Originalmente inviato da
Dadedidò
In effetti il mio è un caso un pò particolare. Ma come è nato tutto, penso sia anche la migliore dimostrazione di quanto oggi, secondo me, sia vissuta in maniera distorta la scelta fondamentale di una specializzazione in psicoterapia. Nel senso che troppo spesso, date le inevitabili pressioni economiche, di tempo, ecc..si finisce per scegliere una scuola piuttosto che un'altra sulla base dei costi, della distanza da casa, della disponibilità di tempo,ecc. Una sera, su vertici.com mi capita di leggere una mail di domande ad un famoso prof. e clinico di Parma da parte di un giovane neolaureato. Il tipo domandava "quale scuola dava più lavoro, al termine del percorso". La risposta mi piacque moltissimo. Gli veniva risposto che la scelta doveva avere ben altre basi; basi di auto-osservazione, di passione, di interesse. E lì è iniziato un mio vero e proprio "percorso", fatto di mail di richiesta di informazioni, colloqui di selezione (ne ho fatti 2), mail di chiarimenti, letture. Ho capito cosa NON E' la specializzazione. Non è una cosa che si compra, sulla base di quanto si lavorerà un domani. E' piuttosto un paio di occhiali teorici attraverso cui guardare i pazienti, per capire meglio dove cercare di portarli e in che modo. Ma soprattutto, è una visione del mondo da scegliere e maturare personalmente e attraverso il PROPRIO STILE. Ho iniziato a vedere i primi pazienti (non che oggi abbia questa grandissima esperienza); oggi ho avuto più pazienti io di colleghi che poi si sono specializzati e sono ancora lì ad aspettare con i bigliettini da visita in mano. Con questo non voglio mancare di rispetto a loro; voglio dire che è l'ora di finirla di ritenerci l'unica professioanalità in Italia che non è degna di iniziare a lavorare senza correre in preda al panico al "pezzo di carta ministeriale". La mia storia è particolare perché quel famoso prof. che rispondeva a quella mail era anche, da anni, uno dei miei "idoli", professionalmente parlando. Durante l'università mi ero appassionato ad alcuni suoi dibattitti teorici, conoscevo tutti i suoi lavori, e avevo già letto un suo libro. Sapevo che insegnava in mezza Italia, che lavorava e insegnava anche in Emilia Romagna. Era il periodo in cui l'idea di iniziare a vedere i primi pazienti in consulenza e in un'ottica psicodinamica (quella che ho sempre sentito "mia", nel mio modo di ragionare sui casi, di fare ipotesi) mi iniziava a frullare nella testa. Improvvisamente, l'idea folle. E se tentassi? In fondo, conosco tutto di lui, lo adoro. E, se non può, può certamente rifiutare. Insomma, prendo il coraggio e la tastiera a 2 mani e gli scrivo una mail, da cui penso trasparisse sia tutta la mia passione per il suo lavoro sia la mia voglia incontenibile di conoscerlo ed il sogno di averlo come supervisore ai miei primi casi. Ha detto sì. Non dimenticherò mai il mattino freddo in cui me lo sono trovato di fronte, al primo appuntamento datomi per la supervisione. Supervisione significa chiedere sedute che in genere sono un pò più lunghe di un'ora (1h e 30, ma anche oltre) in cui si và con appunti (se li si usa) o idee appuntate in seguito sui casi in carico a noi. E' un'esperienza fantastica che consente, in un'unica seduta, di: 1) ragionare ed imparare direttamente sui casi SENZA IL PERICOLO DI FARE DANNI 2) imparare il proprio modo di relazionarsi e di lavorare sui casi ed il proprio modo di ragionare 3) iniziare a CONFRONTARSI con chi ne sa molto più di noi...insomma, io ancora mi domando perché NESSUNO spiega a chi si laurea oggi che prima della famigerata legge Ossicini gli PSICOLOGI (perché il nostro ordine non aveva ancora fatto una bandiera del fatto di essere semmai riconosciuti TERAPEUTI da un certificato ministeriale) LAVORAVANO ESATTAMENTE COSI'!!
...TERAPIA PERSONALE, STUDIO E LETTURE E SUPERVISIONE.....
Ecco quello di cui vorrei sentir parlare; di passione ed interessi culturali per certi autori e certe teorie e non altre. Quegli autori e quelle teorie che sentiamo più "nostre" perché ci rendiamo conto che fanno quasi da proseguimento,da "ponte" tra il nostro naturale stile di ragionamento clinico ed il paziente. Le lenti attraverso cui guardiamo i pazienti e il mondo. In quest'ottica poco dovrebbe importare dei certificati ministeriali e delle faccende burocratiche. Bisognerebbe ritornare ad attribuire importanza alla nostra autentica cultura di psicologi, alle nostre capacità umane da cui far nascere quelle tecniche, per poi costruire il nostro personale stile; quello che ci renderà unici, creativi ed originali.