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  1. #31
    Partecipante Super Figo L'avatar di ikaro78
    Data registrazione
    06-07-2004
    Residenza
    Milano
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    1,975
    Originariamente postato da Itsuki
    [B]ikaro, a parte che, anche se a te non interessa (e si è capito abbastanza bene, quindi tranquillo ), esiste, da prima della nascita delle teorie dinamiche della mente, una scienza che proviene dalla fisiologia e dalla neuroanatomia che nasce a metà del 1800 e che continua ancora oggi a produrre evidenze sul funzionamento biologico del cervello.
    se a te questo non interessa, ok, non ti si obbliga a studiarlo...ma puntualizzare che a te fa schifo questo tipo di approccio per studiare la "mente" (che, se gli togli il substrato neuronale, non so proprio a cosa vada ricondotta, a questo punto), non è assolutamente necessario...è un'opinione tua, non una certezza...
    Carissima,
    ma hai letto il mio intervento?!
    Secondo me no, o almeno non attentamente...
    Io dicevo semplicemente che la questione della scientificità della psicoanalisi (che è 1 questione puramente epistemologica e di filosofia della scienza), ovvero se la psicoanalisi è o non è 1 scienza, non è per me prioritaria, non ho mai detto che la psicoanalisi sia 1 certezza incontrovertibile, né ho mai detto "la neurobiologia non esiste" o che sia fuori moda.
    Mi sembra, piuttosto, che da parte vostra sia difficile accettare l'idea che l'inconscio di cui parlano gli psicoanalisti non sia riducibile all'inconscio neurologico. O che non accettiamo 1 riduzione della mente al cervello, perchè si tratta di questo, in fondo, questa è l'utopia a cui tende la neurobiologia. E poi sarei io quello chiuso mentalmente? Bah...

    Saluti a tutti,
    e in ogni caso complimenti per la discussione.

    ikaro
    Ultima modifica di ikaro78 : 21-12-2005 alle ore 11.00.12

  2. #32
    Sigismonda
    Ospite non registrato
    Intervengo solo per notare una cosa: per quanto la psicoanalisi sia trattata come vecchiume dalla maggior parte degli opsiani riesce ancora (dopo oltre 100 anni) ad attirare l'attenzione e l'interesse di tutti, neuropsicologi compresi.
    La mia modesta ipotesi è che, se fosse realmente così superata, se non riguardasse ciascuno di noi nel profondo, un 3d sulla psicoanalisi verrebbe lasciato cadere come accade per quelli relativi a tutti gli altri orientamenti terapeutici... dunque
    W LA PSICOANALISI

  3. #33
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
    Data registrazione
    30-06-2005
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    335
    Fabrizio,

    ero sicuro che le nostre posizioni fossero molto simili (avevo letto i tuoi interventi nelle altre stanze), ma la cosa che più mi fa piacere è che tu abbia colto l’importanza e l’essenza della questione che mi sta a cuore. Vorrei invitare Ikaro, che scrive:

    La questione della scientificità in psicoanalisi non è così prioritaria dal mio punto di vista.

    a seguire con me questo ragionamento. La questione della scientificità credo sia centrale per tutti gli psicologi in quanto professionisti che devono interagire, giocoforza, con cultori di discipline scientifiche. Ikaro stai diventando psicoanalista, giusto? Ma sei anche psicologo, già da ora. Quindi, tutte le volte che interagisci con altre figure professionali sia in ambiente lavorativo che non (hai amici ingegneri? O fisici?), rappresenti la psicologia. E rappresentando la psicologia, rappresenti anche me, malgrado io abbia una posizione molto distante rispetto alla tua (ovviamente il discorso lo possiamo anche invertire, tutte le volte che io, psicologo, affermo qualcosa, dando una certa immagine della psicologia, ho un riflesso sulla tua vita professionale in quanto anche tu sei psicologo).

    Detto questo, sarebbe opportuno, in primo luogo, dare l’immagine di una disciplina unitaria malgrado le differenze tra i vari approcci (e non criticarci continuamente a vicenda delegittimando l’operato altrui), in secondo luogo dare un’informazione corretta sul valore epistemologico di ciò che affermiamo. Siccome la psicologia viene continuamente giudicata dalle altre scienze, non è opportuno che tutti gli psicologi riflettano sul valore scientifico di quello che dicono, in modo da dare un’immagine corretta di sé?

    Ikaro, cosa ne ricaviamo tutti a sostenere che la questione della scientificità della psicoanalisi non è prioritaria? Considera che, molto frequentemente, c’è l’abitudine di fare affermazioni che di scientifico non hanno nulla, ma, con buona fede o meno, si fanno passare per scientifiche (basta omettere chiarimenti, e la persona che ho di fronte, assumendo che la psicologia sia una scienza, considera ciò che abbiamo detto al pari di un’affermazione oggettiva; se è poco colta ci crede, altrimenti è portata a pensare che la psicologia sia una disciplina di second’ordine -ho nuovamente usato un eufemismo). Non sarebbe meglio per tutti chiarire, fin dal principio, che si tratta di una forma di conoscenza che non si basa sul metodo scientifico? In questo modo la psicologia eviterebbe di essere considerata una pseudoscienza (ma verrebbe vista –come di fatto è- una disciplina che ha al suo interno numerosi approcci dallo scientifico all’umanistico), e la psicoanalisi non verrebbe più criticata per la sua mancata scientificità.


    Mi sembra, piuttosto, che da parte vostra sia difficile accettare l'idea che l'inconscio di cui parlano gli psicoanalisti non sia riducibile all'inconscio neurologico.

    Per quanto mi riguarda, a mio parere i processi impliciti della scienza cognitiva (sinceramente inconscio neurologico è un’espressione che non ho mai sentito, ma forse può dipendere dal fatto che, una volta laureato, ho smesso di occuparmi di neuroscienze in modo diretto; forse Itsuki può darci delucidazioni) hanno in comune con l’inconscio psicoanalitico il fatto che stiamo parlando di qualcosa di inconsapevole che accade nella vita mentale dell’essere umano (uso termini generici in modo da essere così aspecifico da poter includere entrambi i concetti).
    Ma come si scende nei dettagli la somiglianza cessa. Cito Ikaro “secondo Lacan l’inconscio è strutturato come un linguaggio”: non mi sembra che i processi impliciti siano strutturati come un linguaggio! (forse si potrebbe fare un vago riferimento al mentalese di Fodor, ma stiamo proprio su piani differenti). In ogni caso discuteremo meglio di questi aspetti quando tratteremo Solms, ok?


    P.S. Fabrizio, tra breve ti mando un PM con tutte le risposte alle tue domande (se rispondessi qui andremmo decisamente OT!); se ti sembrano questioni di particolare importanza apri pure dei nuovi thread. Cito solo un manuale, molto semplice, che affronta, nelle prime pagine, cosa sia il metodo scientifico: McBurney “Metodologia della Ricerca in Psicologia” Il Mulino.
    Ultima modifica di korianor : 21-12-2005 alle ore 15.54.03
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

  4. #34
    Partecipante Super Figo L'avatar di ikaro78
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    06-07-2004
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    Milano
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    1,975
    Caro Koranior,
    raccolgo volentieri l’invito, anche perché trovo sempre intelligenti le tue argomentazioni, anche se non sono sempre condivisibili, non in toto, almeno. Quando scrivo che “la questione della scientificità in psicoanalisi non è così prioritaria dal mio punto di vista” non voglio certo dire che non sia 1 questione importante. Dico semplicemente che la questione, pur interessante, non è di così facile risoluzione come ci proponi: il dibattito, infatti, è oramai secolare: il neopositivismo, Popper, la corrente ermeneutica, Habermas, Ricoeur e molti altri hanno affrontato la questione arrivando a dare risposte diverse e non proprio conciliabili. Perché, quindi, dovrei accettare a priori che la psicoanalisi non sia 1 scienza naturale quando il dibattito anima ancora oggi i filosofi della scienza? Recentemente Grünbaum ha rilanciato con forza e con autorità la psicoanalisi all'interno alle scienze naturali, affermando che questo – ovviamente – significa anche porre la psicoanalisi di fronte alle sue responsabilità. Quindi conferisce alla psicoanalisi almeno la possibilità di inscriversi nel panorama delle scienze naturali. Cosa che né i neopositivisti nè Popper avevano fatto. E nemmeno Korianor, a quanto pare. E allora, visto che il dibattito è vivo e vegeto per definizione, essendo 1 questione squisitamente filosofica, non lo considero prioritario. Il che non significa, a mio modo di vedere, che non sia importante o centrale. E allora perché dovrei affannarmi a rispondere a questa domanda o accontentarmi di 1 risposta, quando il problema ne apre molte altre e diverse? Non sono 1 filosofo della scienza, ahimè, ma spero di poter continuare a studiare la psicoanalisi senza l’ossessione del soggetto “puro” di cui parla Green. E spero di poter continuare a dire, e qui cito Roudinesco (una storica di professione e psicoanalista francese), che “la neuropsicoanalisi e l’inconscio cognitivo dimostrano che Freud è morto negli Stati Uniti” anche su un forum di Neuropsicologia e Neuroscienze Cognitive, senza per questo sentirmi 1 pezzo da museo o 1 reperto archeologico. Quanto al resto mi sento di tranquillizzarti, fuori di qui sento di rappresentare piuttosto bene la “psicologia”, so come affrontare la questione con gli altri professionisti e pure con i non addetti ai lavori che guardano Morelli o Meluzzi in televisione e restano perplessi o affascinati: fossi in te mi preoccuperei di più per il livello medio degli opsiani, piuttosto che del mio modo di rappresentarti! :-)

    Saluti a tutti,
    ikaro
    Ultima modifica di ikaro78 : 21-12-2005 alle ore 16.51.47

  5. #35
    Daidaidaidai
    Ospite non registrato
    Ciao korianor,
    rispondo punto-a-punto a un tuo vecchio post.

    IO: il problema dell'oggettività della scienza parte dal presupposto che sia maggiormente possibile (e con maggiore certezza) conoscere la realtà attraverso il metodo sperimentale oggettivo che rifugge da qualunque esperienza dilettantesca della realtà empirica e necessita dei criteri di attendibilità, oggettività e ripetibilità che accanto ad altre posizioni epistemologiche costituiscono il nerbo della scienza, della psicologia come della fisica.

    TU: Certo che si, però io non vedo la questione in termini quantitativi (questo processo di conoscenza è più scientifico di quest’altro), ma in termini dicotomici: se c’è un risultato oggettivo, è un risultato scientifico.


    Questo punto mi sembra si sia chiarito. Se ho ben capito alla luce di quanto detto i dati sono oggettivi o non lo sono ma l'impiego di metodologie obiettive in diversi ambiti disciplinari rende conto della maggiore o minore scientificità di questi approcci. Credo che mantenere procedimenti conoscitivi e dati separati consenta di ricostruire con più facilità le parti del nostro ragionamento che possono considerarsi basati su metodologie obiettive (limitatamente alla loro portata scientifica cioè a quello che un dato disegno sperimentale può o non può provare sul piano scientifico) e quali invece siano contributi qualitativi: per completare il discorso vorrei dire cmq che le metodologie qualitative sono cmq un livello di complessità metodologica che non sempre viene implementato nella pratica della psicologia: un conto è dire ho parlato con il paziente X per mezz'ora e le mie impressioni di analista sono a, b, c ... un conto è dire ho somministrato al paziente X l'intervista strutturata dell IDC a scopo anamnestico e la siglatura dei risultati secondo il metodo taldeitali mi fa propendere per un'ipotesi di a, b, c.
    LO stesso vale per metodi qualitativi che vengono utilizzati moltissimo nel campo della psicologia culturale o ad esempio nella psicolinguistica cognitiva (v. Lakoff, Johnsonn) tramite le quali è possibile fare un'analisi formale del discorso che data una certa metodologia standard darà sempre lo stesso risultato.
    In questo caso mi sorge il dubbio se una tale metodologia possa essere considerata scientifica per almeno due ragioni: primo è che oltre ad una modalità di codifica dei dati standardizzata e che non induca distorsioni (deve essere cioè sufficientemente sensibile per rendere tutte le dimensioni che voglio esplorare e questo è già un casino) va introdotta anche una presentazione dello stimolo che sia in qualche modo controllata. A mio parere affibbierei a questi procedimenti anche sperimentali il nome di metodi obiettivi ma non oggettivi: cmq infatti il risultato di un processo qualitativo è un prodotto non traducibile in numeri tout court , cioè senza 'perderne' o 'trasformarne' i significati qualitativi.


    IO: A mio parere però la fisica è un modello di scienza con cui noi psicologi non abbiamo molto da spartire. Ritengo che la disciplina scientifica fondamentale della psicologia sia la biologia. In effetti io considero la psicologia una sorta di etologia e neurobiologia umana. Ma questa è la mia opinione.
    TU: Qui sono in disaccordo. L’approccio etologico e neurobiologico sono già presenti in alcuni settori di indagine della psicologia; vuoi dire che debba essere dato un maggior spazio a questi approcci in ambiti psicologici dove non lo hanno? Le neuroscienze collaborano già attivamente in quel settore multidisciplinare dell’indagine scientifica che si chiama ‘scienza cognitiva’: non vedo perché la psicologia sperimentale dovrebbe ispirarsi alla neurobiologia come scienza (a parte che sono veramente già molto simili e collaborano da anni in modo interdipendente). A mio parere invece la psicologia sperimentale dovrebbe iniziare a fare uso massiccio di modelli matematici, come la fisica (e tra l’altro, stanno iniziando a farlo anche la biologia e la neurobiologia). Mi riferisco a Duncan Luce e la psicologia matematica, ma anche all’uso dei modelli di equazioni strutturali, dei modelli multinomiali, alla psicofisica, la matematica discreta, etc.


    Credo di aver risposto già su questo punto con i miei post. Se hai qualche curiosità specifica fammi sapere. Vorrei solo aggiungere che ho notato con sommo stupore come l'etologia sia scarsamente considerata tra noi psicologi: io leggendo il volume di Eibl-Eibesfeldt, Etologia umana, sono invece rimasto shockato dalla serietà delle ricerche (che potrei definire sicuramente obiettive ma non scientifiche). Gli argomenti sono forti, utilissimi per noi psicologi e coinvolgenti oltre a proporre degli affascinanti riflessioni epistemologiche sul contributo dell'etologia alla scienza in generale. E' un peccato che questo argomento sia spesso trascurato nonostante autori psicoanalitici come Bowlby e la Ainsworth lo abbiano reintrodotto (non senza resistenze culturali e non).


    IO: Il problema sorge dal fatto che la relazione che io ho con un atomo e quella che ho con una persona sono molto diverse.
    TU: La memoria, la percezione, etc, in altri termini i processi cognitivi, sono come gli atomi. Si possono studiare in modo oggettivo.


    Intendevo dire che il SNC risponde in maniera diversa e se vogliamo più completa alla visione o alla presenza di persone, in particolare rispondendo in modo emozionale e questo comporta tutta una serie di 'riaggiustamenti' comportamentali, fisiologici e neurofisiologici che nel complesso modificano l'esperienza soggettiva.
    La componente emotiva non è primariamente stimolata da oggetti inanimati, anche se può esserla secondariamente. Qui però la cosa diventa un po' troppo psicoanalitica e rischio di annoiarvi.


    IO: Il mio sistema nervoso non interpreta nè reagisce ai due stimoli in modo uguale o paragonabile.
    TU: Su questa frase ho delle perplessità. Bisogna vedere cosa misuro, in altri termini cosa osservo, del sistema nervoso. Concordo se si ci si riferisce al sistema nervoso in quanto sede della nostra interiorità e soggettività (ma a questo punto mi chiedo… che cosa osserviamo del sistema nervoso?)


    Spero che il significato della frase sia ora meno sibillino. Penso che questi indicatori ci diano una valutazione dell'attività globale del sistema nervoso dal momento che l'esperienza soggettiva o la coscienza se preferisci sembra essere un collage o un'interazione complessa delle diverse funzioni mentali modulari o isolate. Credo che sia l'equivalente psicologico dell'EEG, se mi permetti la metafora.


    IO: Esistono tuttavia delle misure più dirette che mi facciano osservare COME e COSA pensa l'individuo in questione?
    La risposta è: non lo so.
    TU: La mia è: attualmente non le abbiamo. In futuro chissà.
    IO: Sarebbe però sbagliato considerare di serie B i risultati dell'esperienza soggettiva.
    TU: Mi sono espresso male, scusa. Sono risultati di serie B se glieli spaccio per scientifici (banalmente mi dirà che non sono scientifici!!!). Se gli dico che è una forma di conoscenza epistemologicamente differente, cioè basata sulla soggettività, allora no. E’ semplicemente una cosa diversa. Quello che sostengo io è che bisogna fare chiarezza sulla differenza tra affermazioni scientifiche su processi mentali e comportamento vs quelle che sono affermazioni sulla soggettività umana (e quindi interpretative). Non c’è gerarchia tra questi due approcci, hanno solo un valore epistemologico diverso. Se parlo con un fisico di inconscio freudiano spacciando le mie affermazioni per scientifiche, questo considererà la psicologia come una pseudoscienza. Se gli parlo di memoria di lavoro e gli dico che è un risultato scientifico e poi di inconscio freudiano e gli dico che è un modo per interpretare la soggettività umana, allora penserà che la nostra disciplina è molto complessa, con metodi e approcci differenti.


    Ovviamente è questo il nocciolo del problema ed è un tema verso cui ti sono grato avermi sensibilizzato. Il pericolo di essere considerati una pseudoscienza è in effetti molto reale e la propaganda di Morelli & Co. lo pone come un tema centrale al quale ogni psicologo competente dovrebbe saper dare una risposta corretta. Forse però prima, rifacendomi ai miei interventi sul 3d 'Contro la distruzione della psicologia' prima o contemporaneamente sarebbe opportuno innalzare la qualità della preparazione scientifica degli psicologi (di qualsiasi orientamento) che mi dispiace dirlo ma spesso fa acqua da tutte le parti (e io sono il primo a mettermi tra questi) a cominciare dall'annoso rifiuto di biologia e statistica ai primi anni. Immagino che tutto ciò ti farà sorridere essendo tu uno psicologo sperimentale che di matematica e scienza ne mastica parecchio... per caso stai facendo un dottorato?


    TU: Se si operasse questa distinzione interagendo con gli utenti e gli altri professionisti, la nostra disciplina ne guadagnerebbe.


    Indubbiamente. Non penso ci sia da aggiungere nulla, soprattutto dopo aver letto il tuo post precedente.


    IO: Non dobbiamo dimenticare che l'esperienza soggettiva è una scienza pret-a-porter che ha consentito le principali scoperte pre-scientifiche senza le quali la scienza probabilmente non esisterebbe. Prima di Galileo abbiamo addomesticato animali, costruito capanne e monumenti, organizzato eserciti da migliaia di persone, scoperto la fermentazione del vino ecc...
    TU: Vero. Ma per quanto tempo lo abbiamo fatto? Appena è nata la scienza moderna, in meno di 400 anni abbiamo modificato il mondo e manipolato la realtà come non mai. E probabilmente con l’approccio pre-scientifico non avremmo MAI saputo nulla di atomi o elementi chimici o della memoria iconica.


    Questo è un tema complesso che verte sul problema:ogni tassello del progresso ha lo stesso peso? Oppure i primi passi sono i più difficili? Facendo un ragionamento da bar dato che la nostra intelligenza è potenzialmente la stessa da milioni di anni e data le migliaia di anni che sono trascorsi dalla lavorazone delle pietre da un solo lato sino ad affilare entrambi i lati (operazione che noi oggi consideriamo banale) i primi passi sono decisamente i più difficili e complessi. A mio parere senza una struttura sociale consolidata, una riorganizzazione del lavoro che includa la specializzazione di vaste parti del tessuto sociale (mercanti e artigiani), l'addomesticamento di animali in grado di fornire alimenti, materie prime e forza lavoro aggiuntiva e la coltivazione di specie vegetali prima selvatiche non saprei pensare sinceramente ad una scienza così come esiste oggi. Se non avessimo compiuto tutti questi passi Galileo sarebbe stato solo un essere primitivo un po' bruttino... si è veroogni tanto si perdeva a pensare solo soletto ma poi aveva fame e si riuniva al gruppo per andare a caccia e infine mangiava tutto allegro Chi avrebbe fabbricato le lenti dei suoi microscopi e telescopi? E Einstein? E Fleming? Che fine avrebbero fatto?
    In un certo senso la scienza e la riorganizzazione più avanzata di quella sete di sapere e di conoscenza che quando non poteva esprimersi altrimenti si manifestava in molti modi guidati dalla soggettività. Ad un certo momento si è dovuto tagliare i ponti con questa forma di sapere primitivo ma non dimentichiamo che le prime conoscenze delle leghe e dei metalli che confluirono poi nell'alchimia da cui solo più tardi nacque la moderna chimica lo si deve all'intuito, all'interesse e alla pratica tecnica di uomini che procedevano con metodi che sinceramente non potrei definire scientifici (a cominciare dal fatto che molte scoperte furono probabilmente serendipie).


    IO: Piuttosto direi che le affermazioni di tipo soggettivo dovrebbero essere messe a confronto con la variazione di indici oggettivi quantunque rimanga una differenza tra costrutti e fenomeni(vedi il rapporto tra Q.I e il concetto di intelligenza: anche senza sapere il Q.I. di una persona sai stimare se la persona che ti è di fronte è intelligente oppure no e che tipo di intelligenza possiede).
    TU: Il problema anche qui è che sto considerando una variabile che non è oggettiva, cioè la soggettività umana. E’ ovvio che finché rimango entro i giudizi sull’intelligenza altrui posso in qualche modo oggettivare questi giudizi (con varie tecniche psicometriche) ma in questo modo perderei la componente soggettiva, che è quella che ci interessa. Cioè, per fare una ricerca di questo tipo (ed è stato fatto, te l’assicuro) bisogna oggettivare i giudizi soggettivi, non si può fare altrimenti. E quindi non ci siamo mossi di un millimetro.


    Come già detto sono d'accordo: così intesa la soggettività umana non è osservabile direttamente con strumenti obiettivi.


    IO: Se disponessimo di strumenti più capillari e meno globali potremo tuttavia riannodare l'esperienza con le modalità di attività del cervello. Io in particolare seguo la pista della neurobiologia perchè la ritengo più promettente.
    TU: Come ti ho scritto in PM è un po’ l’idea di Solms. Te ne riparlerò quando discuteremo sul suo libro .


    L'attesa sta crescendo...
    A presto,

    Fabrizio

    P.S. Ovviamente ho suggerito io l'idea a Solms ... non ci credete eh?

  6. #36
    Daidaidaidai
    Ospite non registrato
    Ciao ikaro,
    spero che mi perdonerai se mi intrometto nella conversazione.

    [QUOTE]Originariamente postato da ikaro78
    ... Quando scrivo che “la questione della scientificità in psicoanalisi non è così prioritaria dal mio punto di vista” non voglio certo dire che non sia 1 questione importante. Dico semplicemente che la questione, pur interessante, non è di così facile risoluzione come ci proponi: il dibattito, infatti, è oramai secolare: il neopositivismo, Popper, la corrente ermeneutica, Habermas, Ricoeur e molti altri hanno affrontato la questione arrivando a dare risposte diverse e non proprio conciliabili. Perché, quindi, dovrei accettare a priori che la psicoanalisi non sia 1 scienza naturale quando il dibattito anima ancora oggi i filosofi della scienza?
    [QUOTE]

    A dire la verità la questione della scientificità della psicoanalisi dovrebbe essere dibattuta più da psicologi che da filosofi della scienza dal momento che il nostro pensiero filosofico su che cosa sia la scienza è a mio parere più che sufficiente per pronunciarsi circa lo status scientifico della psicoanalisi (non negando le possibilità di future messe in discussioni ma nemmeno lasciando pensare che la questione sia del tutto 'aperta' come il tuo post lascia a pensare). Infatti nè la corrente ermeneutica (per definizione) nè Habermas (per ramo filosofico) possono intendersi come competenti in materia di filosofia della scienza e non vedo come possano sinceramente parlare di questo argomento (direi lo stesso di Ricoeur ma non lo conosco). Mi sembra invece che le idee siano ancora confuse tra forme di conoscenza non scientifiche, ma di assoluta e pari dignità rispetto alle conoscenze scientifiche, e quelle appunto che rispettano i criteri di scientificità oggettiva. Il tipo di risultati a cui si giunge sono diversi nel senso di non comparabili o sovrapponibili. Però, per cortesia non mettetemi Popper vicino ad Habermas... o la fisica vicino all'ermeneutica o alla semiotica (con buona pace del prof. Eco) !


    Recentemente Grünbaum ha rilanciato con forza e con autorità la psicoanalisi all'interno alle scienze naturali, affermando che questo – ovviamente – significa anche porre la psicoanalisi di fronte alle sue responsabilità. Quindi conferisce alla psicoanalisi almeno la possibilità di inscriversi nel panorama delle scienze naturali. Cosa che né i neopositivisti nè Popper avevano fatto.


    Il commento di Grunbaum è esattamente identico alla mia idea di come dovremmo gestire la psicoanalisi: in un altro post tu dici che è l'oggetto di studio a fare una disciplina; io mi permetto di ribaltare il tuo assunto e di dire che è un metodo a fare l'oggetto di studio: la realtà è cioè conoscibile attraverso gli strumenti che usiamo incluso un approccio fenomenologico puro ovvero il rifiuto o l'abbandono di strumenti di interpretazione della realtà; anche se Popper o altri neopositivisti si sono espressi in modo molto chiaro circa la posizione della psicoanalisi nella costellazione delle scienze naturali il loro giudizio non andrebbe inteso in modo perentorio ma solo come una constatazione sulla psicoanalisi al suo attuale (parliamo di parecchi decenni fa) stato dell'arte. In effetti le argomentazioni di Popper non fanno una piega ma dobbiamo anche capire che le asserzioni di Popper dovrebbero essere intese in senso anche didascalico: egli mette proprio a confronto il ragionamento einsteiniano con le asserzioni psicoanalitiche ed usa la psicoanalisi come MODELLO di pseudoscienza mentre si appresta a gettare le basi del suo pensiero (il falsificazionismo).
    La domanda non è se lapsicoanalisi sia una scienza naturale ma, come rilancia perspicacemente Grunbaum, se essa POSSa esserlo assumendosi le RESPONSABILITA' che da ciò derivano OVVERO quello di provare oggettivamente ciò che si afferma. Non si tratta di buttare nel bidone cent'anni di psicoanalisi ma si tratta di farla finita con articoli che comprendono stralci di casi clinici 'addomesticati' all'uso e consumo degli analisti, la ricerca sperimentale sugli assunti teorici in termini scientifici aggiornati (se accettiamo il principio economico allora risulta che a, b, c ----> messa alla prova sperimentale per decidere se mantenere o rigettare l'ipotesi dell'esistenza di un modello economico delle pulsioni ecc...), riunificare la terminologia e i concetti per renderli più intelliggibili e più circoscritti e specifici (ad es. che cosa intendiamo con Io; con Sè; e cosa con formazione reattiva?). Noterai ikaro che molti di questi passi, anche se ancora in un ottica pre-scientifica sono già stati compiuti: molti autori analitici hanno speso molto tempo ad osservare sistematicamente bambini in diversi contesti (ma anche qui con metodologie decisamente carenti rispetto ad esempio all'Infant Research) e per quanto riguarda la psicologia dell'Io, dei tentativi di riorganizzazione teorica sono quello di Rapaport per la metapsicologia analitica e quello di Anna Freud prima e di Sandler dopo riguardo ai meccanismi di difesa. Per quanto riguarda i metodi sperimentali essi sono stati implementati e ci sono non pochi analisti che sono invece aperti a metodi di valutazione dell'outcome terapeutico o a partecipare come soggetti a studi sull'efficacia delle psicoterapie o sul processo terapeutico. A me sembra cioè che ci siano in nuce degli elementi che consentirebbero alla psicoanalisi di uniformarsi allo standad di scienze oggettive e naturali ma il passo consiste nell'accettare le responsabilità e il fardello metodologico che ne consegue e che inevitabilmente altererà l'oggetto di studio dell'analista, il quale però è di per sè confuso e polimorfo - leggi l'inconscio è una brutta bestia; ma soprattutto altererà il modo con cui per almeno un secolo la psicoanalisi è stata insegnata, trasmessa e divulgata. E ho come l'impressione che a fronte degli innegabili vantaggi che ne deriverebbero dal rendere la psicoanalisi una scienza naturale del comportamento quale essa è, e quindi una scienza, vi siano molte 'resistenze' da parte di chi pensa che in fondo l'analisi va bene così com'è anzi... addirittura era meglio ai tempi di Freud! Purtroppo anche una persona intelligente come te ikaro è caduta nella 'trappola' e sono le persone come voi che additano noi psicologi dinamici progressisti come 'traditori' 'eretici' o 'venduti'... Che dire, a fronte di un simile rifiuto mentale non mi stupisco che ci siano molti 11o e lode che migrano dalle facoltà di psicologia ad orientamento dinamico verso neuropsicologia o cognitiva applicata ecc... Sono in molti tra i miei amici psicologi ad essere insoddisfatti di questo atteggiamento.

    Spero di aver contribuito in modo costruttivo a questo 3d.

    A presto,
    Fabrizio

  7. #37
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
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    335
    raccolgo volentieri l’invito, anche perché trovo sempre intelligenti le tue argomentazioni, anche se non sono sempre condivisibili, non in toto, almeno.
    Grazie Ikaro, immaginavo che tu non condividessi in toto le mie argomentazioni, ma mi sono rivolto a te proprio perché mi interessava sapere in che misura le condividevi in quanto futuro psicoanalista. Daidaidaidai ha commentato analiticamente tutto il tuo post, io mi limiterò a fare solo un’osservazione.


    Dico semplicemente che la questione, pur interessante, non è di così facile risoluzione come ci proponi: il dibattito, infatti, è oramai secolare: il neopositivismo, Popper, la corrente ermeneutica, Habermas, Ricoeur e molti altri hanno affrontato la questione arrivando a dare risposte diverse e non proprio conciliabili. Perché, quindi, dovrei accettare a priori che la psicoanalisi non sia 1 scienza naturale quando il dibattito anima ancora oggi i filosofi della scienza? Recentemente Grünbaum ha rilanciato con forza e con autorità la psicoanalisi all'interno alle scienze naturali, affermando che questo – ovviamente – significa anche porre la psicoanalisi di fronte alle sue responsabilità. Quindi conferisce alla psicoanalisi almeno la possibilità di inscriversi nel panorama delle scienze naturali. Cosa che né i neopositivisti nè Popper avevano fatto. E nemmeno Korianor, a quanto pare. E allora, visto che il dibattito è vivo e vegeto per definizione, essendo 1 questione squisitamente filosofica, non lo considero prioritario.
    Da un lato ero consapevole del dibattito in corso, dall’altro la mia posizione coincide con quella dei filosofi della scienza le cui argomentazioni mi hanno maggiormente persuaso, senza credere, in ogni caso, che queste argomentazioni corrispondano alla Verità. Detto questo mi scuso per aver dato come risolto questo problema senza sottolineare la complessità del dibattito sottostante. Malgrado ciò, mi sembra evidente una cosa: la posizione epistemologica della psicoanalisi è quanto meno poco chiara e attualmente i filosofi della scienza discutono ancora. Il mio discorso si ripropone: perché non chiarire questa cosa quando si fanno affermazioni basate sulla psicoanalisi? Magari per uno psicoanalista è una cosa ovvia che ci sia questo dibattito, ma non lo è spesso per i vostri interlocutori! Pensando quanto la rappresentazione sociale della psicologia dipenda dalla psicoanalisi, potrebbe migliore l’immagine della psicologia e degli psicologi, non credi?


    Quanto al resto mi sento di tranquillizzarti, fuori di qui sento di rappresentare piuttosto bene la “psicologia”, so come affrontare la questione con gli altri professionisti e pure con i non addetti ai lavori che guardano Morelli o Meluzzi in televisione e restano perplessi o affascinati: fossi in te mi preoccuperei di più per il livello medio degli opsiani, piuttosto che del mio modo di rappresentarti! :-)
    Spero che tu non abbia colto nelle mie parole un’accusa di mancanza di capacità di rappresentare la psicologia e di saper dialogare con altri professionisti/non addetti ai lavori. Volevo solo sapere che opinione avevi sull’opportunità di chiarire la posizione epistemologica di quanto sosteniamo noi psicologi (anche se significa, in seguito al tuo post, dichiarare l’esistenza di una posizione epistemologica incerta) e se questo poteva migliorare l’immagine della nostra disciplina (ma probabilmente anche della psicoanalisi )
    Ultima modifica di korianor : 21-12-2005 alle ore 23.36.16
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

  8. #38
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
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    Rispondo alle questioni in topic di uno degli ultimi post di Daidaidaidai (per le altre ti mando un PM , altrimenti finisce che Itsuki propone il ban )

    Intendevo dire che il SNC risponde in maniera diversa e se vogliamo più completa alla visione o alla presenza di persone, in particolare rispondendo in modo emozionale e questo comporta tutta una serie di 'riaggiustamenti' comportamentali, fisiologici e neurofisiologici che nel complesso modificano l'esperienza soggettiva.
    La componente emotiva non è primariamente stimolata da oggetti inanimati, anche se può esserla secondariamente. Qui però la cosa diventa un po' troppo psicoanalitica e rischio di annoiarvi.

    In una certa misura è vero, ma parli di persone e oggetti inanimati. Consideriamo un animale: se vedo un serpente, il sistema risponde in modo emozionale con tutti i riaggiustamene di cui parli…. ne va la nostra sopravvivenza! Stesso discorso si potrebbe fare, sotto un temporale, dopo che un fulmine ti è caduto vicino (ed è un oggetto inanimato!). Comunque è vero, in riferimento al SNC, che lo stimolo umano ha qualcosa di peculiare e diverso da tutti gli altri (basta pensare al riconoscimento precoce volti, ma ci sono molte altre prove). Ai fini della comprensione dell’esperienza soggettiva, ora come ora, non penso che il paragone oggetto animato/inanimato faccia la differenza (magari sarà una delle cose che vanno considerate... insieme a mille altre, però!). Ciò su cui voglio attirare la tua attenzione è che IL problema, come ti dirò fra poco, è un altro.

    Penso che questi indicatori ci diano una valutazione dell'attività globale del sistema nervoso dal momento che l'esperienza soggettiva o la coscienza se preferisci sembra essere un collage o un'interazione complessa delle diverse funzioni mentali modulari o isolate. Credo che sia l'equivalente psicologico dell'EEG, se mi permetti la metafora.
    Ammettiamolo. E’ quello che molti ricercatori stanno cercando di fare. In ogni caso, sarebbe solo una correlazione (solo? Se si trovasse avremmo veramente fatto un passo avanti incredibile!), ma il problema di fondo rimane: com’è possibile che l’attività coordinata di un gruppo di neuroni generi un’esperienza soggettiva? Anche se si capisse che è quel circuito e non un altro a farlo, com’è possibile che generi un’esperienza cosciente (intesa proprio come contenuto fenomenico, non come sapere di sapere, altro grosso problema) ?
    Ultima modifica di korianor : 23-12-2005 alle ore 17.19.53
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

  9. #39
    Daidaidaidai
    Ospite non registrato
    Ciao korianor,
    ti risponderò al pm appena possibile , quanto a lunghezza nemmeno tu scherzi eh?

    Ho ascoltato con molto interesse la tua obiezione alla mia distinzione animato/inanimato; il problema è che noi clinici psicodinamici (se mi permetti di gonfiarmi il petto e farmi più grosso di quello che sono) osserviamo la vita psichica ed emozionale dell'individuo nel suo fluire costante (leggi nella sua continua autoregolazione in situazioni non di allarme) e traiamo delle conclusioni che evidentemente non si applicano e non valgono per una serie di osservazioni che si rifanno, chi più chi meno al paradigma dello startle. Secondo questo modo di intendere l'emozione, l'emozione sarebbe un fatto discreto che inizia a seguito di un elemento x, si manifesta attraverso parametri oggettivabili (ad es. misure comportamentali ma soprattutto paradigmi psicofisiologici che si avvalgono sia di indici centrali che periferici). Si tratta naturalmente di un modello di comportamento emotivo di gran lunga preferito dagli sperimentali perchè questo fenomeno risponde a tutti i requisiti di oggettività e riproducibilità e avvicina la psicologia alla fisica rispetto alla biologia dal momento che la relazione tra l'elemento x e la reazione emotiva (startle) è - se non andiamo troppo sul sottile - di tipo causale o se preferisci automatico.
    Cercherò adesso di mostrarti in che modo la neurologia può darci un contributo nello studio di questi fenomeni. Poniamoci una serie di domande: la prima è quali strutture cerebrali sono coinvolte nella reazione di spavento e attacco/fuga verso un pericolo animato (ottimo l'esempio del serpente) e inanimato (ad esempio un fulmine ma mi viene in mente anche lo stridio dei copertoni in frenata prima di un urto)? La seconda domanda è: che cosa succede a queste strutture durante lo startle? Sino a qui il nostro paradigma sperimentale è in grado di risolvere gli interrogativi che ci siamo posti. Andiamo all'ultima domanda: che cosa fanno queste strutture quando non sono preposte alla funzione di startle (di ovvio vantaggio evolutivo)?
    Il fatto stesso che le diverse strutture del sistema limbico coinvolte in risposte semi-automatiche verso gli stimoli abbiano un'attività complessa anche durante gli startle (che in contesti ecologici possono essere distanti anche settimane o mesi) e che quindi siano preposti anche ad altre funzioni mi fa pensare che il paradigma dello startle studi solo una parte delle emozioni: le emozioni entrano cioè a far parte della nostra vita in modo molto più complesso e sottile, a cominciare dal fatto che sia nell'uomo che nei primati superiori è stata osservata un'intensa comunicazione emotiva che si avvale delle mimiche facciali (su cui si era addirittura già espresso Darwin più di 120 anni fa) e delle posture (che sostituiscono ad esempio la comunicazione ormonale -ferormoni e allormoni- o gli stimoli luminosi presenti abbondantemente nei vertebrati inferiori). Da questo punto di vista credo che si possa ritenere la situazione sperimentale come una situazione meno frequente oggi giorno (devi ammettere che non ti capita certo tutti i giorni di essere attaccato da un serpente o di essere investito o sfiorato da un fulmine...) mentre nella vita quotidiana sono molto più frequenti le occasioni di osservare le regolazioni sottili del sistema emotivo in relazione ad esempio ai legami con altri individui sia quanto si presentano in forma discreta (ad es., ti puoi ricordare una sensazione di eccitazione o di piacere quando il tuo sguardo ha incontrato quello di una ragazza o lei ti ha fissato in modo provocante) ma anche quando non è affatto possibile capirne l'origine (ad es., torni a casa e non sai perchè che cosa una certa persona abbia detto o fatto però ora non hai più tanta voglia di vederla: forse si potrebbe rinviare la cena di venerdì ecc...). Il concetto fondamentale è che i più completi e recenti studi sull'emozione come quello di Scherer et al. sono di tipo multicomponenziale (ad es. Scherer ipotizza l'esistenza di 5 CVS, controlli valutativi dello stimolo) che includono modalità di risposta emotiva da un tipo molto rozzo (ma evolutivamente fondamentale, come il riconoscimento della novità di uno stimolo o la valutazione della piacevolezza spiacevolezza intrinseca dello stimolo) ad uno estremamente complesso e raffinato (del tipo in grado di farci comprendere il pensiero figurato, le espressioni metaforiche e la struggente bellezza di una toccata e fuga di Bach o di una poesia di Rimbaud, sempre di emozioni si tratta).
    Quello che cerco di dirti è che il problema delle emozioni meriterebbe un'attenzione a parte e non può essere considerato, a mio parere, un sottoproblema della comprensione dell'esperienza soggettiva. Se è vero che si studiano molto le emozioni in clinica in relazione alla loro modalità di distorcere l'esperienza soggettiva (agendo su parametri neurofisiologici questo mi sembra ovvio; è questo fenomeno che ha portato alla creazione di molti test proiettivi come il Rorschach che sono stati prima intesi in senso fenomenologico e poi convertiti in linguaggio psicodinamico) è anche vero che la comprensione di queste distorsioni merita un'attenzione più rivolta a come il SNC organizza il comportamento goal-oriented che al problema della coscienza in sè che come ti spiegherò lascia aperti degli spiragli di tipo filosofico. La mia idea è che l'emozione guidi il comportamento almeno al 50% (è questo il senso della frase freudiana 'L'Io non è padrone in casa sua). Questa idea dell'uomo guidato dalle emozioni e non dalla ragione e l'idea che una parte considerevole della nostra vita sia spesa a cercare di gestire questi contenuti emotivi in modo appropriato è il succo fondamentale dell'approccio psicodinamico: a mio parere questa ipotesi è filogenticamente forte, etologicamente stimolante e molto più realistica rispetto all'idea che i processi decisionali siano presi facendo pressochè esclusivo riferimento ai modelli di logica formale o a complicate equazioni economiche (ad es. nei comportamenti di spesa). Naturalmente l'approccio clinico esaspera questo tipo di distacco tra emozione e ragione ma riflette una modalità di gestione del comportamento (quella paleo-mammifera) che è sempre presente nella vita quotidiana e semmai viene occultata dal progressivo maturarsi sociale dell'individuo che in termini biologici potrebbe essere spiegato come lo sviluppo di forme di controllo cosciente del proprio comportamento, spesso in modo molto dettagliato: non è un caso se tutte le culture spendano una considerevole mole di tempo ad insegnare ai propri bambini 'come ci si comporta' e noi siamo in grado di apprendere comportamenti complessi di regolazione della vita sociale (pensa ad esempio alle cerimonie del tè, al suonare uno strumento musicale ecc...).
    L'idea è cioè che il comportamento sia il risultato dell'organizzazione vigente tra un nucleo biologico, filogeneticamente antico (o cervello paleomammifero di MacLean e che io identifico con l'inconscio psicoanalitico ovvero l'Es freudiano) e il controllo razionale volontario dell'individuo (che deriva dalla proprietà della corteccia di controllare i centri subcorticali come sto facendo ora per digitare queste parole sulla tastiera) ovvero l'Io psicoanalitico, la seconda delle tre istanze psichiche (se hai bisogno di qualche chiarimento dimmi pure, immagino che siate un po' a digiuno di metapsicologia analitica). Il primo usa modalità di organizzazione dell'esperienza di tipo non verbale e logico (ma di tipo sensoriale-percettivo; x freud l'inconscio è ad esempio incapace di un rapporto con la realtà socio-culturale; incapace di considerare lo scorrimento del tempo = risponde ad uno stimolo doloroso ricordato o rivisto come se stesse realmente accadendo; eventuali funzioni di controllo di ciò avvengono a livello dell'Io, cioè corticale) mentre il secondo è in grado di produrre il linguaggio e di organizzare le esperienze in riferimento alla realtà socio-culturale.
    Questo è in brevis il tipo di fenomeni che interessa la clinica psicodinamica e che riflette una modalità di interazione del sistema limbico con la corteccia (o se preferite dell'Es con l'Io che riflette una delle due anime della psicoanalisi, anche se di gran lunga la più famosa ovvero il modello della patologia come conflitto).

    Riguardo al problema della coscienza che, come già spiegato, io metterei su un piano separato rispetto all'emozione, un approccio neurobiologico alla coscienza (nel senso di percezione cosciente organizzata e non di riflessione o attenzione introspettiva, che chiamerò autocoscienza) cerca di spiegare come le strutture più forti sul piano neurale facciano un pop up nella coscienza tale che la struttura più attivata rispetto alle altre è quella predominante. Le cose sono molto più complesse e io non sono la persona adatta per parlarne ma mi sembra che tu non riesca a venire a capo (come Fechner del resto) di come una trasmissione di informazioni tra neuroni possa diventare un'esperienza soggettiva: ho l'impressione che ci vedi come un salto qualitativo che sia in qualche modo inspiegabile. Personalmente ho sviluppato una tale apertura verso le molteplici modalità di sperimentarsi a livello soggettivo nelle situazioni più diverse e complesse che non esito a definire i processi soggettivi come epifenomeni della struttura cerebrale. IL problema semmai più che approfondire questo aspetto su cui io ho una certa sicurezza direi che è quello di spiegare quello che descriverei elegantemente come l'illusione dell'anima. Questa illusione consiste nel fatto che per quanto io mi sforzi ho l'impressione duratura di essere una persona separata dal corpo che prova delle emozioni, che il mio corpo abbia un dentro e che è lì la parte del corpo dove sento di abitare davvero e ho la sensazione di osservare il mondo da un qualche punto dietro o dentro la mia testa. Questa idea, espressa implicitamente dal modello di cartesio che riconduceva l'esperienza soggettiva ad un altra categoria ontologica (la res cogitans in opposizione alla res extensa) è un grande luogo comune della nostra cultura; continuo a pensare che il modo con cui noi esperiamo il nostro sè e viviamo l'esperienza soggettiva è in gran parte un epifenomeno culturale (se consideriamo i contributi dell'ambiente) e neurologico (per quanto riguarda l'organizzazione interna dell'organismo capace di produrre queste esperienze). La molteplicità degli stati che esperiamo nella nostra vita dipende dalla combinazione di stimoli costantemente diversi in diverse combinazioni con l'organizzazione del SNC in quel preciso istante: come dire infinite diversità in infinite combinazioni, per citare Star Trek. Il SNC però rende conto anche delle caratteristiche di personalità e delle stabilità culturali nella percezione della realtà (e non intendo in senso metaforico: mi riferisco ad esempio agli studi inter-culturali sui processi cognitivi di base e in particolare sulla percezione; vedi anche l'ipotesi di Gray sull'illusione di muller-lyer in occidente) e in quest'ottica io penso che lo studio della coscienza sia poco interessante di per sè perchè i come dell'esperienza soggettiva saranno ovvi non appena avremmo compreso come funziona il sistema nervoso: appare però evidente che bisognerà mettersi giù di impegno (come mi piacerebbe fare) a lavorare sulle reti neurali per capire come il cervello reale processa le informazioni che gli arrivano dall'ambiente. Sino ad oggi i risultati sono stati incoraggianti, per il futuro chissà, ma io CREDO nelle reti neurali, soprattutto nel migliorare il modo in cui i nostri neuroni artificiali mimano il comportamento di popolazioni reali di neuroni).

    Infine non bisogna sottovalutare la portata assolutamente straordinaria, direi filosofica, della comprensione che la coscienza possa funzionare come un meccanismo (e allargando la metafora; che possa rompersi), sia cioè il risultato di un insieme di delicati meccanismi biologici che in modo complesso regolano il nostro esistere con successo da miliardi di anni. Sarebbe la fine dell'idea di anima e anche questo baluardo della fede e dell'umanesimo sarebbe definitivamente abbattuto completando quel lento processo di naturalizzazione dell'uomo iniziato clandestinamente nei laboratori dove dissezionavano cadaveri e che troverebbe ora il suo completamento: una svolta EPOCALE che completa anche il processo di naturalizzazione della natura (vi ricordate quando era Zeus che scagliava i fulmini da sopra le nuvole??). La portata anche religiosa di questa scoperta squasserebbe interi sistemi di conoscenza e intere culture. D'altra parte è per questa potenzialità intrinsecamente eversiva della VERITA' scientifica che scienza e potere hanno avuto grandi amori e grandi odi. Secondo me la cosa straordinaria e che questo non dovrebbe impedire di continuare a credere in Dio nè tantomeno di provare quell'intenso caleidoscopio di emozioni e vissuti che in fondo rendono bella e piacevole la nostra vita .
    Direi... W le NEUROSCIENZE...

    Spero di averti illustrato il mio pensiero su due concetti cardine della psicologia dinamica: l'emozione e la coscienza (che noi chiamiamo l'esperienza del Sè). come sempre è un piacere scrivere su questo 3d... aspetto i commenti anche di Itsuki o di Ikaro!
    Grazie per questa bellissima conversazione,

    Fabrizio

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