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  1. #31
    Partecipante Affezionato L'avatar di ockham74
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    Scusate, rileggendo ho trovato questo punto che mi è interessante:

    [QUOTE]Originariamente postato da korianor

    2) non ho una posizione solipsistica…in linea di principio potrebbe anche essere, ma la mia esperienza mi dice tutto il contrario (nel senso che in linea di principio il giappone potrebbe non esistere, non ci sono mai stato, ma è piuttosto improbabile che tutto il mondo -famiglia, amici, mass media..insomma una cosa tipo Truman Show- si sia messo d’accordo per farmi credere che esista quando non c’è);



    Questo gioco mi sembra un po' sottovalutato.
    Tutto il mondo, di fatto, si è "messo d'accordo" per essere come è ai nostri occhi. Lentamente, alcune di queste organizzazioni vengono riconosciute dalla scienza.
    Specificare che sia un inganno, piuttosto che realtà mi pare abbia valore in relazione al famoso esperimento di vita artificiale: la coscienza è l'insieme dei flussi di "materia" ed "energia" (o informazioni) che abbiamo identificato nei differenti sistemi all'interno del "corpo umano"? La stessa cosa che ci si domandava sul cervello affogato, ma collegato.
    Per farsi questa domanda bisognerebbe fare un'ipotesi di "non plus ultra". Cioè, conosceremmo tutti questi flussi (ovviamente ammesso che si possano conoscere senza distruggerli).

    Mi pare che la domanda realtà-finzione (solipsismo) imploda al decadere del binomio cartesiano. In tal caso, la realtà esisterebbe solo nella manifestazione dell'interazione.
    Sull'onda di questa affermazione, e in sintonia con il poco che interpreto Varela, ritorno alle strutture auto-organizzantesi e mi domando se chi le osserva influenzi il fenomeno, se e in che misura ne faccia parte.
    Ovvero se non stiamo di nuovo ipotizzando l'esistenza indipendente dall'osservazione, revisione moderna di res cogitans res extensa.
    Marco
    Ultima modifica di ockham74 : 04-07-2007 alle ore 10.18.47

  2. #32
    Partecipante Leggendario L'avatar di gieko
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    Purtroppo riesco a trovare un po' di tempo solo ora per rispondere...

    Originariamente postato da willy61
    Ma ci potrebbe anche essere un altro punto di vista. Un soggetto originariamente scisso che si accorge di essere tale e trova una sua unità "virtuale" proprio nel rendersi conto di come stanno le cose.
    Certo, credo che sia l'unica altra alternativa -peraltro storicamente presente in psicoanalisi-, quella sostenuto ad esempio da ikaro o Santiago, se non erro. Dal mio punto di vista però i dati provenienti dall'infant research, dalla teoria dei sistemi dinamici non lineari, dalle neuroscienze (o almeno da alcuni autori...) e da alcuni autori psicoanalitici (vd Lichtenberg...) non sembrano sostenere questa posizione. Viene ad es mostrato molto bene da Stern come il bambino sia originariamente attivo e, fino ai 18 mesi, non in grado di un'attività riflessiva tale da poter generare "scissione" delle rappresentazioni di Sè, cosa possibile solo a posteriori.
    Sono del parere che il concetto di scissione rimandi a due posizioni fondamentali in psicoanalisi: la teoria pulsionale e la teoria delle relazioni d'oggetto. Ci sono valenze diverse. Nella prima la "scissione" originaria tra conscio ed inconscio è costituzionale, ma è basata sui presupposti della libido e/o della mortido e rimanda ad un concetto di inconscio di un certo tipo. Nella seconda mi pare più legato ad una conseguenza di deficit ambientale, tale da portare il bambino a creare rappresentazioni adattive (vd Falso Sè winnicottiano). Entrambe le posizioni sono più che coerenti con la teoria di fondo, ma a mio parere ormai sempre meno sostenibili. Qui mi fermo per non andare ulteriormente off topic, come si diceva, ne possiamo discutere in un thread ad hoc.

    Originariamente postato da willy61
    Mi piacerebbe capire nel lavoro concreto della psicoterapia, che differenze comporta pensare in termini di soggetto scisso o di soggetto unitario.
    Questo è veramente un tema di ampie dimensioni. Per prima cosa mi verrebbe da pensare che è la teoria di fondo ad aver portato dei cambiamenti concettuali (che includono anche l'idea di un soggetto unitario) e clinici, ma che è anche una clinica differente che ha contribuito ai cambiamenti teorici. Credo che ciò che cambi, comunque, sia l'atteggiamento di fondo dell'analista, non più a "contatto" con un Io che non è padrone in casa propria, nè con l'idea di riparazione del deficit, ma piuttosto con il funzionamento del paziente nei suoi diversi livelli di organizzazione per come è nel qui ed ora (funzionamento che, intendiamoci, non va più bene, che può essere scisso o tutto quello che si vuole...), relativizzando quindi l'importanza di libido o traumi.

    Spero di aver risposto almeno in parte...

    Un saluto
    gieko

  3. #33
    Postatore OGM L'avatar di willy61
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    Cervelli, vasche e coscienze

    Giusto per continuare il discorso con Giorgio, posto quest'articolo di Diego Cosmelli and Evan Thompson:

    Embodiment or Envatment?
    Reflections on the Bodily Basis of Consciousness

    To appear in John Stewart, Olivier Gapenne, and Ezequiel di Paolo, eds.,
    Enaction: Towards a New Paradigm for Cognitive Science, MIT Press.

    http://liris.cnrs.fr/enaction/docume...ionChapter.pdf
    Ultima modifica di willy61 : 05-11-2007 alle ore 17.23.31
    Dott. Guglielmo Rottigni
    Ordine Psicologi Lombardia n° 10126

  4. #34
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
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    Ciao Marco,

    veniamo a noi


    In effetti a me verrebbe in mente di mettere in una vasca da bagno una mano. Se riuscissi a fornirle i segnali, i fluidi, etc, di cui necessita per sentirsi parte di un corpo sarebbe una mano di un corpo umano?
    A mio parere la risposta è si, supponendo almeno queste tre grosse assunzioni:
    1) mantenerla in vita
    2) fornirla di tutto ciò che ha bisogno per funzionare in modo normale (flusso di sangue alla giusta pressione e svariate altre cose)
    3) decifrare il complesso pattern di input nervosi (sia quelli che arrivano dal cervello, sia quelli che la mano invia al cervello in relazione alla sua posizione nello spazio, ciò che tocca, etc) che la fanno muovere.

    Mettere il cervello in acqua per provare a pensarlo senza il corpo presuppone già l'idea che il cervello non sia parte del corpo.
    Più in basso preciso quello che dice Putnam a riguardo; invece, per quel riguarda ciò che penso io di questo esperimento mentale, non è assolutamente così. Il cervello è parte del corpo a tutti gli effetti: si distingue dal resto degli altri organi per la sua funzione unica di rendere l’individuo cosciente, dotarlo di pensiero, renderlo in grado di percepire.

    E presuppone l'idea che la coscienza abbia un luogo fisico di appartenenza.
    Questo si. Qualcuno più fresco di me su argomenti di neuroscienze mi corregga se sbaglio, ma dai lavori di Damasio si evince in sintesi che condizione necessaria, ma non sufficiente, per avere una ‘coscienza’ (termine inflazionato, ma concedetemelo) è avere certe parti del cervello integre e funzionanti; la condizione sufficiente è avere un corpo però ( ).

    qual è la domanda che ci stiamo ponendo in questo esperimento? Quali sono i presupposti alla sua base? Sono presupposti che hanno un fondamento?
    In questi giorni ho fatto una piccola ricerca su Putnam e su questo suo famosissimo esperimento mentale (di cui io, colpevolmente, avevo sempre letto degli estratti e mai l’argomentazione per intero). In realtà lui usa questo esempio per argomentare contro lo scetticismo (quindi c'entra poco con il discorso che stiamo facendo). Tra le molte risorse cui si può far riferimento:
    http://www.filosofico.net/putnam.htm#n6

    Passando alla mia opinione, vorrei chiarire una cosa: prima ho scritto che la condizione sufficiente è avere un corpo, eppure poi parlo di cervelli in una vasca. Il fatto è che, secondo me, questo esperimento mentale rende ragionevole un certo modo di studiare le funzioni mentali. Da un lato il cervello ha bisogno del corpo e dell’ambiente esterno per ‘funzionare’ a dovere. Ma in che senso ha ‘bisogno’ di questi due elementi? Come interagiscono corpo e ambiente col cervello? La risposta (banale) è attraverso gli input che corpo e ambiente mandano al sistema nervoso. Tanto per chiarire meglio: supponiamo che ci telefoni una persona che conosciamo bene ma che sia possibile, tramite un sintetizzatore vocale, riprodurre perfettamente la sua voce e che questa persona ci dica delle cose verosimili (in relazione alla nostra reciproca conoscenza, alla sua personalità, etc). A questo punto non importa che dall’altra parte del telefono la persona ci sia veramente oppure no.
    Detto questo, assumendo un’ottica di ricerca, se il mio problema è studiare come funziona il cervello e come ‘produca una mente’; a questo punto è ragionevole studiare come il sistema nervoso elabori gli input che corpo e ambiente gli inviano.

    Questo gioco mi sembra un po' sottovalutato.
    Tutto il mondo, di fatto, si è "messo d'accordo" per essere come è ai nostri occhi. Lentamente, alcune di queste organizzazioni vengono riconosciute dalla scienza.
    Specificare che sia un inganno, piuttosto che realtà mi pare abbia valore in relazione al famoso esperimento di vita artificiale: la coscienza è l'insieme dei flussi di "materia" ed "energia" (o informazioni) che abbiamo identificato nei differenti sistemi all'interno del "corpo umano"? La stessa cosa che ci si domandava sul cervello affogato, ma collegato.
    Per farsi questa domanda bisognerebbe fare un'ipotesi di "non plus ultra". Cioè, conosceremmo tutti questi flussi (ovviamente ammesso che si possano conoscere senza distruggerli).


    Non sono sicuro di aver capito con precisione la questione che poni: appena ho un attimo di tempo (adesso non posso) preciso meglio la mia posizione così ne discutiamo!

    Per Willy, articolo molto interessante, grazie davvero! Appena riesco a leggerlo (per ora l’ho solo scorso) ne discutiamo!
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

  5. #35
    Partecipante Affezionato L'avatar di ockham74
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    Re: Cervelli, vasche e coscienze

    Ho letto l'articolo postato da Guglielmo, che ringrazio per i riferimenti sempre interessantissimi, utili a vincere la pigrizia viscerale del sottoscritto, oltre alla sua plateale ignoranza.
    L'ipotesi nulla a riguardo del cervello nella vasca mi pare veramente brillante.
    Mi verrebbe da spingermi oltre. In effetti, come definire qualcosa che sostituisca pienamente un corpo se non con la descrizione completa della complessità del corpo? E che cos'è un oggetto complesso come un corpo, in grado di svolgere le funzioni di un corpo, se non un corpo? Che definizione migliore se ne potrebbe dare? Sembrerebbe proprio, quello di Putman, un esperimento vuoto.

    Riguardo invece l'inganno della telefonata che illustra Korianor sento la necessità di fare un passo indietro. L'esperimento mentale (ma questa volta pare più semplice da realizzare) si basa sul riconoscimento di una entità indipendente che chiamiamo persona. Prima di interrogarsi sul fatto che l'interazione che sperimentiamo ci manifesti una persona o meno bisogna formarsi la categoria di "persona", associandovi alcune caratteristiche.
    Ora è abbastanza comune accettare l'esistenza di qualcosa che si chiama essere umano, ma ragionando in termini stretti non sappiamo veramente di cosa stiamo parlando. Ossia l'insieme delle relazioni osservate, su tutte le scale (per esempio quelle che conosciamo come cellule, atomi, nuclei, quark, e quant'altro di non ancora "battezzato") mi pare di complessità insormontabile per una cognizione cosciente.
    Il nostro concetto di persona mi pare una scatola vuota con il nome sopra, a cui, all'occorrenza, facciamo corrispondere un certo fascio di percezioni.
    Quindi l'esperimento è per me privo di significato.
    Purtroppo non mi "pompa" neanche intuizioni, nel senso veramente simpatico di Dennet citato da Cosmelli e Thompson.
    La deduzione che l'interazione vocale, di cui siamo testimoni mentre siamo al telefono, rappresenti una persona è un puro meccanismo di comodo, in ogni caso falso, sia nel caso in cui interloquiamo telefonicamente con quello che siamo usi definire "una persona reale", sia nel caso riprodotto con sintetizzatore vocale. E' falso nel senso che non possiamo verificare infallibilmente ciò con cui interagiamo. L'idea di persona nasce a posteriori di esperienze come semplificazione del reale, non va confusa con il reale. Non è possibile fabbricare una sola persona con le informazioni sul concetto di persona o essere umano contenute nella mia zucca. Quel concetto non corrisponde a nulla di vero, in questo senso.
    Ho l'impressione che questi discorsi non riescano a spezzare i meccanismi cognitivi e le categorie di uso comune, che in alcuni casi, come per me nel caso del risconoscimento di una persona, sono tutt'altro che da considerarsi fuori discussione.

    Marco
    Ultima modifica di ockham74 : 06-07-2007 alle ore 17.59.33

  6. #36
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
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    Per prima cosa chiedo scusa per la mia prolungata assenza, ma sono all’estero e non sempre ho la possibilità di collegarmi.
    Venendo alla questione, ho l’impressione che non ci stiamo capendo (probabilmente per la fretta non sono stato sempre chiaro nei miei ultimi interventi). Abbiamo iniziato a parlare del ‘cervello in una vasca’ perché era citato in questo passaggio dell’articolo di Varela:

    Se lo si considera dal punto di vista della tradizione della filosofia della mente, secondo la quale la mente è qualcosa che ha luogo nel cervello, questo appare alquanto sorprendente. Ad esempio, filosofi del passato si sono dilettati di parlare di "cervelli in immersione", di un cervello in una provetta con piccoli fili metallici che ne fuoriuscivano. È singolare che la comunità filosofica angloameri¬cana abbia speso ore di conferenze per discutere questo genere di cose, ma se guardiamo alla situazione della ricerca oggi l'intera argomentazione appare bizzarra, perché con un cervello in immersione non possono esserci cose come la mente. Sarebbe attività neurale comple¬tamente incoerente, in quanto non potrebbe avere la funzionalità di quello che effettivamente fa, il costante rapporto con il corpo e con l'ambiente che ne costituisce il senso.

    Varela non precisa a quale delle molte argomentazioni filosofiche dei cervelli in immersione si riferisce (voglio sottolineare come queste siano tutte abbastanza diverse tra loro per scopo e forma); per ora distinguiamone almeno due:
    1) Quella di Putnam: riguarda pochissimo il nostro problema, visto che usa l’esempio del cervello in una vasca per argomentare contro il solipsismo e lo scetticismo. Per essere ancora più precisi, questa posizione non c’entra nulla con la possibilità concreta di fare una cosa del genere.
    2) Il caso del cervello in una vasca come riformulazione moderna del dualismo cartesiano. Questo di sicuro è attinente al nostro caso e su questo punto credo che siamo d’accordo tutti nel rifiutare nettamente una posizione del genere in quanto, come dice Varela “Sarebbe attività neurale comple¬tamente incoerente, in quanto non potrebbe avere la funzionalità di quello che effettivamente fa, il costante rapporto con il corpo e con l'ambiente che ne costituisce il senso”

    Detto questo, veniamo a quello che vi propongo io. Fermo restando il rifiuto di un computazionalismo inteso come l’ennesima riproposizione del dualismo Cartesiano, trovo invece coerente con ciò che sappiamo del cervello e delle funzioni cognitive pensare ad un computazionalismo che trova il senso delle sue computazioni nel rapporto col corpo e con l’ambiente. Quest’ultima cosa è quello che ho cercato di dire nei miei interventi in questo thread: per chiarire la mia opinione non vorrei parlare di nuovo di cervelli in una vasca (esempio che a questo punto trovo fuorviante e inflazionato, nonché potenzialmente equivocabile) ma ricorrere ad altri esempi. Prendiamo la digestione: conoscendo gli input che riceve e gli output che emette è possibile studiare il sistema digerente di per sé, indipendentemente dagli altri sistemi. Poi è ovvio che esiste un’interazione fondamentale tra questo sistema e gli altri (come tra cervello vs corpo e cervello vs ambiente) che fa acquisire un senso a ciò che fa il sistema digerente. Ora, fermo restando che per il sistema nervoso la cosa è enormemente più complessa (soprattutto credo che sia improponibile l’analogia tra trovare un senso della funzione digerente sulla base dell’interazione con gli altri sistemi e il costante rapporto con il corpo e con l'ambiente che ne costituisce il senso di cui parlava Varela; in ogni caso ciò non cambia la mia argomentazione), quello che vorrei ribadire è che l’interazione tra il sistema nervoso vs l’ambiente/il corpo si realizza unicamente attraverso dei processi chimico-fisici che costituiscono gli input e gli output del sistema nervoso (a tutti i livelli ovviamente, dagli organi di senso alla pressione sanguigna passando dagli ormoni). Sulla base di ciò ha un senso studiare in che modo il cervello computa questi input per emettere i suoi output. La questione del realizzare concretamente una mente riproducendo i pattern degli input con questo sistema (per tornare al cervello nella vasca) è una cosa poco interessante proprio perché, come dice Marco, come definire qualcosa che sostituisca pienamente un corpo se non con la descrizione completa della complessità del corpo? E che cos'è un oggetto complesso come un corpo, in grado di svolgere le funzioni di un corpo, se non un corpo?.

    Pasando all’articolo di Cosmelli e Thompson, devo dire che condivido gran parte delle loro posizioni teoriche, in particolare quando scrivono:

    the brain needs to be seen as a complex and self-organizing dynamical system that is tightly coupled to the body at multiple levels

    [/B]the biological requirements for subjective experience are not particular brain regions or areas as such, but rather some crucial set of integrated neural-somatic systems capable of autonomous functioning.[/B]

    I due autori procedono ipotizzando, concretamente, di fare questo esperimento. Premesso che, condividendo buona parte delle argomentazioni di Cosmelli e Thompson, ha davvero poco senso pensare ad una realizzazione concreta di questo esperimento (ma immagino che anche i filosofi che hanno prodotto queste argomentazioni la pensino così!), affermazioni come:

    Brain activity is largely generated endogenously and spontaneously.
    Brain activity requires massive resources and regulatory processes from
    the rest of the body. Brain activity plays crucial roles in life-regulation processes of the entire organism and these processes necessitate the maintenance of viable
    sensorimotor coupling with the world.


    What the brain requires at any given instant depends on its own ongoing, moment-tomoment activity. Therefore, the life-sustaining system must not only be supportive of this activity, but also locally and systemically receptive and responsive to it at any given instant, independent of any external evaluation of the brain’s needs. Consequently, to keep the brain alive and functioning, this responsive system will most likely need to be energetically open, and selfmaintaining in a highly selective manner. In other words, it will need to have some kind of autonomy.

    non vedo come possano costituire un problema rispetto al tipo di posizione che ho espresso prima. Forse il passaggio più problematico è questo:

    To use dynamical systems language, neuronal and extraneuronal state variables are so densely coupled as to be nonseparable. From this perspective, the core realizer for subjectivity looks to be nothing less than some crucial set of densely coupled neuronal and extraneuronal processes.
    Può essere che questa affermazione sia vera almeno in parte (ma devo prima approfondire alcuni elementi), nel senso che magari riguarda aspetti di alto livello come il linguaggio, il pensiero o la coscienza (ma non quelli di basso livello); in ogni caso, appena avrò approfondito, cercherò di tornare sull’argomento.

    Ci sarebbero molte altre cose da dire, ma per ora mi fermo.

    A presto,

    Giorgio
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

  7. #37
    Postatore OGM L'avatar di willy61
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    Ciao Giorgio

    Da come la vedo io, può essere che ci siano almeno due livelli di analisi e di discussione, e che - ogni tanto - sia io che altri tendiamo a confonderli.

    a) il livello "micro": cosa succede allo stimolo dopo che è stato percepito?

    b) il livello "macro": cosa succede nell'anello di retroazione stimolo-risposta.

    A naso direi che il livello al quale ti riferisci tu sembra essere il primo:
    "quello che vorrei ribadire è che l’interazione tra il sistema nervoso vs l’ambiente/il corpo si realizza unicamente attraverso dei processi chimico-fisici che costituiscono gli input e gli output del sistema nervoso (a tutti i livelli ovviamente, dagli organi di senso alla pressione sanguigna passando dagli ormoni). Sulla base di ciò ha un senso studiare in che modo il cervello computa questi input per emettere i suoi output."
    e su questo non c'è molto da dire, dal mio punto di vista. O, meglio, ci sarebbero infinite cose da dire, perché anche solo capire cosa succede a questo livello è tremendamente difficile, anche se mi sembra che sia i neuroscienziati, sia i fisiologi, sia gli informatici abbiano prodotto molti dati validi sui meccanismi di elaborazione delle informazioni in entrata.

    Tuttavia, nella discussione su cosa sia la mente, partire da una mente già formata mi sembra fuorviante. uno dei problemi seri dei cervelli in una vasca (ma anche delle teorie sul funzionamento cognitivo) è che non tengono conto del fatto che non nasciamo con una mente bell'e pronta.
    Insomma, una teoria della mente, che mi sembra utile per stabilire se sia possibile riprodurla con un sistema artificiale non deve solo rendere conto di come funziona una mente "già formata", ma deve anche riuscire a spiegare come si forma.
    E qui entrano in gioco tantissime cose. Il fatto che esistano anelli di retroazione tra sistema percettivo e sistema motorio, a tutti i livelli di organizzazione, sembra far sì che l'esperienza dello spazio e la sua concettualizzazione siano inseparabili dal movimento. E l'esperienza dello spazio e la sua rappresentazione mentale influiscono su molti processi cognitivi (vedi i compiti di rotazione mentale di Kosslyn, ad esempio).
    Inoltre, passare da un punto di vista "statico" (abbiamo una mente già pronta; come funziona?) a uno evolutivo (abbiamo un neonato; come si forma la sua mente?) potrebbe rappresentare un anello di giunzione tra i risultati della parte "hard" della psicologia (la psicologia generale e sperimentale della quale ti occupi tu) e la parte "soft" (la psicologia clinica e la psicoterapia della quale ci occupiamo io, Gieko, Ikaro, Santiago e tanti altri).

    Sono cose un po' buttate lì, di fretta. Scusami se non sono chiarissimo, ma sono un po' di fretta stamattina.

    Buona vita

    Guglielmo
    Dott. Guglielmo Rottigni
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  8. #38
    Partecipante Esperto L'avatar di korianor
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    Caro Guglia,
    scusa se rispondo solo ora, ma sono stato fuori casa per parecchi giorni…

    Da come la vedo io, può essere che ci siano almeno due livelli di analisi e di discussione, e che - ogni tanto - sia io che altri tendiamo a confonderli.

    a) il livello "micro": cosa succede allo stimolo dopo che è stato percepito?

    b) il livello "macro": cosa succede nell'anello di retroazione stimolo-risposta.

    A naso direi che il livello al quale ti riferisci tu sembra essere il primo


    Direi che sono sostanzialmente d’accordo. Probabilmente la distinzione andrebbe discussa e specificata con maggiore precisione, ma trovo che spieghi molte divergenze apparenti.

    Tuttavia, nella discussione su cosa sia la mente, partire da una mente già formata mi sembra fuorviante. uno dei problemi seri dei cervelli in una vasca (ma anche delle teorie sul funzionamento cognitivo) è che non tengono conto del fatto che non nasciamo con una mente bell'e pronta.
    Insomma, una teoria della mente, che mi sembra utile per stabilire se sia possibile riprodurla con un sistema artificiale non deve solo rendere conto di come funziona una mente "già formata", ma deve anche riuscire a spiegare come si forma.


    Sicuro. Partecipando alla discussione, l’ho pensato anch’io diverse volte (anche se non l’ho mai scritto in maniera chiara) e credo sia un fattore cruciale. D’altra parte lo scambio di input/output tra sistema nervoso, corpo e ambiente avviene nel tempo, e sicuramente uno dei momenti più interessanti per capire il suo funzionamento è studiare il suo sviluppo dall’inizio fino al regime ‘adulto’. Tra l’altro ci sono molti autori nell’ambito delle scienza cognitiva (ad esempio, tra quelli che si occupano di reti neurali, Plunkett e Elman, ma se ne potrebbero citare molti altri) che hanno dedicato particolare attenzione proprio allo sviluppo.

    E qui entrano in gioco tantissime cose. Il fatto che esistano anelli di retroazione tra sistema percettivo e sistema motorio, a tutti i livelli di organizzazione, sembra far sì che l'esperienza dello spazio e la sua concettualizzazione siano inseparabili dal movimento. E l'esperienza dello spazio e la sua rappresentazione mentale influiscono su molti processi cognitivi (vedi i compiti di rotazione mentale di Kosslyn, ad esempio).

    Il fatto è che in linea di principio questi anelli di retroazione potrebbero essere spiegati procedendo dal micro al macro verso livelli via via sempre più complessi. Giustamente hai scritto che già a livello micro trovare delle spiegazioni soddisfacenti è tremendamente complicato, figuriamoci se poi considerariamo le svariate retroazioni (stimolo dell’ambiente esterno e del corpo -> risposta del sistema nervoso -> modificazione dell’ambiente esterno e del corpo -> feedback e così via…). Il fatto è che banalmente il problema si riduce “solo” a questo, ma quando si passa dal dire al fare il tutto si complica enormemente…

    Inoltre, passare da un punto di vista "statico" (abbiamo una mente già pronta; come funziona?) a uno evolutivo (abbiamo un neonato; come si forma la sua mente?) potrebbe rappresentare un anello di giunzione tra i risultati della parte "hard" della psicologia (la psicologia generale e sperimentale della quale ti occupi tu) e la parte "soft" (la psicologia clinica e la psicoterapia della quale ci occupiamo io, Gieko, Ikaro, Santiago e tanti altri).

    Verissimo. Tanto per continuare il discorso di prima, chissà se arriveremo mai ad un punto di incontro…
    "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" (L. Wittgenstein)

Pagina 3 di 3 PrimoPrimo 123

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