in modo più specifico sulle tue obiezioni. Mi sembrava però necessario chiarire un paio di aspetit altrimenti non ci si capiva. Fammi sapere che ne pensi sono sempre qui pronto a rispondere e la prossima volta sarò più preciso.

    Fabrizio

  3. #18
    Daidaidaidai
    Ospite non registrato
    Ciao korianor,
    mi si è liberato un buco inaspettato e dato che mi è capitato sotto le mani il mio testo di psicometria non ho potuto fare a meno di ripensare alle tue domande. Scusami le imprecisioni di prima ma il tirocinio mi ha un po’ sfinito e ho risposto come ho potuto.
    Ecco le risposte più precise e punto-a-punto che ti avevo promesso:

    > La scoperta clinica della stretta associazione tra abuso o trauma di altro tipo e ritardo mentale ci ha fatto capire quanto poco avevamo capito del ritardo mentale. Molti di questi limiti derivavano però dalle teorie implicite o esplicite degli psicologi che li istruivano su che cosa può essere considerato un 'dato' nel senso scientifico del termine. La psicologia dinamica è un approccio intersoggettivo che consente di trasformare in 'dati' le nostre esperienze con gli altri, a patto che queste esperienze siano vicini all'orizzonte fenomenologico dell'esperienza: in realtà parte dal presupposto che come esseri umani (nel senso di homo sapiens) sia possibile accedere al mondo interno dell'altro e che sia possibile comprendere gli stati interiori. Ho detto possibile, il che non significa che accada sempre, ma nemmeno che sia un evento raro o improbabile.
    Detto questo rispondo alla tua domanda circa il dissenso degli analisti. Va considerata la possibilità che in un retest di qualsiasi tipo la condizione di x può essere diversa in t1 e t2 perchè il valore della variabile è mutato nel corso del tempo.

    >
    Facciamo un esperimento mentale: prendiamo un singolo individuo e due analisti al tempo t. In un caso è l’analista A che al tempo t si relazione al singolo individuo, nell’altro è l’analista B che sempre al tempo t si relaziona al medesimo individuo. Secondo te arriveranno alle stesse conclusioni? A parte che potrebbero differire per modelli teorici sui quali si basano (Freud, piuttosto che Jung), ma ammettiamo che siano due psicoanalisti ortodossi. Arriveranno alle stesse conclusioni? Secondo me no, proprio perché i due analisti sono persone diverse fra loro, e di conseguenza, a sua volta, cambierà la relazione che instaureranno con l’individuo.
    >
    Credo di aver capito come intendi il fatto che siano due persone diverse. Più che instaurare relazioni diverse l’idea è che il cervello delle persona da esaminare sarà stimolata in modo diverso dalla presenza di una persona piuttosto che da un’altra. Non è soltanto relativo al tipo di relazione che io instauro con la persona ma soprattutto con le modalità di risposta del cervello allo stimolo che io rappresento per il paziente. Tale differenza di risposta è però codificabile. Non è cioè una differenza qualsiasi, ma una differenza diagnostica: facciamo un esempio. Lo psicoanalista ortodosso 1 (PO1) entra nella stanza e stringe la mano al paziente (o soggetto sperimentale). Lo invita a sedersi e insieme iniziano una conversazione (ad es, un colloquio clinico). Il paziente si relazione con PO1 in modo estremamente amichevole, cerca di compiacerlo e lo guarda con stima e affetto. Ora mettiamo che PO1 esca (ad es. il suo tempo da passare con il soggetto 1 è finito) e che entri PO2. PO2 è stato istruito a rispettare tutte le operazioni che ha fatto PO1 come quello di salutare il soggetto, di invitarlo ad accomodarsi ecc… Questa volta però il paziente non guarda in faccia PO2. PO2 cerca di mostrarsi empatico e procedere al colloquio clinico seguendo lo stesso iter di PO1. Il paziente a questo punto si alza e dice che si sente preso in giro da una ripetizione del genere di quanto accaduto prima. Se ne va sbattendo la porta e lanciando insulti, lasciando PO2 basito nella stanza. Ora il comportamento del soggetto con PO1 e PO2 (insieme) è diagnostico. Studiando le diverse e contraddittorie modalità di relazionarsi all’esperienza e agli altri del soggetto noi siamo in grado di capire che cosa ha, quale struttura psichica è carente o ipofunzionale, e che cosa fare per produrre un miglioramento (anche qui misurabile in modo oggettivo). Quello che voglio dire che indipendentemente dalla costanza della risposta è il numero di tempo che io passo con un paziente a fornirmi informazioni sempre più complete grazie al fatto che egli varia le modalità specifiche di risposta in modo ripetuto. E’ come se io osservassi i dati costruire il grafico a poco a poco e solo a lavoro ultimato sia in grado di decidere (prendendo ad esempio un istogramma) qual è la colonna più alta. In questo senso il testing ideale prevederebbe lo studio ecologico del comportamento del soggetto perché la realtà stessa (senza controllo delle variabili) funge da reattivo (sotto forma di numero di test tendente ad infinito), cioè stimola nel cervello una risposta che non potrà che rispecchiare le modalità di funzionamento di quel paziente/soggetto sperimentale in quel dato momento. E’ questo il significato di dinamico che segue il termine psicologia in psicologia dinamica. A fronte di questa variabilità apparentemente assoluta emergono delle configurazioni costanti (che sono quelle che studiamo con il metodo analitico) che dipendono debolmente da situazioni ambientali mentre sono modalità semi-permanenti di organizzazione del cervello. Un depresso sarà sempre depresso anche se oggi sembra allegro e mi saluta: il suo mondo interiore ovvero la sua esperienza soggettiva sarà sempre quella di una persona afflitta da depressione clinica: difficoltà a percepire i contorni degli oggetti, preferenza per il nero (stimabile attraverso paradigmi di fissazione oculare o metodi comportamentali), struttura somatica distorta, sensazione di peso, percezione alterata del tempo, sensazione di rallentamento ecc… Questo talvolta può valere anche per chi consideriamo clinicamente ‘guarito’ dalla depressione.
    >
    Il motivo per cui due psicologi dinamici possono giungere a conclusioni diverse può non risiedere affatto nella non scientificità dei loro metodi ma nell'effettiva variabilità nel tempo del fenomeno studiato.
    Questo significa che il campo intersoggettivo che instauro io con un paziente può essere molto diverso da quello instaurato da un altra persona e portare l'individuo a mostrare volti e profili di attività anche molto diversi, coerentemente con le diverse modalità di integrazione dell'esperienza di quel cervello in quel momento e in quelli precedenti che ne hanno modificato il comportamento (hanno cioè prodotto un apprendimento a breve o lungo termine). .

    Anche i fenomeni studiati dalla psicologia sperimentale cambiano nel tempo, ciò non toglie che produce risultati oggettivi come li ho definiti sopra, a differenza della psicologia dinamica.
    >
    Questo punto è interessante. Il problema è che i fenomeni studiati dalla psicologia sperimentale sono delle macrodimensioni che riflettono costrutti che si suppone – o così immagino – cambiare lentamente. Se un soggetto a 11 anni ha un Q.I. di 115 e a 19 un Q.I. di 108 (immaginando un margine di errore nullo nella misurazione) io ipotizzo che il bambino abbia perso 8 punti Q.I. in 7 anni. Graficamente rappresenterei il cambiamento come una linea o una spezzata calante in un diagramma cartesiano classico con tempo e Q.I. alle ordinate e alle ascisse. I fenomeni psicodinamici, proprio perché devono far fronte ad un ambiente che cambia rapidamente sono riorganizzazioni rapide e reversibili del funzionamento del cervello. In poche parole tra due misurazioni io non potrei ipotizzare l’esistenza di una linea ma quella di infiniti o numerosissimi stati che non ho misurato. In questo senso la linea tra il valore della prima e della seconda misurazione è un semplice espediente di tabulazione dei dati. Essa non descrive una realtà naturale. Anche il Q.I. non descrive una realtà naturale bensì un costrutto e nel nostro esperimento la variabilità o la costanza del costrutto nel tempo: gli psicologi clinici però provano a comprendere la realtà dell’esperienza interiore del soggetto (cioè mentre si manifesta) e non dei costrutti artificiali e quando parliamo di un neurone che può scaricare in millisecondi e non in anni o mesi, le cose si fanno decisamente più complesse. La risoluzione temporale necessaria e sufficiente per comprendere e studiare i fenomeni dinamici è – mi pare –maggiore.

    >
    Rispondo a proposito anche del confronto tra diverse metapsicologie: vorrei che non si confondessero i fatti con le teorie. I modelli esplicativi sono diversi dai risultati sperimentali e allo stesso modo la spiegazione di un caso analitico (o di un fenomenopsicodinamico) in termini teorici va intesa come una teoria esplicativa suscettibile di falsificazione. Anche se spesso (ma non sempre) la psicpanalisi non ha impiegato modelli di falsificazione scientifici questo non vuol dire che non si sia cmq fatto un lavoro di revisione e di miglioramento delle teorie. Ad es. oggi nessuno ritiene più valide le teorie pulsionali freudiane e c'è un sostanziale e definitivo abbandono anche della teoria kleiniana e di alcuni aspetti della teoria di Bion. Perchè? La risposta è che accedendo di nuovo al mondo fenomenologico dinamico i diversi studiosi e ricercatori sono arrivati a conclusioni diverse e alla fine alcuni punti di vista sono stati confermati da più osservatori e hanno avuto la meglio.

    E’ proprio questo il punto. Sono d’accordo che non bisogna confondere fatti e teorie, anche in psicologia sperimentale ci sono teorie rivali. Il discorso cruciale è che nessuno discute i fatti. Tutti possono replicarli quando vogliono (sono fenomeni oggettivi!). Puoi dire che lo stesso accade in psicodinamica? Se fosse possibile, tutti i kleiniani sarebbero scomparsi, o quanto meno avrebbero abbandonato certe idee non credi? Hai parlato di definitivo abbandono, ma sei sicuro?
    >
    Nonostante la variabilità di fattori intervenienti la risposta è che due clinici psicodinamici competenti di uno stesso orientamento specifico giungeranno ad una diagnosi identica o molto simile almeno nel 75-90% dei risultati. Non è moltissimo ma immagino sia molto di più di quanto ti aspettassi. Il margine di errore può essere dovuto a condizioni di osservazioni non ottimali (che non consentono cioè di rivelare dati diagnostici per formulare una diagnosi completa), e a errore umano da dividersi in errori di distrazione e errori sistematici (bias interpretativo dell’osservatore). Nei grandi ospedali gli psicologi clinici lavorano fianco a fianco e spesso tra colleghi si arriva a diagnosi comuni. Per quanto riguarda il discorso dei kleiniani e di altri teorici (ad esempio ci sono ancora freudiani) non dimenticato che una comunità clinica non è organizzata come una comunità scientifica: ci sono dei grossi problemi nell’istruzione dei nuovi terapeuti che fanno sì che ci siano ancora oggi kleiniani puri o freudiani puri. Questi orientamenti però oltre a non essere scientificamente aggiornati con il resto della psicologia clinica sono decisamente minoritari: se leggi un testo di psichiatria psicodinamica contemporaneo (ti consiglio se vuoi dargli un’occhiata lo stupendo manuale di Gabbard G.O., Psichiatria Psicodinamica) non ci sarà mai scritto di fare come faceva Freud e nessuno interpreta i sintomi di un paziente solo in un modo: oggi si fanno più letture di uno stesso problema perché i diversi modelli teorici si riferiscono a componenti psichiche diverse e di fatto, anche se con qualche sovrapposizione, sono complementari.

    >
    La difficoltà di produrre evidenze scientifiche in psicoanalisi consiste infatti nel riuscire a studiare gli aspetti dinamici senza alterarli: a tutt'oggi non siamo in grado di evitare che il nostro essere osservatori non induca una alterazione nella relazione con l'altro.

    Esiste una branca della psicodinamica dove questo non accade?
    >
    No non è possibile. Sarebbe come chiedermi se esiste un misuratore degli orbitali atomici che non alteri il percorso degli elettroni. Così come questo problema non impedisce ai fisici di studiare l’organizzazione subatomica della materia, allo stesso modo le distorsioni introdotte nel rilevamento delle dimensioni psicodinamiche possono essere stimate, controllate e corrette e non ostacolano in modo insuperabile lo studio scientifico di questi problemi anche se devono necessariamente essere tenute in conto. Ad es. l’analisi personale dell’osservatore consente di diminuire e stimare il bias dell’osservatore grazie all’esercizio dell’introspezione.

    >
    In base a quanto detto prima e riprendendo un problema noto da tempo in fisica, anche in questo caso la misurazione incide con il processo da misurare.

    Il principio di indeterminazione di Heinsenberg e i vari concetti della meccanica quantistica non impediscono però di avere a che fare con fatti oggettivi in questa disciplina, attenzione!
    >

    Vedi la risposta successiva:
    >
    Esistono tuttavia degli artifici eleganti che non precludono la possibilità di uno studio scientifico del problema (a mio parere).

    Tipo? In psicologia sperimentale è possibile avere dei fatti oggettivi perché ci si occupa di aspetti periferici dell’essere umano (la memoria, la percezione, etc), per quanto riguarda i processi centrali (come definiti da Fodor), al momento non è possibile…
    >
    E’ possibile costruire situazioni soggettive in modo che esse siano replicabili (ad esempio istituendo un setting e un copione) e secondariamente è possibile filmare o documentare in modo dettagliato quello che succede nel contesto a due. Questo consente verifiche da parte di giudici esperti che sono state fatte spesso (e hanno prodotto una consistente letteratura): se vuoi avere un’idea di come funzionano questi processi prova a informarti su come viene somministrato un test di Rorschach. Queste sono modalità ecologiche di ricerca con un basso controllo sulle variabili ma consentono, se eseguite correttamente, di avere misurazioni attendibili dei fenomeni dinamici che ci interessano (ad esempio l’assetto difensivo del soggetto).
    Il tipo di risultati che è possibile con questa ricerca sono risultati in linea di massima sempre meno attendibili rispetto ai test in laboratorio ma hanno il vantaggio di essere migliorabili e di consentirci di studiare (anche se in modo oggi ancora non molto preciso) un insieme di fenomeni che con un approccio esclusivamente fisicalista e psicometrico allo studio dei processi mentali non saremo in grado di fare. A mio parere queste scoperte scientifiche saranno in grado di migliorare non solo la nostra conoscenza teorica della mente ma anche il modo in cui le persone reali vivono e pensano in contesti reali, consentendoci di fare interventi psico-sociali e clinici sempre più accurati che possano sostituirsi gradualmente al modo in cui storicamente e in modo poco meno empirico anche oggi l’umanità ha sempre cercato di risolvere i suoi problemi legati alle persone e a sé stessi: l’intuito, il buon senso e la religione. Organizzare, gestire e far crescere le comunità umane è un compito che richiede una preparazione altissima e ogni strumento scientifico disponibile. Mi dispiace di non poter produrre gli stessi risultati certi di un fisico ma dobbiamo anche capire noi psicologi che il nostro oggetto di studio ha delle peculiarità che ci rendono necessario affiancare a metodologie consolidate e oggettive (che non devono MAI mancare nel bagaglio dello psicologo) metodi meno collaudati e quindi più fallibili che rappresentano i primi tentativi di avanzare in un mondo che prima era semplicemente precluso a qualsiasi tentativo di oggettivazione o di studio scientifico. Una volta capito questo ogni critica informata non può che stimolare il progresso in questo settore scientifico di cui, credo, l’umanità attende da molto tempo gli sviluppi.

    Spero di aver risposto alle tue domande in modo questa volta più preciso.

    A presto,
    Fabrizio

  4. #19
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
    Data registrazione
    30-06-2005
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    Risposta al primo post

    il problema dell'oggettività della scienza parte dal presupposto che sia maggiormente possibile (e con maggiore certezza) conoscere la realtà attraverso il metodo sperimentale oggettivo che rifugge da qualunque esperienza dilettantesca della realtà empirica e necessita dei criteri di attendibilità, oggettività e ripetibilità che accanto ad altre posizioni epistemologiche costituiscono il nerbo della scienza, della psicologia come della fisica.
    Certo che si, però io non vedo la questione in termini quantitativi (questo processo di conoscenza è più scientifico di quest’altro), ma in termini dicotomici: se c’è un risultato oggettivo, è un risultato scientifico.

    A mio parere però la fisica è un modello di scienza con cui noi psicologi non abbiamo molto da spartire. Ritengo che la disciplina scientifica fondamentale della psicologia sia la biologia. In effetti io considero la psicologia una sorta di etologia e neurobiologia umana. Ma questa è la mia opinione.
    Qui sono in disaccordo. L’approccio etologico e neurobiologico sono già presenti in alcuni settori di indagine della psicologia; vuoi dire che debba essere dato un maggior spazio a questi approcci in ambiti psicologici dove non lo hanno? Le neuroscienze collaborano già attivamente in quel settore multidisciplinare dell’indagine scientifica che si chiama ‘scienza cognitiva’: non vedo perché la psicologia sperimentale dovrebbe ispirarsi alla neurobiologia come scienza (a parte che sono veramente già molto simili e collaborano da anni in modo interdipendente). A mio parere invece la psicologia sperimentale dovrebbe iniziare a fare uso massiccio di modelli matematici, come la fisica (e tra l’altro, stanno iniziando a farlo anche la biologia e la neurobiologia). Mi riferisco a Duncan Luce e la psicologia matematica, ma anche all’uso dei modelli di equazioni strutturali, dei modelli multinomiali, alla psicofisica, la matematica discreta, etc.

    Il problema sorge dal fatto che la relazione che io ho con un atomo e quella che ho con una persona sono molto diverse.
    La memoria, la percezione, etc, in altri termini i processi cognitivi, sono come gli atomi. Si possono studiare in modo oggettivo.

    Il mio sistema nervoso non interpreta nè reagisce ai due stimoli in modo uguale o paragonabile.
    Su questa frase ho delle perplessità. Bisogna vedere cosa misuro, in altri termini cosa osservo, del sistema nervoso. Concordo se si ci si riferisce al sistema nervoso in quanto sede della nostra interiorità e soggettività (ma a questo punto mi chiedo… che cosa osserviamo del sistema nervoso?)

    Esistono tuttavia delle misure più dirette che mi facciano osservare COME e COSA pensa l'individuo in questione?
    La risposta è: non lo so.

    La mia è: attualmente non le abbiamo. In futuro chissà.

    Sarebbe però sbagliato considerare di serie B i risultati dell'esperienza soggettiva.
    Mi sono espresso male, scusa. Sono risultati di serie B se glieli spaccio per scientifici (banalmente mi dirà che non sono scientifici!!!). Se gli dico che è una forma di conoscenza epistemologicamente differente, cioè basata sulla soggettività, allora no. E’ semplicemente una cosa diversa.

    Quello che sostengo io è che bisogna fare chiarezza sulla differenza tra affermazioni scientifiche su processi mentali e comportamento vs quelle che sono affermazioni sulla soggettività umana (e quindi interpretative). Non c’è gerarchia tra questi due approcci, hanno solo un valore epistemologico diverso. Se parlo con un fisico di inconscio freudiano spacciando le mie affermazioni per scientifiche, questo considererà la psicologia come una pseudoscienza. Se gli parlo di memoria di lavoro e gli dico che è un risultato scientifico e poi di inconscio freudiano e gli dico che è un modo per interpretare la soggettività umana, allora penserà che la nostra disciplina è molto complessa, con metodi e approcci differenti.

    Se si operasse questa distinzione interagendo con gli utenti e gli altri professionisti, la nostra disciplina ne guadagnerebbe.

    Non dobbiamo dimenticare che l'esperienza soggettiva è una scienza pret-a-porter che ha consentito le principali scoperte pre-scientifiche senza le quali la scienza probabilmente non esisterebbe. Prima di Galileo abbiamo addomesticato animali, costruito capanne e monumenti, organizzato eserciti da migliaia di persone, scoperto la fermentazione del vino ecc...
    Vero. Ma per quanto tempo lo abbiamo fatto? Appena è nata la scienza moderna, in meno di 400 anni abbiamo modificato il mondo e manipolato la realtà come non mai. E probabilmente con l’approccio pre-scientifico non avremmo MAI saputo nulla di atomi o elementi chimici o della memoria iconica.

    Piuttosto direi che le affermazioni di tipo soggettivo dovrebbero essere messe a confronto con la variazione di indici oggettivi quantunque rimanga una differenza tra costrutti e fenomeni(vedi il rapporto tra Q.I e il concetto di intelligenza: anche senza sapere il Q.I. di una persona sai stimare se la persona che ti è di fronte è intelligente oppure no e che tipo di intelligenza possiede).
    Il problema anche qui è che sto considerando una variabile che non è oggettiva, cioè la soggettività umana. E’ ovvio che finché rimango entro i giudizi sull’intelligenza altrui posso in qualche modo oggettivare questi giudizi (con varie tecniche psicometriche) ma in questo modo perderei la componente soggettiva, che è quella che ci interessa. Cioè, per fare una ricerca di questo tipo (ed è stato fatto, te l’assicuro) bisogna oggettivare i giudizi soggettivi, non si può fare altrimenti. E quindi non ci siamo mossi di un millimetro.

    Se disponessimo di strumenti più capillari e meno globali potremo tuttavia riannodare l'esperienza con le modalità di attività del cervello. Io in particolare seguo la pista della neurobiologia perchè la ritengo più promettente.
    Come ti ho scritto in PM è un po’ l’idea di Solms. Te ne riparlerò quando discuteremo sul suo libro .
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

  5. #20
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    sostanzialmente concordo con korianor, però (forse) sono meno categorica...nel senso: state parlando di due cose diverse, anche se in realtà parlano della stessa cosa...ovvero l'uomo...
    il problema principale (e credo anche la critica che viene mossa più spesso) della psicologia sperimentale "pura" (la metto tra virgolette, per non confonderla con la ricerca applicata stile ergonomia cognitiva, human factor e ricerca sui gruppi sociali e sulle comunicazioni di massa che non vorrei proprio farci entrare) è che si consideri l'uomo come astratto dall'ambiente in cui vive e si tenti di fare una cosa che risulta oltremodo impossibile: analizzare SOLTANTO un dato processo cognitivo ignorando quello che, inevitabilmente, passa dentro la testa di quella persona, compresa la stretta interrelazione con altri processi contemporanei.
    ebbene, questo E' in effetti un problema che viene tenuto in considerazione, e, per citare l'altro thread in cui si parla della svolta ecologica grazie a Neisser, si è tentato di studiare i processi cognitivi in ambiti "appropriati" di azione, ovvero, tanto per fare un esempio, l'everyday memory invece della memoria delle stringhe senza senso di Ebbinghaus, che pure hanno permesso di avere delle informazioni importanti sul funzionamento generale della memoria.

    però, quello che differenzia una visione soggettiva dell'essere umano dal tentativo di poterla studiare in modo oggettivo è proprio il MODO in cui si guarda un uomo...ecco, appunto, la psicologia dinamica vede un uomo, con la sua storia, con il suo vissuto, le sue nevrosi, le relazioni importanti ecc; la psicologia scientifica vede un cervello funzionante, ne cerca di modellizzare nel miglior modo possibile le modalità di elaborazione delle informazioni, la percezione multimodale, il modo in cui è organizzata la memoria, ecc...e, supportata da altre discipline, come ad esempio la neuropsicologia, cerca di fornirgli anche basi neurali, correlati a livello biologico che possano supportare tali modelli, che a loro volta sono stati resi possibili grazie a molte sagaci osservazioni e ai successivi esperimenti scientifici creati ad hoc per confermare (o smentire) che quello che si era osservato fosse plausibile o meno...

    in questo senso le teorie cognitive sono scientifiche (la maggior parte, almeno...altre sono puramente descrittive, ma cmq partono da una base di conoscenze date e appurate che derivano direttamente dalla biologia e dalla farmacologia...), mentre sfido chiunque a tentare di dare valenza psicometrica o a dimostrare che esistono circuiti neurali specifici per il complesso di edipo (butto là un esempio, tanto per dire qualcosa di famoso e particolarmente difeso da schiere di psicoanalisti che lo vogliono infilare persino in culture dove vige il matriarcato, con la bellissima scusa: "eh, appunto...proprio perchè non hanno superato il complesso di edipo, blablabla"...*l'ho sentito io con le mie orecchie* )

    secondo me non ci capiamo (anzi, non trovate un accordo nella discussione) perchè continuate a parlare a due livelli differenti: fabri, il problema è che per parlare di psicologia scientifica dovresti avere una grande capacità di shiftare tra livelli bassissimi e più alti livelli funzionali, e mantenere il più possibile il discorso entro argini di funzionamento cerebrale, e non di dinamiche intrapsichiche...io penso che è per questo che sembrate non capirvi...
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  6. #21
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    Risposta al secondo post

    Per cominciare sottoscrivo tutto quello scritto da Itsuki

    Credo di aver capito come intendi il fatto che siano due persone diverse. Più che instaurare relazioni diverse l’idea è che il cervello delle persona da esaminare sarà stimolata in modo diverso dalla presenza di una persona piuttosto che da un’altra. Non è soltanto relativo al tipo di relazione che io instauro con la persona ma soprattutto con le modalità di risposta del cervello allo stimolo che io rappresento per il paziente. Tale differenza di risposta è però codificabile. Non è cioè una differenza qualsiasi, ma una differenza diagnostica: facciamo un esempio. Lo psicoanalista ortodosso 1 (PO1) entra nella stanza e stringe la mano al paziente (o soggetto sperimentale). Lo invita a sedersi e insieme iniziano una conversazione (ad es, un colloquio clinico). Il paziente si relazione con PO1 in modo estremamente amichevole, cerca di compiacerlo e lo guarda con stima e affetto. Ora mettiamo che PO1 esca (ad es. il suo tempo da passare con il soggetto 1 è finito) e che entri PO2. PO2 è stato istruito a rispettare tutte le operazioni che ha fatto PO1 come quello di salutare il soggetto, di invitarlo ad accomodarsi ecc… Questa volta però il paziente non guarda in faccia PO2. PO2 cerca di mostrarsi empatico e procedere al colloquio clinico seguendo lo stesso iter di PO1. Il paziente a questo punto si alza e dice che si sente preso in giro da una ripetizione del genere di quanto accaduto prima. Se ne va sbattendo la porta e lanciando insulti, lasciando PO2 basito nella stanza. Ora il comportamento del soggetto con PO1 e PO2 (insieme) è diagnostico. Studiando le diverse e contraddittorie modalità di relazionarsi all’esperienza e agli altri del soggetto noi siamo in grado di capire che cosa ha, quale struttura psichica è carente o ipofunzionale, e che cosa fare per produrre un miglioramento (anche qui misurabile in modo oggettivo). Quello che voglio dire che indipendentemente dalla costanza della risposta è il numero di tempo che io passo con un paziente a fornirmi informazioni sempre più complete grazie al fatto che egli varia le modalità specifiche di risposta in modo ripetuto. E’ come se io osservassi i dati costruire il grafico a poco a poco e solo a lavoro ultimato sia in grado di decidere (prendendo ad esempio un istogramma) qual è la colonna più alta. In questo senso il testing ideale prevederebbe lo studio ecologico del comportamento del soggetto perché la realtà stessa (senza controllo delle variabili) funge da reattivo (sotto forma di numero di test tendente ad infinito), cioè stimola nel cervello una risposta che non potrà che rispecchiare le modalità di funzionamento di quel paziente/soggetto sperimentale in quel dato momento. E’ questo il significato di dinamico che segue il termine psicologia in psicologia dinamica. A fronte di questa variabilità apparentemente assoluta emergono delle configurazioni costanti (che sono quelle che studiamo con il metodo analitico) che dipendono debolmente da situazioni ambientali mentre sono modalità semi-permanenti di organizzazione del cervello. Un depresso sarà sempre depresso anche se oggi sembra allegro e mi saluta: il suo mondo interiore ovvero la sua esperienza soggettiva sarà sempre quella di una persona afflitta da depressione clinica: difficoltà a percepire i contorni degli oggetti, preferenza per il nero (stimabile attraverso paradigmi di fissazione oculare o metodi comportamentali), struttura somatica distorta, sensazione di peso, percezione alterata del tempo, sensazione di rallentamento ecc… Questo talvolta può valere anche per chi consideriamo clinicamente ‘guarito’ dalla depressione.
    Fabrizio, avevo capito tutto questo. Il mio esperimento mentale riguardava una situazione impossibile da realizzare: cioè il paziente si relaziona con PO1 dalle 15 alle 16 del giorno X e PO1 ipotizzerà A. Poniamo che invece di PO1 dalle 15 alle 16 del giorno X fosse venuto PO2, quest’ultimo ipotizzerà B. Ora A e B coincidono? Cioè, si tratta di una misura oggettiva, come un risultato della Wais, oppure quello che accadrà e ciò che sarà ipotizzato dipenderà dalla relazione istaurata, dalle peculiarità dei due PO?

    Questo punto è interessante. Il problema è che i fenomeni studiati dalla psicologia sperimentale sono delle macrodimensioni che riflettono costrutti che si suppone – o così immagino – cambiare lentamente.
    No. Prendi i sistemi dinamici non lineari applicati allo studio in chiave fenomenologia della percezione. Con questi strumenti matematici si può quantificare i cambiamenti nel tempo (per ordini temporali anche molto brevi) del percetto fenomenico.

    gli psicologi clinici però provano a comprendere la realtà dell’esperienza interiore del soggetto (cioè mentre si manifesta) e non dei costrutti artificiali e quando parliamo di un neurone che può scaricare in millisecondi e non in anni o mesi, le cose si fanno decisamente più complesse. La risoluzione temporale necessaria e sufficiente per comprendere e studiare i fenomeni dinamici è – mi pare –maggiore.
    La psicologa cognitiva usa misure di millesecondi (considera ad esempio gli ERP o l’uso dell’EEG). In ogni caso secondo me il problema non è il tempo, ma le caratteristiche dell’oggetto di studio: elementi oggettivi vs soggettivi.

    Nonostante la variabilità di fattori intervenienti la risposta è che due clinici psicodinamici competenti di uno stesso orientamento specifico giungeranno ad una diagnosi identica o molto simile almeno nel 75-90% dei risultati. Non è moltissimo ma immagino sia molto di più di quanto ti aspettassi. Il margine di errore può essere dovuto a condizioni di osservazioni non ottimali (che non consentono cioè di rivelare dati diagnostici per formulare una diagnosi completa), e a errore umano da dividersi in errori di distrazione e errori sistematici (bias interpretativo dell’osservatore).
    Mi aspettavo un valore del genere. Mi sarei stupito del caso contrario. Una diagnosi non è un’entità soggettiva, ma oggettiva (non c’è forse il DSM, tutti siamo d’accordo su come si definiscono queste categorie etc).

    Nei grandi ospedali gli psicologi clinici lavorano fianco a fianco e spesso tra colleghi si arriva a diagnosi comuni. Per quanto riguarda il discorso dei kleiniani e di altri teorici (ad esempio ci sono ancora freudiani) non dimenticato che una comunità clinica non è organizzata come una comunità scientifica: ci sono dei grossi problemi nell’istruzione dei nuovi terapeuti che fanno sì che ci siano ancora oggi kleiniani puri o freudiani puri. Questi orientamenti però oltre a non essere scientificamente aggiornati con il resto della psicologia clinica sono decisamente minoritari: se leggi un testo di psichiatria psicodinamica contemporaneo (ti consiglio se vuoi dargli un’occhiata lo stupendo manuale di Gabbard G.O., Psichiatria Psicodinamica) non ci sarà mai scritto di fare come faceva Freud e nessuno interpreta i sintomi di un paziente solo in un modo: oggi si fanno più letture di uno stesso problema perché i diversi modelli teorici si riferiscono a componenti psichiche diverse e di fatto, anche se con qualche sovrapposizione, sono complementari.
    Sul decisamente minoritari non credo. Ikaro e Letyzzetta mi sa che avrebbero da ridire. Quando scrivi che una comunità clinica non è organizzata come una comunità scientifica c’è qualcosa che non mi torna… prendi i medici: sono una comunità scientifica di clinici!

    No non è possibile. Sarebbe come chiedermi se esiste un misuratore degli orbitali atomici che non alteri il percorso degli elettroni. Così come questo problema non impedisce ai fisici di studiare l’organizzazione subatomica della materia, allo stesso modo le distorsioni introdotte nel rilevamento delle dimensioni psicodinamiche possono essere stimate, controllate e corrette e non ostacolano in modo insuperabile lo studio scientifico di questi problemi anche se devono necessariamente essere tenute in conto. Ad es. l’analisi personale dell’osservatore consente di diminuire e stimare il bias dell’osservatore grazie all’esercizio dell’introspezione.
    Non sono d’accordo. Secondo me l’equivalenza reale è “Così come questo problema non impedisce ai fisici di studiare l’organizzazione subatomica della materia, allo stesso modo gli psicologi possono ipotizzare l’esistenza della memoria di lavoro”. Questa analogia regge perché in entrambi i casi si fanno misurazioni su dati oggettivi. Puoi misurare una dimensione psicodinamica? Nel momento che lo fai la oggettivizzi, e perdi la dimensione soggettiva.

    E’ possibile costruire situazioni soggettive in modo che esse siano replicabili (ad esempio istituendo un setting e un copione) e secondariamente è possibile filmare o documentare in modo dettagliato quello che succede nel contesto a due. Questo consente verifiche da parte di giudici esperti che sono state fatte spesso (e hanno prodotto una consistente letteratura): se vuoi avere un’idea di come funzionano questi processi prova a informarti su come viene somministrato un test di Rorschach. Queste sono modalità ecologiche di ricerca con un basso controllo sulle variabili ma consentono, se eseguite correttamente, di avere misurazioni attendibili dei fenomeni dinamici che ci interessano (ad esempio l’assetto difensivo del soggetto).
    Fabrizio, dobbiamo intenderci bene a questo punto. Probabilmente intendiamo due cose diverse parlando di psicodinamica (o meglio, probabilmente tu includi degli elementi nella psicologia dinamica che io non includo).
    Nella misura in cui si definisce bene cosa si deve osservare, la misurazione sia valida (e comunque vorrei vedere gli indici di accordo dei giudici di cui mi parlavi) e attendibile, si tratta di un fenomeno oggettivo e quindi suscettibile di analisi scientifica. Quando ti riferisci al Rorschach vorrei ulteriori precisazioni. A quanto mi risulta questo test manca delle più elementari caratteristiche psicometriche (e l’ho visto somministrare!).
    In ogni caso il mio discorso si fonda sull’assunzione psicologia dinamica = parte di psicologia che si occupa della soggettività umana, dei suoi significati, degli aspetti empatici, etc. Se io mi metto d’accordo con gli altri clinici su cosa è X, trovo degli indicatori comportamentali e verbali che mi forniscono una misura valida e attendibile, ho misurato X in modo oggettivo. Tuttavia, avrò perso la soggettività e il significato che la difesa possiede per la persona che ho di fronte. In altri termini, per sapere cosa ho di fatto misurato dovrò vedere X con cosa correla, che dimensioni ha, etc. Un esempio di X potrebbe essere la personalità. La psicologia dinamica si è occupata lungo di personalità, ma l’approccio psicometrico alla personalità ha oggettivizzato questo concetto.
    Il problema di fondo è che nel momento in cui parlo di soggettività, non essendo suscettibile di misurazioni oggettive, non è un costrutto scientifico.

    Il tipo di risultati che è possibile con questa ricerca sono risultati in linea di massima sempre meno attendibili rispetto ai test in laboratorio ma hanno il vantaggio di essere migliorabili e di consentirci di studiare (anche se in modo oggi ancora non molto preciso) un insieme di fenomeni che con un approccio esclusivamente fisicalista e psicometrico allo studio dei processi mentali non saremo in grado di fare.
    Perfettamente d’accordo. Ma non è scienza. Se un’osservazione non è attendibile significa che se la facessi nella stesse condizioni una seconda volta potrei avere un risultato diverso. E questo vuol dire non essere oggettiva, e quindi non scientifica. Concordo sul dire che è l’unico modo che ho di studiare l’interiorità umana, i suoi significati, etc ma si tratta di una forma di conoscenza diversa rispetto a quella scientifica. Un sasso cadrà sempre per terra (a meno che io non sia su un’astronave ), come tutti gli esseri umani sani hanno una memoria di lavoro con certe caratteristiche. Ma un depresso avrà una vita sua peculiare, una sua storia, una propria soggettività irriducibile. Se riesco a cogliere (attraverso opportuni strumenti e metodi conoscitivi) solo gli aspetti oggettivi della sua condizione (quelle regolarità di cui mi parlavi), è conoscenza scientifica, come ci si concentra su quelli soggettivi siamo nel regno dell’interpretazione.

    A mio parere queste scoperte scientifiche saranno in grado di migliorare non solo la nostra conoscenza teorica della mente ma anche il modo in cui le persone reali vivono e pensano in contesti reali, consentendoci di fare interventi psico-sociali e clinici sempre più accurati che possano sostituirsi gradualmente al modo in cui storicamente e in modo poco meno empirico anche oggi l’umanità ha sempre cercato di risolvere i suoi problemi legati alle persone e a sé stessi: l’intuito, il buon senso e la religione. Organizzare, gestire e far crescere le comunità umane è un compito che richiede una preparazione altissima e ogni strumento scientifico disponibile. Mi dispiace di non poter produrre gli stessi risultati certi di un fisico ma dobbiamo anche capire noi psicologi che il nostro oggetto di studio ha delle peculiarità che ci rendono necessario affiancare a metodologie consolidate e oggettive (che non devono MAI mancare nel bagaglio dello psicologo) metodi meno collaudati e quindi più fallibili che rappresentano i primi tentativi di avanzare in un mondo che prima era semplicemente precluso a qualsiasi tentativo di oggettivazione o di studio scientifico.
    D’accordo a parte il fatto che non si tratta di oggettivazione/studio scientifico. Ma è l’unico modo di conoscere quegli aspetti.
    Ultima modifica di korianor : 19-12-2005 alle ore 22.26.53
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  7. #22
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    Daidaidaidai,

    sento l’esigenza di spiegare meglio la mia posizione, perché ho l’impressione che, rispondendo ai tuoi post, i contenuti delle frasi che ho scritto siano troppo frammentari e privi di una visione unitaria del problema.

    Lasciamo un attimo perdere la distinzione tra psicologia sperimentale e dinamica, e trattiamo invece dell’oggettività. Nella misura in cui un risultato (un fatto, come c’è scritto nella tua firma) è oggettivo, allora possiamo dire che è un risultato scientifico. Per inciso, vorrei sottolineare come parlare di fatti in psicologia dinamica (come riportato nella tua citazione di Rogers), non vuol dire fare scienza, perché la scienza si occupa di fatti oggettivi.
    Per definire un risultato oggettivo, servono tutta una serie di caratteristiche: devo sapere cosa misuro, se il mio strumento è valido, è affidabile, etc, come detto più volte. Il problema della misurazione in psicologia non è certo così semplice come nelle altre scienze: fior di psicologi, da Stevens a Suppes, da Zinnes al già citato Luce, si sono occupati e si stanno occupando ancora di questo problema.

    Detto questo, in psicologia, si può applicare il metodo scientifico in molteplici ambiti: nella ricerca di laboratorio, la psicologia sperimentale cerca di individuare relazioni causa-effetto; nella ricerca sul campo (ad esempio in psicologia sociale) spesso non è possibile controllare tutta una serie di aspetti e sarà possibile indagare solo le correlazioni, etc. Quello che voglio dire è che sono tutti risultati scientifici nella misura in cui precisiamo bene il tipo di risultato che abbia ottenuto (è una correlazione piuttosto che una relazione in cui x influenza y, etc). E’ chiaro che si può usare questo metodo anche in psicologia clinica (vedi il manuale di Kadzin, per esempio) nonché per concetti che usa la psicologia dinamica: se si parla di attaccamento (un concetto di psicologia dinamica indicato da te) mi viene in mente lo Strange Situation Test della Ainsworth. Quello è un risultato scientifico (a patto che, come sempre, si chiariscano tutti gli aspetti metodologici che non possono autorizzarci a parlare di relazioni causa-effetto, etc).

    La contrapposizione psicologia sperimentale/dinamica l’ho posta perché ho sempre ritenuto che la psicologia dinamica non avesse interesse nei risultati oggettivi dal momento che, per definizione, si occupa degli aspetti soggettivi, della relazione, dell’empatia, etc,. Tra l’altro, non appena si oggettivizza questi aspetti, in virtù delle necessarie operazioni di misurazione, si perdono gli aspetti soggettivi; dicendo che si perdono non voglio dire che chi osserva deve prescindere da questi, ma che non potranno essere inclusi nel risultato oggettivo della mia osservazione. Per esempio, se parliamo di ricerca di sensazioni, di aggressività, di ansia, etc sono tutti concetti che è possibile misurare in modo oggettivo; tuttavia, questo risultato oggettivo, non includerà gli aspetti del vissuto soggettivo, dell’interiorità del singolo, della sua storia, etc.

    Ho sempre considerato quei ‘fatti oggettivi’ in psicologia dinamica di cui mi parlavi (anche se, ti ripeto, per ogni singola osservazione vorrei vedere la procedura, gli indici che sono stati calcolati, etc, altrimenti non si può parlare di oggettività), come fatti oggettivi ottenuti attraverso l’impiego del metodo scientifico in psicologia clinica. Come accennato nel mio post precedente, a mio parere la nostra divergenza di opinioni risiede nel fatto che tu includi nella psicologia dinamica anche i risultati che si ottengono sui concetti dinamici impiegando il metodo scientifico.
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  8. #23
    Daidaidaidai
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    Ciao korianor e Itsuki,
    riprendo la mia risposta ad un pm che korianor mi ha inviato e che mi sembra decisamente in-topic (si dice???). Spero con questo di rispondere anche ad alcuni degli argomenti emersi negli altri topic.
    La lettere è rivolta a korianor.

    Mi sembra che tu mi abbia messo di fronte ad una tautologia di cui parlerò più avanti nella lettera ma spero che questo non impedisca il dibattitto tra psicologia sperimentale e dinamica (dovremmo più avanti anche affrontare la diade clinica/psicoterapia in opposzione con generale/sperimentale).

    >
    per mettere in grassetto o in corsivo una parte del post basta racchiudere la parte di testo tra due simboli di questo tipo:
    [lettera] testo in grassetto/corsivo [/lettera]
    La lettera per mettere in grassetto è la B maiuscola, il corsivo è la I maiuscola.

    >

    Come vedi ci sono riuscito grazie della dritta.

    >
    Ti ringrazio per i complimenti, ma ti assicuro la pazienza non c’entra niente, anzi c’è solo il piacere di fare una conversazione con una persona che ha riflettuto su questi temi come te (anche secondo me sono temi fondamentali).
    >

    Sono molto contento di essere riuscito a tenere viva l'attenzione di un interlocutore così attento e preparato

    >
    Non è molto lusinghiero o professionale che una metà della psicologia ritenga spazzatura o minchiate l'altra metà (questo vale per entrambi gli schieramenti se mi permetti la metafora 'bellica' - anche da noi ovviamente ci sono delle posizioni anti-sperimentali; una di queste sostiene ad esempio che la scienza rovini la sensibilità per le relazioni umane e impedisca di instaurare un rapporto con il paziente o di avvicinarsi al proprio mondo interiore... che dire se non BAH!). I docenti da ambo i lati non fanno che fomentare le incomprensioni. La mia posizione è innanzitutto di educazione all'unità delle discipline psicologiche: studiamo tutti il cervello e i suoi derivati.
    Hai perfettamente ragione. Scusa la brutalità dell’espressione “sono tutte cazzate”, ma ti assicuro che allora la pensavo proprio così. Guarda cosa ho scritto qui:
    http://www.opsonline.it/forum/showth...468#post433468
    >
    Ho letto tutto il 3d e non mi sembra che la tua posizione fosse così da 'orco': hai parlato di un continuum sperimentale-umanistico di cui invece non hai fatto segno nel nostro post, una posizione che mi sembra più equilibrata perchè a differenza della tua posizione puramente fisicalista ammette l'idea che vi possa essere un approccio scientifico non basato su modelli di scientificità 'dura' che consentono alla psicologia sperimentale di stare tra le 'grandi' quali la fisica o la chimica. Comprendo e mi dispiaccio circa l'impressione di isolamento che hai come psicologo sperimentale e devo ammettere che per motivi anche culturali il grosso degli psicologi ha interessi e formazione potenzialmente compatibili con l'assetto psicodinamico piuttosto che con quello sperimentale. E' un vero peccato e spero sinceramente che questo possa cambiare. E' vero anche però che la maggior parte degli iscritti a psicologia che sceglie la clinica ha fatto un'esperienza personale o familiare di acuto disagio psichico se non di malattia mentale. In questo senso più che un abbandono del versante scientifico della psicologia io penserei piuttosto un approccio teorico-pratico che consente alle persone di capire le sue nevrosi, i suoi problemi e/o quelli delle persone amate. Personalmente questo aspetto di commistione tra malattia mentale e ricerca clinica mi lascia un po' perplesso e se vuoi ne parleremo, magari in un bel post pubblico. Concordo in pieno ovviamente con l'idea che in nessun modo o in nessun caso la psicologia possa essere ridotta a psicologia clinica e la psicologia clinica a psicodinamica: anche nella clinica esistono modi molto diversi di approcciarsi ai problemi ognuno dei quali ha una relazione più o meno stretta con la psicometria e con le pratiche sperimentali o di ricerca ecologica.

    >
    Grazie per Fodor. Sono molti i testi di psicolinguistica che prendono in esame la semantica e l'organizzazione dell'esperienza tramite il linguaggio. Se esiste la possibilità di fare psicoterapia lo dobbiamo a questo importante aspetto della mente che viene spesso disatteso dagli psicologi sperimentali come se l'organizzazione dell'esperienza NON fosse un tema di interesse per la psicologia. Diciamo che gli psicologi dinamici sono più interessati agli aspetti complessi del linguaggio e dell'esperienza nel senso che il nostro lavoro comincia dall'organizzazione dell'esperienza sensoriale nelle aree polimodali.
    Sinceramente non ho mai letto niente sulle ricadute delle idee di Fodor sulla psicoterapia. Vediamo se leggendo il testo mi puoi suggerire qualche spunto di interessante!!!
    >
    Aspetto di leggere le teorie fodoriane (che io sapevo però non unanimamente accettate o ritenute vere perchè sembra che in realtà i moduli non siano sigillati così come ipotizzava fodor - esistono altri teorici importanti oltre a Fodor in psicologia cognitiva sperimentale che abbiano formulato una teoria di ampio respiro circa il funzionamento della mente?). Ti farò sapere anche se al momento la mia libreria è stracolma di testi da leggere ma vedrò di fare il possibile

    >
    Spesso invece i paradigmi sperimentali hanno adottato un criterio di economicità andando a studiare le componenti più semplici dei processi cognitivi, ovvero i cosiddetti processi cognitivi di base. Ad esempio a parte la teoria (a dire la verità un po' astrusa della GU di Chomsky) il grosso delle ricerche sperimentali si è rivolto alla ritenzione o produzione di fonemi o al riconoscimento/memorizzazione di sequenze di parole che potevano essere o non essere associate semanticamente
    Questa è la situazione reale e c’è poco da aggiungere. E’ quello che dice Fodor ne “La mente modulare” (1983) e in “La mente non funziona così” (2001)… (lo so, sono un Fodoriano…. )
    La psicologia cognitiva si occupa dei moduli, questi aspetti periferici della cognizione umana, ma se si parla dei sistemi centrali (cioè i sistemi che gestiscono gli output dei moduli) allora emergono tutta una serie di problemi, e al momento la psicologia non ha i mezzi per occuparsene in modo scientifico. In futuro chissà?
    >
    Non sono d'accordo. La scientificità dei risultati è minore rispetto allo studio dei moduli (di cui cmq so poco) ma mi sembra miope dire che sia impossibile al momento fare uno studio scientifico della mente umana al di là dei moduli. D'altra parte la psicologia cognitivista non è più un settore scientificamente aggiornato: da quello che so essa è confluita nelle scienze cognitive che hanno affrontato e risolto alcuni dilemmi posti come irresolubili della psicologia cognitiva oltre a superare dei paradigmi sperimentali che prendevano troppo sul serio la metafora dell'uomo-computer che hanno dimostrato dei limiti epistemologici che ne hanno decretato un declino di popolarità.
    Correggimi se sbaglio ovviamente.

    >
    Molto diverso invece è dare la possibilità ad una persona di parlare o scrivere di sè. Molti test clinici standardizzati come la AAI (Adult Attachment Interview) sono delle interviste strutturate o semi-strutturate dove l'interesse del clinico sta proprio nel vedere come la persona organizza autonomamente l'esperienza. Non esiste infatti nessun modo Y/N per rispondere a questa domanda. Esistono probabilmente modi più convenzionali e altri meno ma in linea teorica esistono tante risposte per tante sono le persone a cui viene posta la domanda. Sicuro, anche nella psicologia culturale (Cole, Bruner) la situazione è la stessa. In questo caso secondo me ci si sta muovendo proprio sul confine tra oggettività e soggettività. Lascerei perdere questo esempio, perché veramente penso che il discorso diventerebbe talmente complesso da rendere necessario parlarne a voce (se tu avessi MSN al limite si potrebbe provare…. )
    >

    no no non voglio provare che poi rimango a parlare le notti intere... mi faccio sempre trascinare ehehe.... sono d'accordo con l'idea di continuum però e non di scienza si/no.

    >
    La mia risposta al problema della semantica è che le proprietà semantiche del linguaggio (la nostra capacità di trovare SIGNIFICATI in stimoli altrimenti del tutto sensoriali) deve essere per forza una proprietà derivata dell'organizzazione neurale. La mia idea è che studiando come popolazioni complesse di neuroni rispondono a stimoli complessi potremmo avvicinarci ad una comprensione di come le persone vivono la loro vita e come noi stessi la viviamo (approccio clinico - se c'è qualcosa che non ti quadra ovviamente dimmelo
    Mi quadra perfettamente. E’ una questione da centomila dollari, se non la questione. A mio parere al momento non è possibile (con i mezzi e i paradigmi sperimentali della scienza cognitiva). In futuro non lo possiamo sapere. Leggi Fodor per leggere delle obiezioni su questo punto. Ti chiarirò meglio in ogni caso quando ti ‘recensirò’ il volume di Solms, perché, chiaramente, anche questa è la sua idea in un certo senso.
    >

    Attendo con impazienza la recensione di Solms
    A mio parere però tu sei troppo ancorato alla psicologia cognitivista peccando di una forma di localismo psicologico non dissimle da quella di alcuni psicologi dinamici o neuropsicologi. Il problema è che l'essere umano è complesso. Non si tratta di sapere se la mia scuola o il mio indirizzo avranno mai lapossiibilità di studiare in modo scientifico o cmq soddisfacente tutta la mente. Se utilizzassi la teoria dinamica non sarei mai arrivato a scoprire e studiare i processi percettivi o mnemonici come ho potuto fare grazie all'approccio sperimentale. A mio parere per ogni tipo di problema esistono scuole diverse di psicologia che sono le più idonee a studiare quello specifico problema: anche se spesso si dice che la psicologia dinamica da una visione 'globale' della persona io non sono d'accordo: primo non è vero perchè la psicodinamica è sbilanciata sulle componenti affettive e ci rimanda un'immagine 'tutto cuore' dell'essere umano quando entrano in gioco molti altri fattori rilevanti tra cui la cognizione e la cultura.
    Anche se utilizzassi una prospettiva psicodinamica per studiare la cultura direi un sacco di fesserie: per diverso tempo l'antropologia dinamica ha cercato di fare questo tipo di studio per poi scoprire che quello che andavamo a studiare era la cultura: l'osservazione analitica e idiografica ci ha fatto 'scoprire' gli elementi culturali intrapsichici che oggi sarebbe opportuno studiare con la prospettiva della psicologia culturale (Bruner) (anche se questo ramo sta andando incontro proprio ora ad una revisione considerevole delle proprie radici epistemolgiche e abbiamo avuto il piacere di ospitare ad Urbino uno di questi momenti di 'riaggiustamento').
    Quello che vorrei dire cioè che non dovremmo cercare di rendere completa la nostra prospettiva ma dovremmo avere la capacità di cambiare paio di occhiali (scusami la metafora) ogni qualvolta che osserviamo un problema diverso. L'idea fondamentale e che la psicologia non sia nè cognitivista o dinamica o fenomenologica, o culturale o gestaltica (e se ti viene in mente qualcos'altro aggiungicelo pure) ma tutte queste cose assieme: ciò che deve saltare all'occhio è che solo mettendo assieme tutte queste discipline siamo in grado avere un'immagine completa e giusta di cosa sia l'essere umano in realtà. Coerentemente con questo mio pensiero io cambierò sede per laspecialistica e da un orientamento dinamico mi metterò alla prova con un orientamento neuropsicologico; l'idea è quella di vedere, studiare e comprendere più psicologia possibile e di parlare con più psicologi del proprio e degli altri orientamenti durante la propria formazione e dopo se possibile.

    >
    . Lo scopo della terapia psicodinamica però rimane quello di modificare gli stati mentali più che controllarli.
    D’accordissimo. Gli stati mentali vengono modificato. Ma i meccanismi e metodi per farlo sono oggettivi?
    >

    No, non sono oggettivi nel senso che tu dai al termine. Questo non significa però che siano mere interpretazioni: se adottiamo un modello di scientificità più soft (che mi pare indispensabile per lo studio di certi settori psicologici) i metodi e i meccanismi sono oggettivi: ci sono test psicometrici che consentono di misurarli, proiettivi e non, e la letteratura sullo studio scientifico della psicoterapia è davvero sterminata a cominciare dalla nota critica di Eysenck (teorico della personalità e psicometrista, ha introdotto l'analisi fattoriale). In Italia ovviamente che io sappia non c'è nulla di tutto ciò...

    >
    … ma è guidata dall'esperienza e prevede un contatto empatico e responsivo raffinato con l'altro… Di questi fenomeni di riorganizzazione mentale provocati dall'interazione delle persone tra loro si occupa la psicologia dinamica appunto.
    Di nuovo d’accordo. Ma Fabrizio, come puoi avere una conoscenza scientifica, cioè oggettiva, di un contatto empatico? Qualcosa che non sia interpretazione? In estrema sintesi: la psicologia dinamica si occupa di soggettività umana, che per definizione non può essere oggettiva!
    >
    E' questa la tautologia a cui mi riferivo all'inizio della lettera: a me sembra che ti sei risposto da solo. Esiste però un altro modo di intendere la soggettività come oggettivabile (senza che si venga a creare un paradosso teorico) ed io come clinico sostengo questo approccio. La soggettività è cmq un evento naturale che lascia delle tracce e produce delle conseguenze. Anche se non posso sostenere che la soggettività sia direttamente studiabile al di là dell'esperienza intersoggettiva (e quindi in un modo che un fisico riterrebbe non scientifico) è però possibile usare degli strumenti oggettivi che registrino queste componenti intersoggettive e che ne conservino la traccia in modo da poter essere accessibili ad altri clinici o altri ricercatori della mia area. So che per uno sperimentalista è difficile crederci, ma fidati: è possibile ed è anche possibile in questo modo produrre progresso scientifico.

    >
    Concludo ripetendoti che non mi annoi di certo, e, anzi trovo questo nostro scambio di opinioni veramente interessante (specie con questa doppia modalità PM – post pubblici )
    >
    grazie mille sei troppo gentile

    >
    P.S. compatibilmente col tuo tempo a disposizione, puoi farmi post lunghissimi se lo ritieni necessario, per me non è un problema e anzi mi fa piacere!
    >
    Sei stato accontentato, credo

    >
    P.S. ho visto ora il tuo secondo post. Grazie per il tempo che mi dedichi
    >

    Di niente la mia fede nell'unità della psicologia mi sorregge anche quando mi verrebbe da addormentarmi sulla tastiera

    >
    P.S. 2 Dove stai facendo il tirocinio? Sei laureato?
    >
    Non sono laureato: sono al terzo anno della triennale e dovrei laurearmi per giugno 2006 se tutto va bene (laurea breve). Il tirocinio lo sto facendo presso una cooperativa sociale di tipo B che ospita ex pazienti manicomiali e pazienti psichiatrici. Devo accumulare un monte ore di 125 h da sommare alle precedenti 125 che ho fatto in un'altra sede (sempre coop. soc. di tipo B ma molto più piccola e meno organizzata di questa) x potermi laureare Qui ad Urbino il tirocinio della clinica funziona così.

    Spero di aver risposto ad alcuni punti in sospeso. Quando avrò tempo risponderò anche ai post scritti precedentemente... anf anf quanto scrivo ...

    Fabrizio

  9. #24
    Partecipante Super Figo L'avatar di ikaro78
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    Originariamente postato da korianor
    Sul decisamente minoritari non credo. Ikaro e Letyzzetta mi sa che avrebbero da ridire. Quando scrivi che una comunità clinica non è organizzata come una comunità scientifica c’è qualcosa che non mi torna… prendi i medici: sono una comunità scientifica di clinici!
    E infatti ho da ridire, anche perché generalmente considero 1 valore aggiunto l’essere una minoranza (per la serie “mangiate merda, milioni di mosche non possono certo aver torto!”), se esistono ancora analisti kleiniani o freudiani “puri” è perché larga parte delle loro intuizioni cliniche sono ancora straordinariamente attuali, sfido chiunque a dimostrare che le osservazioni di 1 analista kleiniano su 1 bambino siano meno raffinate e/o “scientifiche” di quelle di un qualsiasi altro psicoterapeuta di altro orientamento teorico/metodologico.

    Saluti,
    ikaro

    P.S. Il Gabbard, a mio modesto parere, è 1 manuale sopravvalutato ad uso e consumo degli psichiatri, non certo degli psicoanalisti, forse però bisognerebbe capire la differenza tra i primi e i secondi…

  10. #25
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
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    Aspetta un attimo Fabrizio, siamo molto più vicini di quanto tu pensi. Prima di commentare analiticamente il tuo post chiarisco un punto fondamentale. Nei miei interventi sembra che io mi sia contraddetto sostenendo in certi casi una dicotomia scientifico/non scientifico, in altri una continuità tra approccio umanistico e scientifico. Chiarisco bene questo punto. Un’affermazione o è scientifica o non lo è, non ci sono mezzi termini. Se dico “la capienza del magazzino a breve termine è di 7 +/- 2 elementi” “c’è una correlazione tra x e y” “il paziente ha un percetto nero nel X% dei casi nella situazione Z” etc sono affermazioni scientifiche; se dico “il paziente A ha un complesso di Edipo di non risolto”, “il paziente A ha rimosso X” “il sogno rappresenta l’appagamento di un desiderio”, no. Non ci sono affermazioni che sono più scientifiche di altre, o ‘debolmente scientifiche’, etc. Invece, una disciplina (o una sua parte, come uno dei molteplici settori della psicologia), nella misura in cui impiega il metodo scientifico, ha maggiore o minore ‘scientificità’ delle altre. Come ho scritto nel link che ti ho indicato, visualizzando tutti le prospettive della psicologia in un continuum da una parte c’è la scienza pura, dall’altra l’approccio umanistico puro. In mezzo ci sono “parti” di psicologia che si basano sia su risultati scientifici sia su approcci umanistici; ciò accade perchè da un lato, in certi casi, anche se si tratta di fenomeni oggettivi, è praticamente impossibile usare il metodo scientifico (già in psicologia sociale un esperimento vero e proprio è difficile organizzarlo, e quindi si usano metodi correlazionali, osservativi, etc che sono sempre scientifici ma che pongono dei limiti su ciò che possiamo rilevare), dall’altro perché ciò che interessa è l’aspetto soggettivo, interpretativo, e non quello oggettivo della scienza. In riferimento a questo condivido il tuo uso di ‘debolmente scientifiche’.

    Appena posso commenterò punto per punto il tuo post.

    Originariamente postato da ikaro78
    sfido chiunque a dimostrare che le osservazioni di 1 analista kleiniano su 1 bambino siano meno raffinate e/o “scientifiche” di quelle di un qualsiasi altro psicoterapeuta di altro orientamento teorico/metodologico.
    Per come la vedo io, le osservazioni di un analista kleniano (come tutte quelle condotte su aspetti soggettivi -> posizione schizo-paranoide, depressiva, etc) non hanno niente a che vedere con la scienza, ma unicamente con l'interpretazione dell'interiorità di quel bambino. Si pongono proprio su un altro piano rispetto alla scienza, e non ha senso fare dei confronti. Come detto più volte, la complessità dell'essere umano è tale da aver bisogno di approcci scientifici, interpretativi (o come li volete chiamare ) e tutto quello che c'è in mezzo.
    Ultima modifica di korianor : 20-12-2005 alle ore 20.39.40
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

  11. #26
    Partecipante Super Figo L'avatar di ikaro78
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    Originariamente postato da korianor
    Aspetta un attimo Fabrizio, siamo molto più vicini di quanto tu pensi. Prima di commentare analiticamente il tuo post chiarisco un punto fondamentale. Nei miei interventi sembra che io mi sia contraddetto sostenendo in certi casi una dicotomia scientifico/non scientifico, in altri una continuità tra approccio umanistico e scientifico. Chiarisco bene questo punto. Un’affermazione o è scientifica o non lo è, non ci sono mezzi termini. Se dico “la capienza del magazzino a breve termine è di 7 +/- 2 elementi” “c’è una correlazione tra x e y” “il paziente ha un percetto nero nel X% dei casi nella situazione Z” etc sono affermazioni scientifiche; se dico “il paziente A ha un complesso di Edipo di non risolto”, “il paziente A ha rimosso X” “il sogno rappresenta l’appagamento di un desiderio”, no. Non ci sono affermazioni che sono più scientifiche di altre, o ‘debolmente scientifiche’, etc. Invece, una disciplina (o una sua parte, come uno dei molteplici settori della psicologia), nella misura in cui impiega il metodo scientifico, ha maggiore o minore ‘scientificità’ delle altre. Come ho scritto nel link che ti ho indicato, visualizzando tutti le prospettive della psicologia in un continuum da una parte c’è la scienza pura, dall’altra l’approccio umanistico puro. In mezzo ci sono “parti” di psicologia che si basano sia su risultati scientifici sia su approcci umanistici; ciò accade perchè da un lato, in certi casi, anche se si tratta di fenomeni oggettivi, è praticamente impossibile usare il metodo scientifico (già in psicologia sociale un esperimento vero e proprio è difficile organizzarlo, e quindi si usano metodi correlazionali, osservativi, etc che sono sempre scientifici ma che pongono dei limiti su ciò che possiamo rilevare), dall’altro perché ciò che interessa è l’aspetto soggettivo, interpretativo, e non quello oggettivo della scienza. In riferimento a questo condivido il tuo uso di ‘debolmente scientifiche’.

    Appena posso commenterò punto per punto il tuo post.



    Per come la vedo io, le osservazioni di un analista kleniano (come tutte quelle condotte su aspetti soggettivi -> posizione schizo-paranoide, depressiva, etc) non hanno niente a che vedere con la scienza, ma unicamente con l'interpretazione dell'interiorità di quel bambino. Si pongono proprio su un altro piano rispetto alla scienza, e non ha senso fare dei confronti. Come detto più volte, la complessità dell'essere umano è tale da aver bisogno di approcci scientifici, interpretativi (o come li volete chiamare ) e tutto quello che ci è in mezzo.
    Sì Korianor, sono sostanzialmente d'accordo con quanto dici (non a caso ho messo scientifico tra virgolette), anche se credo che la tua idea di "scienza" sia 1 pò troppo "dura", ma questo è 1 altro discorso, mi premeva più che altro sottolineare il confronto con altri orientamenti teorici/metodologici più che la questione della scientificità tout court della psicoanalisi (che mi interessa relativamente, si sarà capito).

    Saluti,
    ikaro
    Ultima modifica di ikaro78 : 20-12-2005 alle ore 18.41.15

  12. #27
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
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    Ho letto tutto il 3d e non mi sembra che la tua posizione fosse così da 'orco'
    Scusami, mi sono spiegato male. Il link che ti ho indicato è quello che penso ora (lo volevo contrapporre a come la vedevo alcuni anni fa).

    è hai parlato di un continuum sperimentale-umanistico di cui invece non hai fatto segno nel nostro post, una posizione che mi sembra più equilibrata perchè a differenza della tua posizione puramente fisicalista ammette l'idea che vi possa essere un approccio scientifico non basato su modelli di scientificità 'dura' che consentono alla psicologia sperimentale di stare tra le 'grandi' quali la fisica o la chimica.
    Ho già spiegato nel post precedente.

    Aspetto di leggere le teorie fodoriane (che io sapevo però non unanimamente accettate o ritenute vere perchè sembra che in realtà i moduli non siano sigillati così come ipotizzava fodor
    Appunto, ma in realtà Fodor ne “La mente modulare” propone di indagare, data la definizione di modularismo che propone, in che misura il sistema cognitivo sia modulare. Da un lato, in riferimento alle neuroscienze, se consideri Shallice (1987) “Neuropsicologia e struttura della mente”, egli propone una versione attenuata di modularismo: infatti, che un certo grado di modularismo esista è implicito nell’esistenza delle sindromi neuropsicologiche. Un altro elemento è la diatriba connessionismo/modularismo: a parte il problema del concetto di rappresentazione, che ha causato numerosi dibattiti, oggi uno dei modelli ritenuti più plausibili è quello di un sistema modulare con i moduli organizzati come reti al loro interno.

    - esistono altri teorici importanti oltre a Fodor in psicologia cognitiva sperimentale che abbiano formulato una teoria di ampio respiro circa il funzionamento della mente?).
    Potrei proporti Anderson, con il suo modello ACT-R. http://act-r.psy.cmu.edu/

    Non sono d'accordo. La scientificità dei risultati è minore rispetto allo studio dei moduli (di cui cmq so poco) ma mi sembra miope dire che sia impossibile al momento fare uno studio scientifico della mente umana al di là dei moduli.
    Qui bisogna intendersi. Fodor chiaramente parla della possibilità della scienza cognitiva di capire questa parte del sistema. E’ chiaro che la scienza cognitiva è di fatti lo studio scientifico, portato avanti in modo interdisciplinare, della mente umana. Fodor quindi si riferisce a quello che è al momento lo status attuale della teoria computazionale della mente (2001). Quindi le sue argomentazioni possono essere lette non come un’impossibilità assoluta, ma un’impossibilità con questa teoria e i suoi mezzi. Ti ripeto, forse cambiamenti radicali nella teoria, l’ingresso di altri approcci, nuove scoperte tecnologiche etc potrebbero ribaltare le cose, ma possiamo tutti constatare che oggi la realtà è questa.

    D'altra parte la psicologia cognitivista non è più un settore scientificamente aggiornato: da quello che so essa è confluita nelle scienze cognitive che hanno affrontato e risolto alcuni dilemmi posti come irresolubili della psicologia cognitiva oltre a superare dei paradigmi sperimentali che prendevano troppo sul serio la metafora dell'uomo-computer che hanno dimostrato dei limiti epistemologici che ne hanno decretato un declino di popolarità.
    Vero, ma tu parli della psicologia cognitiva che è tramontata alla fine degli anni ’70. Quello che è scomparso è il paradigma HIP propriamente detto. Dall’inizio degli anni ’80 la psicologia sperimentale (che possiamo far coincidere con la psicologia cognitiva dal momento che di fatti è la parte di psicologia che studia i processi cognitivi), si è proposta da un lato al centro della scienza cognitiva (all’inizio le discipline fondatrici furono proprio ‘nuova’ psicologia cognitiva e intelligenza artificiale; è negli anni ’90 che le neuroscienze hanno acquisito la centralità che hanno oggi) e dall’altra l’ecologismo (Gibson). Ma in psicologia sperimentale ci sono tante altre ‘anime’ che non rientrano proprio in questa categorizzazione.

    A mio parere però tu sei troppo ancorato alla psicologia cognitivista peccando di una forma di localismo psicologico non dissimle da quella di alcuni psicologi dinamici o neuropsicologi. Il problema è che l'essere umano è complesso. Non si tratta di sapere se la mia scuola o il mio indirizzo avranno mai la possiibilità di studiare in modo scientifico o cmq soddisfacente tutta la mente. Se utilizzassi la teoria dinamica non sarei mai arrivato a scoprire e studiare i processi percettivi o mnemonici come ho potuto fare grazie all'approccio sperimentale. A mio parere per ogni tipo di problema esistono scuole diverse di psicologia che sono le più idonee a studiare quello specifico problema: anche se spesso si dice che la psicologia dinamica da una visione 'globale' della persona io non sono d'accordo: primo non è vero perchè la psicodinamica è sbilanciata sulle componenti affettive e ci rimanda un'immagine 'tutto cuore' dell'essere umano quando entrano in gioco molti altri fattori rilevanti tra cui la cognizione e la cultura.
    Anche se utilizzassi una prospettiva psicodinamica per studiare la cultura direi un sacco di fesserie: per diverso tempo l'antropologia dinamica ha cercato di fare questo tipo di studio per poi scoprire che quello che andavamo a studiare era la cultura: l'osservazione analitica e idiografica ci ha fatto 'scoprire' gli elementi culturali intrapsichici che oggi sarebbe opportuno studiare con la prospettiva della psicologia culturale (Bruner) (anche se questo ramo sta andando incontro proprio ora ad una revisione considerevole delle proprie radici epistemolgiche e abbiamo avuto il piacere di ospitare ad Urbino uno di questi momenti di 'riaggiustamento').
    Quello che vorrei dire cioè che non dovremmo cercare di rendere completa la nostra prospettiva ma dovremmo avere la capacità di cambiare paio di occhiali (scusami la metafora) ogni qualvolta che osserviamo un problema diverso. L'idea fondamentale e che la psicologia non sia nè cognitivista o dinamica o fenomenologica, o culturale o gestaltica (e se ti viene in mente qualcos'altro aggiungicelo pure) ma tutte queste cose assieme: ciò che deve saltare all'occhio è che solo mettendo assieme tutte queste discipline siamo in grado avere un'immagine completa e giusta di cosa sia l'essere umano in realtà.

    Guarda che questo è anche il mio pensiero. Se ti ho dato l’impressione di essere “ancorato” ad una forma di localismo, è perché vorrei esortare tutti noi psicologi ad un uso accorto del termine scientifico, come ti spiegherò più in basso. Questa discussione è nata proprio perché hai scritto:

    Penso che sia impossibile sostenere che i punteggi ai test siano scienza mentre l'universo psicodinamico del bambino no...

    No, non sono oggettivi nel senso che tu dai al termine. Questo non significa però che siano mere interpretazioni: se adottiamo un modello di scientificità più soft (che mi pare indispensabile per lo studio di certi settori psicologici) i metodi e i meccanismi sono oggettivi:
    Questo è il punto che mi preme di più. Non si può adottare un modello di scientificità più soft. Il metodo scientifico è uno, ed è quello che condividono tutte le scienze. Per rispondere ad Ikaro, la concezione di metodo scientifico che vi ho esposto non è la mia, ma quella condivisa da tutti gli scienziati di tutte le discipline scientifiche; vi ricordo che è grazie a questo metodo, e non ad altri (diversi o più o meno ‘soft’), che esiste la tecnologia, l’informatica, la medicina attuale, etc. Sono d’accordo che nella stragrande maggioranza dei settori psicologici il metodo scientifico non è abbastanza, e servono altri approcci, ma non possiamo spacciare teorie che non lo sono per scientifiche, o ‘debolmente scientifiche’. Dobbiamo avere l’onestà intellettuale di distinguere quello che è scienza da quello che non lo è. Non per questo ciò che non è scienza non vale nulla, specialmente in un campo come il nostro. Tanto per riprendere temi che sono molto attuali, se i medici o gli ingegneri o chi volete ci considerano una disciplina poco seria (per usare un eufemismo), è proprio perché continuiamo a dire che “l’universo psicodinamico del bambino è scienza!”. Se chiarissimo per bene ciò che è scienza nella nostra disciplina e ciò che non lo è, che esistono altri approcci oltre a quello scientifico (gli possiamo chiamare come volete) perché l’essere umano nelle sue molteplici caratteristiche è un fenomeno complesso, a mio parere ci guadagnerebbe tutta la psicologia e saremmo molto più rispettati. In ogni caso chiamarlo “debolmente scientifico” non è una buona idea, perché qui sì che ci si dichiara “deboli” rispetto alle altre discipline; è per questo che protendo per termini quali ‘approccio idiografico’ o narrativo, o interpretativo (probabilmente semplicistici, ma non occupandomene direttamente non posso far altro che generalizzare). Magari voi che li usate nella vostra vita professionale o nella vostra attività di studio avrete in mente termini migliori, ma ribadisco il mio invito a non voler usare per forza la parola scienza per fenomeni che non lo sono (le altre discipline che usano il metodo scientifico hanno ben chiaro questo concetto, e sono pronti a criticarci!).
    Concludo facendo un esempio: se io in una ricerca trovo una correlazione e sostengo invece di aver trovato una relazione causa effetto, tutti gli altri ricercatori criticheranno ciò che sostengo. Se invece riconosco i limiti della mia ricerca (magari visto che il fenomeno era così complesso non potevo adottare gli accorgimenti necessari per fare un vero e proprio esperimento), e dico che ho solo evidenziato una correlazione tra le due variabili, nessuno potrà criticarmi e anzi avrò contribuito alla mia disciplina. Allo stesso modo andrebbe fatto per quei dati psicologici che non sono stati ottenuti col metodo scientifico.

    E' questa la tautologia a cui mi riferivo all'inizio della lettera: a me sembra che ti sei risposto da solo. Esiste però un altro modo di intendere la soggettività come oggettivabile (senza che si venga a creare un paradosso teorico) ed io come clinico sostengo questo approccio. La soggettività è cmq un evento naturale che lascia delle tracce e produce delle conseguenze. Anche se non posso sostenere che la soggettività sia direttamente studiabile al di là dell'esperienza intersoggettiva (e quindi in un modo che un fisico riterrebbe non scientifico) è però possibile usare degli strumenti oggettivi che registrino queste componenti intersoggettive e che ne conservino la traccia in modo da poter essere accessibili ad altri clinici o altri ricercatori della mia area.
    Guarda che ci credo, ma sei sicuro di aver colto la soggettività, il significato intrinseco, il vissuto interiore di quella persona? O piuttosto non hai oggettivizzato questi aspetti, perdendone gli irriducibili aspetti soggettivi? Se prendiamo le emozioni, possono essere colte tutte le regolarità possibili, oggettivizzarle etc, ma non coglierai mai il vissuto interiore dell’individuo per quello che è. Studiandone le regolarità, le componenti intersoggettive, le tracce e le conseguenze che lascia la soggettività, studi i suoi aspetti oggettivi, o sbaglio?
    Me ne rendo conto che è una tautologia, ma ti ripeto che le nostre divergenze precedenti derivavano dal fatto che per me psicodinamica = studio della soggettività di per sé, e non delle sue regolarità, componenti intersoggettive etc. So bene che quelle possono essere studiate col metodo scientifico (magari senza poter fare veri e propri esperimenti, ma almeno riferendosi, cosa fondamentale, a fatti oggettivi). Probabilmente, se si potesse studiare la soggettività di per sé col metodo scientifico, avremmo risolto il problema della coscienza.

    P.S.
    (dovremmo più avanti anche affrontare la diade clinica/psicoterapia in opposzione con generale/sperimentale).
    Quando vuoi!
    Ultima modifica di korianor : 20-12-2005 alle ore 20.41.20
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

  13. #28
    Daidaidaidai
    Ospite non registrato
    Ciao korianor,

    in conclusione ho finalmente compreso il problema che ti premeva sottolineare e non posso che sostenere che sono d'accordo con tutto non solo le nostre posizioni erano molto più vicine di quanto pensassimo ma finiscono per sovrapporsi!
    In particolare concordo con l'idea di introdurre un uso più accorto e informato del termine scienza in psicologia riconoscendo i contributi pienamente scientifici da quelli che per problemi spesso pratici hanno utilizzato disegni di quasi-esperimento o metodi correlativi e che non sono in grado di produrre una conoscenza che ricostruisca la relazione tra due fenomeni in modo causale, anche se evidentemente contempliamo già modelli di interazione causale non lineari come nel caso della meccanica quantistica. Ho capito la differenza tra dato oggettivo/quantitativo (esprimibile tramite un numero senza una perdita di informazione) e qualitativo, più che interpretativo, la cui espressione numerica prevede una perdita di informazioni: posso quantificare il numero di volte in cui un soggetto dice la parola bene in un dialogo clinico ma questo porta ad un appiattimento dovuto al fatto che sto riducendo a numeri delle parole che come tali appartengono ad una classe logica, quella dei significati, che hanno delle proprietà non pienamente sovrapponibili o rappresentabili dalle proprietà dei numeri: se così fosse le due classi coinciderebbero.
    Ho capito anche come gli esponenti di altre discipline valutano e giudicano l'esposizione dei risultati delle nostre ricerche!
    Il tuo contributo è stato davvero interessante! Forse bisognerebbe scrivere qualcosa a riguardo del tipo: come uno psicologo sperimentale guarda al resto della psicologia, oppure un più rigido psicologia e scienza.
    Il tema è molto attuale e invito tutti i lettori a segnalare su questo 3d qualunque testo che possa aiutare noi psicologi di orientamenti non sperimentali a comprende come usare in modo corretto i termini scienza e scientifico quando lo applichiamo ai nostri lavori. Mi piacerebbe ancora qualche dritta sulla psicologia matematica se puoi darmene. Mi piacerebbe molto introdurre metodologie quantitative nello studio dei fenomeni clinici che arricchiscano e completino gli studi di tipo qualitativo psicodinamici o fenomenologici su popolazioni di pazienti. Sono rimasto molto stupito inoltre dalla tua considerevole apertura mentale verso metodi puramente basati su approcci qualitativi e soggettivi dal momento che ne riconosci l'importanza per comprendere l'essere umano al pari dei 'cugini' più seri che usano metodi e approcci psicometrico/quantitativi. Se devo essere sincero non ho visto lo stesso interesse da parte di psicologi psicodinamici i quali sono troppo impegnati ad autoincensarsi o a spacciare il proprio approccio per il migliore (qualunque esso sia nel dedalo teorico della psicoanalisi contemporanea) per prendere in esame problemi come che cosa è un dato scientifico o il ruolo della scienza nelle proprie discipline (ikaro per cortesia non rispondere perchè la chiusura mentale degli psicoanalisti - che so distinguere dagli psichiatri... - al progresso è praticamente proverbiale ed è spesso considerata come encomiabile tralaltro...).
    Posso chiederti quali sono le possibili applicazioni tecnologiche che possono usare le conoscenze della psicologia sperimentale?
    Più avanti ti rispondero punto-a-punto ai tuoi post ma penso che dopo aver riordinato le idee (più a me che a te temo però ) sarà una passeggiata. Hai confermato l'impressione del tutto soggettiva (ihihih) che gli scienziati siano delle persone assolutamente disponibili e aperte mentre ho avuto l'impressione che i clinici oltre a sostenere una serie di idee dalla scientificità un po' dubbia (ma questo non è più un problema dopo quanto detto) sono persone gelose dei loro pazienti, ancorati alle loro idee e ai loro potentati. Il giro dei pazienti ha autenticamente avvelenato il mondo della clinica e sto sinceramente pensando di levare le tende. C'è un posto tra voi sperimentali??? Sono tra lo scherzoso e il serio.

    A presto e grazie per questa conversazione estremamente fruttuosa.

    Fabrizio

  14. #29
    Partecipante Super Figo L'avatar di ikaro78
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    Se devo essere sincero non ho visto lo stesso interesse da parte di psicologi psicodinamici i quali sono troppo impegnati ad autoincensarsi o a spacciare il proprio approccio per il migliore (qualunque esso sia nel dedalo teorico della psicoanalisi contemporanea) per prendere in esame problemi come che cosa è un dato scientifico o il ruolo della scienza nelle proprie discipline (ikaro per cortesia non rispondere perchè la chiusura mentale degli psicoanalisti - che so distinguere dagli psichiatri... - al progresso è praticamente proverbiale ed è spesso considerata come encomiabile tralaltro...).
    Il problema, caro Fabrizio, è che quello che tu chiami "progresso" per me è "regresso". La questione della scientificità in psicoanalisi non è così prioritaria dal mio punto di vista. Tutto qui. Toglimi una curiosità: in 1 altra discussione hai definito l'approccio rogersiano come "voce fuori dal coro". Non è questo 1 "autoincensarsi" né più né meno del mio?

    Saluti,
    ikaro

  15. #30
    Postatore Compulsivo L'avatar di Itsuki
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    ikaro, a parte che, anche se a te non interessa (e si è capito abbastanza bene, quindi tranquillo ), esiste, da prima della nascita delle teorie dinamiche della mente, una scienza che proviene dalla fisiologia e dalla neuroanatomia che nasce a metà del 1800 e che continua ancora oggi a produrre evidenze sul funzionamento biologico del cervello.
    se a te questo non interessa, ok, non ti si obbliga a studiarlo...ma puntualizzare che a te fa schifo questo tipo di approccio per studiare la "mente" (che, se gli togli il substrato neuronale, non so proprio a cosa vada ricondotta, a questo punto), non è assolutamente necessario...è un'opinione tua, non una certezza...

    il progresso è definito tale quando si produce conoscenza sul funzionamento di un dato processo...e se ne utilizzano i risultati o per vivere meglio o per comprendere maggiormente dei punti spinosi che ritornano un po' in tutte le scienze di cui l'uomo si occupa da millenni...
    è questione di interesse: io voglio sapere come fai a pensare e cerco di capirlo a partire dalla materia che te lo permette, ovvero i neuroni, e affronto tutti i livelli successivi di complessità fino ad arrivare agli stati di coscienza. tu preferisci sapere come mai mi occupo di scienza e non di altro, e perchè la mia vita è tutto un "cercare"...sicuramente è dovuto a qualche insoddisfazione mia che mi spinge a cercare altro al di fuori di me...
    ecco, a me non me ne frega niente di sapere perchè sono così...sono così e sto bene, quando ho avuto un problema sono andata da uno psicologo, se ne dovessi avere altri ci tornerei, mi interessa l'analisi dinamica, ma non ne faccio il mio punto di forza nella vita...quello che voglio sapere è solo e soltanto come fanno, tutti quei neuroni e più del doppio delle connessioni tra loro, a permettermi non solo di vivere nel mondo, come fanno gli altri animali, ma anche a ragionare su esso e, cosa assolutamente strabiliante, riflettere sulla mia condizione globale ed affrontarne una meta-cognizione che, finora, in natura non si è mai vista stop...

    come vedi è un interesse completamente diverso dal tuo...una volta constatata questa cosa, ricordarlo ogni volta che si discute non aiuta a raggiungere un quadro unitario della situazione, e sicuramente non aggiunge conoscenze...
    discutere serve a creare sincrasie, a fare un collage di punti di vista anche diversi l'uno dall'altro, è un progresso dinamico...io sono disposta a modificare le mie versioni della questione...e devo dire che i botta e risposta di korianor e fabrizio mi stanno arricchendo parecchio il punto di vista...!!

    questa discussione la incornicio... e la faccio leggere al mio prof...
    Ultima modifica di Itsuki : 21-12-2005 alle ore 10.16.27
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