Ragazzi vi posto questo caso che è uscito qualche anno fa a Padova.
Proviamo a risolverlo insieme?

C. di 56 anni si rivolge ad uno psicologo clinico su indicazione del medico di medicina generale, al quale si
è rivolto in un momento di profonda crisi personale, che gli ha prescritto una terapia farmacologica con
dosaggio minimo.
Nel corso del colloquio dice di non farcela più, di aver paura di tutto, di non uscire di casa da alcuni mesi,
di non riuscire più a guidare per il timore di far del male a se stesso o agli altri, e di sentire che il mondo gli
crolla addosso. Recentemente, ha dovuto chiudere la sua attività lavorativa di artigiano, sia per aver
maturato la pensione minima che per problemi di salute, in seguito ad alcuni interventi chirurgici per
peritonite prima e un cancro alla pelle dopo. Della stessa forma tumorale era morto il padre, 25 anni fa,
uno zio paterno e la nonna paterna. Dopo la repentina morte del padre, la madre è caduta in uno stato di
sconforto da cui non si è più ripresa e C. è terrorizzato di fare la stessa fine del padre o della madre.
Racconta di essersi sposato nel 1985 con A., già incinta, e di essere rimasto a vivere con lei nella stessa
casa con la madre, dato che la sorella si era sposata alcuni anni prima. Per vent'anni circa la madre ha
avuto bisogno di assistenza continua finché è stato costretto ad inserirla in una casa di riposo, con notevoli
sensi di colpa. La figlia V. ora ha 22 anni, lavora ed è fidanzata e si prospetta una sua uscita di casa.
Durante tutto il colloquio non riesce a stare seduto, cammina per la stanza, battendo lievemente la testa
sulla scrivania e riferisce che il giorno prima si era recato al Pronto Soccorso in preda ad idee suicidarie.