OK. Adesso mi è un po' più chiaro il quadro.
Dunque, mi permetto di girarti una domanda: uno Stato è un'entità politica, non semplicemente economica. In altri termini, se un'impresa è non solo giustificata, ma obbligata a perseguire le sue decisioni sulla base di puri dati economici, questo ragionamento non ha senso per un'entità statale (vedi, per un confronto, le decisioni di guerra degli USA in Iraq o in Afghanistan, che - sulla base di un'argomentazione semplicemente economica - non sarebbero mai state prese).
Inoltre, se l'economia si configura come quella scienza che cerca di ottenere i migliori risultati sulla base di risorse scarse, la politica dovrebbe essere la capacità di decidere, in un panorama di scarsità relativa, quali siano le priorità sulle quali concentrare gli sforzi di una nazione.
Se ci guardiamo attorno, vediamo che - di solito - stati e nazioni "forti" considerano il settore dell'istruzione come un settore chiave dell'intervento politico, e come fondamentale per la costruzione e il mantenimento dello Stato. In Italia, invece, assistiamo ad una spaccatura tra le dichiarazioni e le azioni della classe dirigente. Da una parte le dichiarazioni sulle mitiche "3 I" (ve le ricordate?), dall'altra la scuola e l'istruzione vengono considerate non come strumento per la formazione dello Stato, e come strumento per la sua politica interna ed estera, ma come terreno di sperimentazione o di lotta tra bande.
Quattro governi, quattro "riforme". E questa è l'ultima.
Ma siete tutti così sprovveduti, in Padania, da non capire la differenza tra politica ed economia?
Buona vita
Guglielmo