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  1. #16
    evaluna^
    Ospite non registrato
    Originariamente postato da ccarlo

    Credo, invece, che il percorso che potremmo chiamare di "maturità dell'uomo" dovrebbe essere imposto a chiunque poi pretenda di incidere con il suo operato cosi profondamente e direttamente nella vita degli altri
    imposto...e come???

  2. #17
    Ospite non registrato
    [QUOTE]Originariamente postato da evaluna^
    [B]
    Originariamente postato da evaluna^
    imposto...e come???
    ccarlo
    Giusto, grazie ad evaluna posso correggermi ed ampliare.

    Non si tratta di imporre il percorso quanto piuttosto di permettere a chiunque un armonioso sviluppo.
    E come?
    Ad esempio:
    con un vero pluralismo nella diffusione della cultura e dell'informazione; (chi costruisce l'informazione e la cultura istituzionale e forse "superiore" di noi abitanti di ops village?)
    liberando la cultura e l'informazione dalle briglie del "valore profitto" (chi riesce a trarre profitto in tal modo non dovrebbe avere nessuna via di accesso preferenziale alla teste delle persone)
    Ecco, io immagino che tutto potrebbe giocarsi sul piano della massima diffusione possibile delle idee e della cultura. Solo cosi' un giorno potremo' raggiungere un mondo davvero figlio e madre di tutti.

    Leggete cosa pensa Galimberti a proposito dell'ora di religione nelle scuole ed estendetelo all'ora di varie cretinerie televisive che ci auto somministriamo quotidianamente.
    Umberto Galimberti: Quell´ora di religione
    Tratto da “la Repubblica”, 15 aprile 2003

    A proposito di un mio breve articolo apparso su Repubblica in occasione dell´anniversario del Nuovo Concordato firmato da Bettino Craxi nel 1984, un lettore, che si firma lagerinterfree.it, mi scrive: "Non mi capacito a ritenere - come fa lei - che per forza o comunque con alta probabilità la religione debba "diventare principio di divisione, quando addirittura di disprezzo e odio". Mi chiedo: è ineluttabile il fatto che se un uomo riconosce di appartenere debba per forza diventare ostile agli altri? Possedere un´identità è uno stato di necessitante violenza? Nessuna corrente di psicologia sottoscriverebbe che l´appartenenza è una minaccia ma all´opposto è un principio di realtà e di sanità. Anche la religione se vissuta per quello che è, è una dimensione umana, fa bene a tutti e alla scuola!".
    In linea di principio nulla da obiettare alla posizione del mio lettore. Ogni cultura, infatti, come ricordavo nel mio precedente articolo, ha il suo sfondo religioso di provenienza, dove è facilmente riconoscibile la simbolica sottesa a un popolo, a una nazione, a un modo di fare civiltà. Ma che significa la traduzione di questo principio generale, in sé valido e giustificato, nella pratica dell´insegnamento della religione nella scuola? E ancora: che significa oggi quando la nostra società sta diventando sempre più multiculturale e la religione, che non diventa "conoscenza delle religioni", può diventare principio di divisione, di reciproca diffidenza, quando non addirittura di disprezzo e di odio?
    Se è vero infatti, come dicevamo poc´anzi, che nella religione è custodita la simbolica di un popolo, lo scenario della sua appartenenza, quando non il luogo di riconoscimento della propria identità, il tutto radicato in quella dimensione pre-razionale tipica dei simboli che, in quanto pre-razionali, non facilita la dialogicità, non è difficile rendersi conto che legiferare sul "religioso" significa legiferare su una materia delicatissima dove in gioco non c´è solo l´"ora di religione", ma i temi profondi dell´identità e dell´appartenenza, attraverso cui ciascun individuo giunge al riconoscimento di sé.
    La legislazione del Concordato firmato da Mussolini nel 1929 consentiva a chi non si riconosceva nella religione cattolica di chiedere l´esonero dall´ora di religione. Una forma umiliante di emarginazione per i pochi coraggiosi che se ne avvalevano e che, avvalendosene, dovevano già da piccoli imparare che cosa vuol dire essere un "diverso" in un gruppo, e dover sempre giustificare la propria posizione che il gruppo aveva già investito di proiezioni negative.
    Fu per ovviare a questo inconveniente che nei primi anni Ottanta un gruppo di pedagogisti, di uomini di scuola e uomini di cultura iniziarono a predisporre i "nuovi programmi" della scuola elementare. E, nonostante il loro diverso orientamento, trovarono un accordo che prevedeva la sostituzione dell´insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado con una materia che avrebbe dovuto chiamarsi "conoscenza dei fatti religiosi". Con questa sostituzione essi ritenevano che fosse opportuno sottrarre la religione al vincolo della "fede" (luogo di identità e di appartenenza forte, perché pre-razionale) per inserirla nell´ambito del "sapere" e della "conoscenza" che non sono mai luoghi di divisione, ma di dialogo, perché oltrepassano la soglia del regime simbolico dove la dialogicità è impossibile.
    Il loro generoso tentativo fu bruscamente interrotto dall´emanazione del Nuovo Concordato firmato da Craxi nel 1984 che prevedeva che l´insegnamento della religione cattolica (e qui vorrei che l´aggettivo "cattolica", per correttezza e per evitare subdoli equivoci, accompagnasse sempre l´impropria dizione: "Ora di religione") fosse opzionale e, come dice il testo, i "non avvalentesi" potessero chiedere materie alternative o allontanarsi dalla scuola.
    A questa soluzione non furono estranee le pressioni della Chiesa, preoccupata da un lato di non privare decine di migliaia di insegnanti di religione cattolica (il 20 per cento dei quali sacerdoti), nominati direttamente dai vescovi, che avrebbero visto ridursi drasticamente le loro possibilità di lavoro remunerato dallo Stato, e dall´altro di non perdere attenti ascoltatori in quella fascia di età in cui si formano e, inutile nasconderselo, si condizionano le coscienze.
    I risultati furono quelli che oggi ancora constatiamo: il 93 per cento degli studenti, con un minimo in Toscana (84 per cento) e un massimo in Puglia (98 per cento) segue bene o male, volenti o nolenti l´ora di religione (cattolica). E per gli ebrei, per i musulmani, per i protestanti, per i Testimoni di Geova, per i mormoni, per i seguaci delle credenze new age, per gli agnostici, per gli atei? Reclameranno sempre di più la possibilità di seguire i corsi della loro religione? Probabilmente sì. Basta leggere la circolare del ministro Moratti che baratta la presenza del crocefisso in classe con l´invito alle scuole di offrire luoghi di culto (non di conoscenza) per le altre religioni, naturalmente, come precisa la circolare, in orario extrascolastico.
    Arriveremo a fare come in Olanda dove i genitori hanno il diritto di richiedere scuole cattoliche per i cattolici, scuole protestanti per i protestanti, scuole del proprio culto per gli altri, e infine scuole senza religione per i non credenti che sono il 40 per cento della popolazione? Spero di no. Perché una simile situazione, lungi dall´essere rispettosa della "libertà", come i più rozzi credono, tutela solo l´"appartenenza" a un gruppo religioso piuttosto che a un altro, inculcando nei bambini, fin dall´asilo, il principio della divisione secondo categorie di appartenenza religiosa.
    E sapete che bel servizio facciamo a questi bambini, insegnando loro a dividersi e a differenziarsi per credo religioso, quando poi saranno costretti a vivere in una società multiculturale, quale va prospettandosi per effetto dei flussi migratori, senza uno straccio di conoscenza per capire l´altro? Non è forse merito della scuola "pubblica", a differenza di quella confessionale (che in Italia vuol dire "cattolica"), offrire fin dall´infanzia un luogo privilegiato di incontro, di integrazione, di scambio, di tolleranza, di conoscenza reciproca? Non sono questi valori più importanti e più idonei per vivere in società multietniche quali sempre più saranno le nostre, di quanto non sia il valore dell´appartenenza che comunque si assorbe da ogni parte e non certo nell´"ora di religione"?
    E se la scuola non fa questo lavoro di incontro e reciproca conoscenza a partire dall´infanzia, dove le idee si radicano più profondamente, non viene meno a uno dei suoi compiti che è poi quello di dare a ciascun individuo strumenti psichici e culturali per potersi muovere meglio in società dove convivono molte fedi? La storia infatti non è irrimediabilmente consegnata alle lotte tra integralismi, quindi alle guerre, agli olocausti, ai razzismi, alle reciproche diffidenze, solo se la scuola non viene meno al suo compito, che non è quello di insegnare a uno "chi è", ma "come fa" e di quali strumenti dispone per "incontrare l´altro". Dal momento che l´altro è qui con noi, a fianco di noi, in mezzo a noi. E noi per lui siamo "altri" con cui è possibile "fare la guerra" o "mettersi a parlare" per meglio intendersi.
    Per guadagnare questi valori di convivenza, non occasionalmente ma strutturalmente, è necessario insegnarli fin da bambini. E quale occasione migliore dell´"ora di religione" declinata in un´"ora di conoscenza delle religioni" dove alla "fede", che di solito aiuta a radicarsi nella propria identità, si sostituisce il "sapere" che, oltre ad avere, rispetto alla fede, una maggior parentela con la cultura, apre al dialogo e alla comprensione.
    Oggi il Papa parla con forza di pace e con lui la Chiesa nel suo complesso. Ma siccome sappiamo tutti che la pace non basta predicarla alla vigilia delle guerre, ma occorre costruirla pazientemente come disposizione dell´animo di ognuno, perché il Vaticano non rinuncia unilateralmente al capitolo del Nuovo Concordato che riguarda l´insegnamento dell´ora di religione (cattolica) e non sollecita la sua sostituzione con un´ora di "conoscenza delle religioni", in modo che già da bambini si sappia che le differenze di religioni sono la base delle differenze delle culture con cui, se non vogliamo essere sempre in guerra, bisognerà pur intendersi. Ben sapendo che non c´è possibilità di intesa se non c´è conoscenza.
    Parlo di un gesto unilaterale del Vaticano perché la composizione del nostro attuale governo non consente a nessuna delle sue componenti di operare una simile scelta. La Lega infatti è così radicata nel suo localismo da non tollerare contaminazioni etniche. Alleanza nazionale ha sempre vissuto la cristianità come un fondamentale della sua identità. All´Udc non par vero di appartenere a una coalizione di governo che favorisce le scuole "private" che in Italia vogliono soprattutto dire "confessionali" e "cattoliche". Forza Italia si riconosce in un leader che, pur di cementare la sua amicizia con Bush, non esita a seguirlo acriticamente in ogni avventura.
    E allora sia il Vaticano, che nelle parole del Papa e dei suoi vescovi non c´è giorno che non ribadisca la necessità della pace, a farsi promotore di una iniziativa unilaterale che dia sostanza a questa parola. E dica: nell´ora di religione insegniamo fin da bambini il senso e il significato di tutte le religioni, in modo da costruire "uomini di pace" invece che "uomini di appartenenza" di cui la religione è la prima radice. Allora, e solo allora, anche le parole di pace della Chiesa saranno credibili. Davvero credibili


    Sulla televisione mi permetto di consigliarvi questa intervista a Karl Popper.
    Rabbrividisco a come saremo costretti a difendere i nostri figli.
    http://www.mediamente.rai.it/home/bi...s/p/popper.htm

  3. #18
    Partecipante Affezionato L'avatar di almaserena
    Data registrazione
    02-11-2002
    Messaggi
    114
    per ccarlo

    non posso che trovarmi daccordo con te e con tutta la tua delicata e profonda discussione

    In parte la salute mentale è una forma di conformismo.
    John Nash

  4. #19
    Ospite non registrato
    Il problema piuttosto serio mi sembra, a questo punto,.come fare per dare il tempo alla persona di intraprendere il proprio persorso di maturazione senza, PER NECESSITA' ECONOMICA, essere letteralmente costretta a iniziare a lavorare, magari proprio in campi cosi delicati come quelli accennati, prima di essere giunta ad un livello di consapevolezza e di responsabilità sufficientemente alto. Penso, a questo proposito, che l'aspirante "curatore dell'anima" "dovrebbe a buon diritto" avvicinarsi all'anima che soffre, senza essere il curatore preposto e senza la necessaria presenza di quel maestro bottegaio ispirato da Galimberti.

    Provate anche voi a immaginare come sarebbe possibile

  5. #20
    evaluna^
    Ospite non registrato
    Ciao CCarlo, devo dirti subito che aspetterò di avere un pò di tempo e pazienza per rileggere bene tutto quello che hai scritto che per ora ho letto solo velocemente, ma sostanzialmente anche io penso che tu abbia ragione.
    [OT:molto bella la frase di H.Hesse nella tua firma ]

  6. #21
    Eowin
    Ospite non registrato
    Cioa Evaluna.
    Più della metà dei miei docenti era laureata in filosofia, una larga fetta di psicoterapeuti lo è, quindi credo che anche la laurea in filosofia valga quella in medicina o psicologia.
    Cioè credo che lo studio della filosofia sia adatto alla bisogna, almeno non meno di quanto non lo fosse prima della riforma.

    Il nocciolo della questione per me è che non esiste un percorso cognitivo, ovvero di studio libresco, che abiliti sostanzialmente alla psicoterapia: si consegue un'abilitazione giuridica.

    Ciò nonostante, bisognerebbe trovare qualcosa che i laureati in psicologia siano effettivamente abilitati a fare, giacchè adesso non possono fare, in pratica, nulla di nulla.

    Studi medicina? Tornassi indietro lo farei anch'io, almeno avrei di che vivere tra la laurea e la specializzazione.
    A me sembra che nessuno si preoccupi degli eventuali danni che può fare un medico neolaureato (per tacer degli altri), mentre si punta il dito contro gli psicologi che, in primis, non devono "fare danni". Mah...

  7. #22
    evaluna^
    Ospite non registrato
    Originariamente postato da Eowin
    Il nocciolo della questione per me è che non esiste un percorso cognitivo, ovvero di studio libresco, che abiliti sostanzialmente alla psicoterapia: si consegue un'abilitazione giuridica.
    credo che sostanzialmente riguardo a questo la pensiamo tutti uguale
    Studi medicina? Tornassi indietro lo farei anch'io, almeno avrei di che vivere tra la laurea e la specializzazione.
    A me sembra che nessuno si preoccupi degli eventuali danni che può fare un medico neolaureato (per tacer degli altri), mentre si punta il dito contro gli psicologi che, in primis, non devono "fare danni". Mah...
    questo non l'ho capito molto bene, mi farebbe piacere se spiegassi meglio quello che intendi

  8. #23
    Ospite non registrato
    Navigando nel forum ho trovato che questa discussione è allaccciata a quella iniziata da Haruka intitolata
    [ARTICOLO su PSICOTERAPIA]Che ne pensate?
    in OBIETTIVO PSICOLOGIA----->FORUM TEMATICI------>PSICOLOGIA CLINICA
    Interessante l'articolo di Adalberto Bonecchi

  9. #24
    Galimberti che insegna psicologia generale ma è un filosofo e tra l'altro l'insegna in un corso di laurea quinquennale in nientologia?
    Ho capito bene? è proprio così?
    il vil denaro delle università italiane ha sedotto questo artista dell'anima? spero almeno che psicologia generale non la insegni in un corso di laure di psicologia se no la sua ipocrisia sarebbe pari solo al suo ego ovvero infinita...
    Non entro poi nel merito delle sue argomentazioni perchè è gia stato evidenziato dai più che sono inconsistenti e fuori dal tempo...

  10. #25
    Ospite non registrato
    Originariamente postato da vincentvang
    spero almeno che psicologia generale non la insegni in un corso di laure di psicologia se no la sua ipocrisia sarebbe pari solo al suo ego ovvero infinita...
    a me pare invero che in questo caso la sua opinione sarebbe ulteriormente confortata da una esperienza sul campo.

  11. #26
    certo... ma bisognerebbe anche essere parte della risoluzione del problema... essere solo parte del problema e tirare delle bordate fine a se stesse che utilità ha?
    Io invece credo che lui in realtà abbia un concetto suo di psicoterapia... certo rispettabile ma non di certo pragmatico...

  12. #27
    Ospite non registrato
    Originariamente postato da vincentvang
    certo... ma bisognerebbe anche essere parte della risoluzione del problema... essere solo parte del problema e tirare delle bordate fine a se stesse che utilità ha?
    Io invece credo che lui in realtà abbia un concetto suo di psicoterapia... certo rispettabile ma non di certo pragmatico...
    dubito che le bordate siano fine a se stesse. Prova ne e' questo forum dove futuri psicologi sono stati stimolati a parlarne.

    Quanto al concetto non pragmatico, mi chiederei cosa e' pragmatico e se il pragmatismo è opportuno applicarlo in tale materia.
    Qui si tratta dell'animo umano appunto. Non credo il pragmatismo vi si possa facilmente accomodare a far da medico.

  13. #28
    secondo me c'è un po' di confusione: non credo che l'oggetto della psicoterapia sia lo studio "dell'animo umano"... concetto abbastanza fumoso quest'animo umano... posso concordare che filosofi e in un certo senso anche psicoanalisti si occupino di questo... ma se ritenessi che lo scopo dello psicoterapeuta non sia "un pargmatico" fare stare meglio la persona nel meno tempo possibile andrei a fare altre cose...
    In particolare come psicoterapeuta non pretendo di andare a toccare l'animo umano non essendo io Dio (forse Galimberti nella sua arte riesce ad andarlo a toccare, in fondo sono d'accordo certe opere d'arte possono sfiorare l'animo umano) ma in psicoterapia so portano problemi, patologia, sofferenza... io credo che come psicoterapeuti possiamo agire sul comportamento e sulle credenze dei pazienti ma su concetti più metafisici mi sembra proprio difficile... poi continuo a ribadire: deontologicamente lo psicoterapeuta (secondo me) deve fare stare meglio la persona nel meno tempo possibile...

  14. #29
    Ospite non registrato
    [i] poi continuo a ribadire: deontologicamente lo psicoterapeuta (secondo me) deve fare stare meglio la persona nel meno tempo possibile... [/B]
    e chi dice quando una persona sta meglio???
    chi puo' dire che quello è il minor tempo possibile???
    Dov'e' il confine fra adattamento della persona al contesto sociale e adattamento del contesto sociale alla persona?
    Credo, a buona ragione, che cio' di piu' produttivo nel percorso psicterapeutico sia l'impegno del paziente ad occuparsi di se stesso con metodo e continuità ed a farlo in presenza (e non insieme) di un terzo con il quale stabilisce un legame affettivo, sociale.
    Il pragmatismo cede velocemente il passo dinnanzi alla "tecnica psicoterapeutica" che presume, ipotizza e, in quanto tecnica e non medicina, si occupa di eliminare un sintomo, senza preocuparsi di quali anche negative conseguenze quella eliminazione puo' avere.
    Credo anche, e per ora concludo, che tutte le tecniche che agiscono sulla psiche umana (e spesso anche quelle che agiscono sul corpo) anziche' occuparsi dell'individuo, aiutando a correggere il suo contesto, tentano di correggere l'individuo, in cio' aiutando il contesto. Intravedo una enorme limitazione.

  15. #30
    mmhh...
    chi dice quando una persona sta meglio? La persona stessa! insomma in terapia si portano dei problemi se questi problemi non sono più problemi per la persona la persona sta meglio... esempio: io soffro di attacchi di panico vado in terapia... ho tutta una serie di sintomatologia e questa sintomatologia mi fa stare male... ora perchè sto male? nel caso dell'attacco di panico i sintomi sono la tachicardia, le parestesie, l'intensa paura di morire, ecc... faccio di tutto per evitare che mi venga un attacco di panico perciò EVITO situazioni che potrebbero scatenarlo... cosa si fa in psicoterapia? (almeno nella terapia cognitiva comportamentale) si cerca di portare la persona a vedere sotto una luce diversa, a darne una interpretazione più razionale... è ovvio che l'attacco di panico non mi farà morire e per orrendo che sia durerà non più di 20 minuti... dato che ti piace la filosofia ti cito Epiteto: "le persone non sono turbate dagli eventi, quanto dalla visione che hanno di essi" oppure Shakespeare nell'Amleto: "nessuna cosa è in sè buona o cattiva; è il pensiero a renderla tale"... sposando questa idea si deduce che lavorando sul pensiero da soli o con l'aiuto di un terapeuta o di un amico si può arrivare a dare di eventi interpretazioni che ci possono far stare meglio... nel caso dell'attacco di panico per esempio so che non posso morire.... sul piano comportamentale si cerca di ridurre l'evitamento e questa non deve essere considerata una tortura... l'evitamento porta a rafforzare le paure perchè solo quando ci si rende conto che sono infondate le si supera...
    ora mi rendo conto che ci sono disturbi più pervasivi che coinvolgono aspetti molto profondi e per questi forse sono più adatte altre forme di terapia però se hai a che fare con un paziente ti rendi conto se questo sta meglio oppure no e se ne rende conto anche lui....
    l'obiettivo del tempo si raggiunge scegliendo terapie che scientificamente si sono rilevate efficaci nel minore tempo possibile.... non sempre funzionano e sicuramente è difficile trovare una durata standard... l'efficacia dimostrata scientificamentedovrebbe essere la garanzia...
    Domande:
    1) che vuol dire in presenza ma non insieme al terapeute? che il terapeuta può anche dormire?
    2) se elimino il sintomo quale conseguenze negative posso provocare? tu pensi meglio quando stai bene o quando sei preoccupato da altre cose?
    3) Anche certe medicine agiscono sul sintomo senza preocuparsi della causa... es. tachipirina non capisco dove vuoi andare a parare? che se non c'è il sintomo non si riesce ad arrivare alla porta dell'inconscio dove ci sono le illuminanti risposte che portano alla catarsi della mia sofferenza?
    4) Non è mica vero che si cerca sempre e solo di fare adattare il paziente al contesto... dopo diverse sedute con una paziente troppo preoccupata per il lavoro dove tutti se ne aprofittavano... LEI ha scelto di cambiare lavoro quindi non è stata lei ad adeguarsi ma il contesto... il contesto è quello che è, criticaro costruttivamente aiuta, certe volte per stare meglio bisogna adattarsi, altre volte si adatta il contesto... non esistono regole valide per tutti secondo me...
    5) Il cambiare la società non può essere compito solo di psicologi o terapeuti e soprattutto, tornando a Galimebrti, un po' di responsabiltà l'avranno anche i ns padri se la società è così... son nato 28 anni fa... per tanti danni che posso aver combinato non credo di essere il padre di questa società e non credo che lo siano tutti i giovani tanto criticati... al massimo ne saranno i figli... Galimberti è uno dei padri forse...

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