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  1. #46
    louis
    Ospite non registrato
    Fatto il primo passo , dopo dieci post , per cui forse non è più
    vero che certe mie ipotesi siano finalizzate a difesa di una realtà omologante , adesso andiamo alle nuove conclusioni che in modo
    azzardato mi ri-attibuisci.

    Sono colpevole vostro onore di avere usato le seguenti parole:
    difesa - desiderio ed Edipo e a lei è bastato per essere condannato a parteggiare per gli epigoni della 'schiera dei dannati' cioè i psicanalisti dell'età classica.

    ammesso che io abbia usato una chiave di lettura ( parlando
    del caso pasolini ho semplicemente usato la sua 'chiave' di lettura , forse perchè negli anni sessanta Kouth e Kernberg
    erano 'piccoli' e quindi la cultura psicoanalitica era quella classica)
    e pur considerandola tutt'ora ricca di implicazione , non mi
    sono mai sognato di , secondo le tue parole , di "sostenere in modo lapidario che il mancato inquadramento in questa precisa ottica (che non è un comandamento surgelato, ma anch’essa nasce in un contesto peculiare) del conflitto o dell’opzione sessuale, equivalga a non essere abbastanza “obiettivi”o a non assolvere il proprio compito Terapeutico (dal momento che parli specificamente di lavoro dello psicoterapeuta) nei confronti del pz è un’idea arbitraria e priva di fondamento."

    Il mio pensiero è che al di là della interpretazione , della prospettiva , del punto di vista etc. il blocco sessuale etro-sessuale venga considerato come sintomatico , come un problema , come una patologia ... ognuno ne tragga le conclusioni
    che crede sull'eziologia ... l'importante è che questo problema non
    venga nascherato da ciò su cui finalmente ci siamo compresi , cioè
    dal naturale istinto omosessuale che secondo me a volte è agito come unica possibilità di scelta e qui ritorniamo al tema che hai scelto , ma prima accogliendo il tuo invito di fare in modo che la teoria non sia un limite , semplicemente dico a te la stessa cosa,
    no essere troppo precipitosa nei giudizi e nelle parole che usi:
    lapidario , ignobile , mie indiscutibili interpretazioni:
    Se sono così dunque cosa ci guadagni a paralre con me mi chiedo?
    libertà e guarigione.

    Se ho un dogma che mi vuoi riconoscere , sia questo:
    Io penso che la nevrosi sia nel nostro mondo occidentale una
    condizione universale ... paghiamo la nostra cultura occidentale
    con una perdita di naturalità .... sappiamo che per te 'Guarda, io mollerei la dualistica contrapposizione natura / cultura. Onestamente non credo all’equazione lineare cultura = devianza dalla natura = malattia. Non mi convince affatto la manichea operazione di scissione di due trame intimamente interconnesse, poiché credo che nonostante tutto, l’equilibrio psicologico passi attraverso l’integrazione e non attraverso la dissociazione. "

    ed io sono d'accordo su un punto di quello che dici:
    che l'equilibrio psicologico passi attreverso l'integrazione e non la
    dissociazione ... e non sono in contraddizione perchè ripeto la nevrosi è una forma di equilibrio psicologico anche se fa sprecare
    inutilmente energie.
    probabilmente io ho un'idea di salute psicologica , troppo elevata,
    per cui anche chi è normale , nel senso che non ci sia niente
    di riscontrabile in qualche nosografia , mi può sembrare 'malato'
    e ovviamente ci metto 'me stesso'.
    Mi divertono molto spesso alcune canzoni di gaber che rilevano
    queste mie sensazioni: far finta di essere sani , cerco un gesto naturale , il comportamento un vero spasso direi ... ma perchè
    dico tutto questo ... perchè io non riesco a separare purtroppo
    la realtà in compartimenti e quindi non me ne frega nulla di ciò
    che mi dice il Dsm-iv a proposito di malattia e salute e dunque
    in una cerca fatica di vivere che non per forza domanda terapeuti
    io riesco a vedere il segno di un 'malessere' che è un malessere di sistema.
    E in effetti forse si separeranno in futuro anche le carriere:
    le entita nosografiche del Dsm-Iv lasciamole agli psicologi e psicoterapeuti , questo malessere davvero strisciante ai futuri
    'consulenti filosofici' se è vero che qualcosa del genere si muove
    anche in Italia.

    la libertà interiore , la libertà di scelta mi appare l'unica vera guarigione , l'unica possibilità di una salute ammesso sia possibile.
    Questo non vuol dire che tutti gli sforzi per far stare meglio qualcuno siano ignobili e mi dispiace davvero che siano queste
    le tue conclusioni su di me e non so nemmeno da dove tu possa dedurle. Una psicoterapia che restituisca una persona
    un pò meno malata sia vissuta come un intrevento positivo e non come un successo , dico solo questo , perchè ci si adegua alla cultura di 'malati cronici' del nostro tempo ...
    Mi piacerebbe una psicoterpia più battagliera dunque che offrisse
    soluzioni sociali preventive , che sia critica verso un cero modus vivendi e non che si limiti ad accogliere dei Malati secondo nosografia per restituirli malati comunque.

    E questo non è l'idea romantica del terapeuta , che lotta contro
    i mulini a vento , è semplicemente affermare uno stato di cose.
    Non pretendo eroismo ma almeno consapevolezza da parte di chi
    dovrebbe tra l'altro restituire consapevolezza.
    E invece si tende a parlare di successi e si fanno statistiche
    sulle efficacia semplicemente guardando ad una remissione sintomatica o semplicemente affermando che abbiamo avuto successo perchè un ossessivo-compulsivo ha meno compulsioni ...
    non che faccia schifo ma c'è una mentalità da correggere.
    ma forse questo è un discorso più in risposta a Vincent nell'altro forum.

    Ciao

  2. #47
    LiIa
    Ospite non registrato

    per mezzo del potere auto-conferitomi, ti dichiaro innocente.

    Quando ho iniziato la discussione, volevo semplicemente portare un mio contributo, descrivendo una tendenza diffusa a rapportarsi a questo argomento, che in parte prescindeva dai tuoi interventi, e che secondo me, chiunque può ravvisare guardandosi attorno.
    Poi sono passata ad isolare alcune tue argomentazioni che in parte poggiavano su assunti interpretativi specifici che hanno avuto grande risonanza nel nostro secolo.
    Alcuni di questi hanno subito una forma di reificazione e abusivismo, responsabili del loro stesso annichilimento. inquadrare quel filone interpretativo dal punto di vista storico è importante, non per avviare un processo nei tuoi confronti, né per svalutare l’intera impalcatura psicoanalitica (che costituisce un bagaglio, un punto di riferimento imprescindibile con spunti certamente fecondi) ma per contestualizzarlo, dischiudendo la riflessione anche ad eventuali alternative.
    inoltre, secondo me è importante definire l’origine e il quadro di riferimento di alcuni concetti come complesso, fase edipica, etc…perché una divulgazione decontestualizzata porta con sé il rischio di irrigidirsi e di restare tristemente intrappolati in una prigione dorata.
    L’altro perno delle tue riflessioni (che mi hanno coinvolta comunque, come vedi, anche se non le condivido) è rappresentato dalla “naturalità” sacrificata ora dalla “modernità” ora dalla “cultura”. Credimi, ho difficoltà a cogliere questa dialettica, se non a livello puramente intuitivo, o sulla base di una logica dualistica.
    Non vorrei che tu mi prendessi alla lettera (!), ma io colgo in questa immagine una venatura nostalgica, che sicuramente ha un valore importante nell’esperienza interiore di ogni essere umano, ma che come ogni nostalgia proietta in una dimensione di eterna rincorsa all’indietro.
    Sul maniacale ricorso a statistiche e a criteri di scientificità siamo in parte d’accordo, cioè quando rispecchia un certo imperativo alla concorrenziale “produttività” fine a se stessa, o l’arroganza autocelebrativa. D’altra parte il procedere della ricerca ha questo pregio: il procedere appunto, e arrivare in certi casi a trasformare, in altri a disvelare i suoi stessi limiti. Nel frattempo non perdiamo di vista quella persona che soffre di compulsioni, sperando che possa condurre una vita più soddisfacente, secondo le sue esigenze.

    Ti saluto e ti ringrazio per l’opportunità di confronto.

  3. #48
    louis
    Ospite non registrato
    "L’altro perno delle tue riflessioni (che mi hanno coinvolta comunque, come vedi, anche se non le condivido) è rappresentato dalla “naturalità” sacrificata ora dalla “modernità” ora dalla “cultura”. Credimi, ho difficoltà a cogliere questa dialettica, se non a livello puramente intuitivo, o sulla base di una logica dualistica. "

    A me sembra che sia proprio il livello intuitivo l'aspetto
    più pregnante per cogliere tale dialettica e dunque probabilmente
    c'è anche in te un aspetto di questa mia riflessione ...
    mentre quando parli di logica dualistica non comprendo cosa intendi.

    Riguardo alla venatura nostalgica , probabilmente cogli molto
    bene, nel senso che c'è , ma non come un'eterna ricorsa all'indietro , piuttosto come un senso di perdita.
    Dato che ne abbiamo parlato , l'eterno rincorsa all'indietro , mi
    sembra invece piuttosto l'aspetto pasoliniano.
    Mi fa piacere che alfine siamo arrivati ad un tono che permette
    di discutere meglio.

  4. #49
    LiIa
    Ospite non registrato

    "La Ripresa"

    L’argomentone che ci proponiamo di esplorare è uno di quelli col botto, anch’esso stato al centro di tante elucubrazioni. Meriterebbe forse l’inaugurazione di una nuova discussione, che coinvolge l’istintualità nel suo insieme (non solo l’omosessualità in quanto tale) in rapporto alla sovrastruttura culturale dell’occidente. Quando parlo di logica dualistica mi riferisco alla relazione disgiuntiva che contrappone l’individuo “naturale” alla “civiltà”,prodotto culturale. Una lettura di questo tipo (somigliante a quella che fai tu) che molti hanno proposto (Lacan, per citarne uno) presume un atteggiamento nostalgico che in nome degli antichi fasti della dimensione Originaria, autentica e perfetta, disprezza un presente complesso, come il frutto della sublimazione e della rimozione della condizione “animale” primordiale. Quando sottolineo la sfera dell’intuizione mi riferisco a questo tema fantastico (ciao, sono umana, fantastico anch’io) che colora di tinte paradisiache uno stato di “naturale bestialità” primigenia e che ravvede nella nevrotica modernità la sua inevitabile repressione. In questa ottica immaginaria però, struggente ed evocativa, in cui le due dimensioni si escludono a vicenda, lo spazio è appiattito, non prevede cioè l’esperienza di relazione fra le due. C’è una rinuncia, che sacrifica l’una o l’altra, che scarta il conflitto, la problematica. Ultimamente sono alle prese con gli adolescenti: mi accorgo quanto sia impellente soprattutto in loro, il dialogo fra queste dimensioni…

  5. #50
    louis
    Ospite non registrato
    Natura – cultura.

    Io credo che il problema del rapporto tra natura e cultura non vada affrontato da un punto di vista di una logica
    Dualistica ma attraverso una sintesi in cui tentare di ravvisare se esistono o meno degli squilibri e se questi squilibri
    Abbiano una qualche conseguenza su la dea Psiche.
    In effetti l’idea dell’origine di stampo lacaniano parte mi sembrerebbe da una premessa di fondo:
    che l’uomo e gli animali siano diversi perché i primi pulsionali e i secondi istintivi … e in lacan mi sembra
    sia espresso una archetipo della pulsione o se vogliamo del desiderio ( mutuato credo dallo stesso freud quando
    fa del seno materno il modello di base di qualsiasi successiva espressione del desiderio.) , una sorta di ricerca di un‘oggetto perduto’ ideale.
    Però tutto ciò da l’idea effetiva di una Origine di Perfezione che poi sembra ‘sporcarsi’ con la realtà dura e concreta,
    ma non è questo che si vuole riconquistare , ma probabilmente quella spinta evolutiva della natura verso la pulsionalità
    che quindi crea l’uomo , e che la nevrosi sembra in realtà riportare indietro ad una fase precedente , alla fase più istintuale.
    Mi è sempre piaciuto il mito di Epimeteo e Prometeo. Quei greci la sapevano lunga e avevano un modo davvero poetico per distinguere l’istinto dalla pulsione.
    Epimeteo è stato incaricato di dare a tutti gli essere viventi un corredo di stumenti che permetta loro di sovravvivre
    (dunque quegli istinti che sembrano trascendere una qualche forma di coscienza con cui gli animali si adattano dentro
    una nicchia ecologica) ma arrivato all’uomo si accorge tardivamente di avere esaurito tutti gli strumenti. E’ prometeo che per amore degli uomini ruba il fuoco agli dei ( la tecnica ) e la regala agli uomini.
    E quindi gli uomini non hanno un corredo istintuale che li limita in una dialettica stimolo /risposta con la natura , ma
    una tecnica che può utilizzare solo se è fuori da questa dialettica per cui la pulsione è qualcosa di molto più complesso
    in cui l’uomo trova non un limite verso la natura , ma la sua vera libertà , quella che il cristianesimo ha codificato come
    libero arbitrio il motivo per cui gli uomini avrebbero un’anima e gli animali in quanto meccanizzati no.

    Cosa voglio dire .. facciamo attenzione: la dialettica non è fra una pulsione che trova nella cultura solo ed eslusivamente un limite … la cultura è la vera qualità dell’uomo , avendo la capacità di ‘lavorare’ tale pulsione adattandola alla realtà.
    La nevrosi è invece una forma di reificazione perché idealmente toglie gradi di libertà di scelta e quindi ti reifica verso
    quella condizione animale istintuale secondo il modello stimolo-risposta.
    La compulsione ad esempio o quel grado di inflessibilita e di pervasività che appartiene alla definzione di un disturbo di personalità … come a dire non aspettarti di essere stupito di trovare in me un comportamento diverso dal mio solito (inflessibilità).
    Ora l’Origine di Lacan non è dunque la condizione istintuale , ma la condizione pulsionale sana che trova proprio nella
    Cultura la sua casa, ma anche il suo limite. E questo è il vero dilemma dell’umanità.

    Per questo può essere interessante analizzare la Cultura come:
    la casa originaria dell’uomo , che in quanto libero, trasforma la natura ….
    Una causa essa stessa di reificazione dell’uomo verso una situazione quasi pre-culturale quando la pulsione che originariamente sana … e ora malata , diventa un meccanismo che mi fa ripetere l’esperienza senza alcuna possibilità d i rottura. In sintesi la nevrosi avvicina la pulsione verso il livello istintivo animale.
    E la malattia della pulsione sembrerebbe un rapporto conflittuale con ‘l’oggetto perduto’: prendo a prestito una espressione secondo me bellissima usata da alcuni psicoanalisti che sul solco di lacan ne hanno rielaborato alcune idee:
    l’isterica secondo questi direbbe : ‘aspettami , non vengo’.

    La cultura occidentale è quella in cui l’uso della tecnica sembra avere sorpassato un limite , creando disarmonia e creando
    nuove difficolta e nuove domande alla psiche dell’uomo. E uno dei motivi per cui credo che la nevrosi sia una condizione universale in Occidente. Ora i greci avevano gia subdorato questo pericolo … sapevano che l’emancipazione dai limiti della natura richiedeva anche mantenere un rapporto equilibrato con essa .
    In effetti Prometeo diventa reo agli occhi di Zeus di non essersi reso conto della minaccia intrinseca che il suo regalo agli uomini rappresenti , ossio lo squilibrio dell’ordine naturale e dunque lo fa incatenare.

    E’ interessante questa intuizione dei greci in un 'epoca tecnologicamnete poco sviluppata …
    Oggi questo limite è stato oltrepassato e la psiche non è ancora pronta secondo me a discernere tra le miriadi di
    possibilità che si sono creati … troppi solchi sono stati tracciati e i punti di riferimento sempre meno evidenti.
    Ciò che appare libertà di scelta pone la seguente domanda come fa notare galimberti in uns uo bellissimo articolo: cosa sono in grado di fare? lasciando un non celato senso
    di inadeguatezza. Non è un caso che la depressione aumenti ,così come aumenta il consumo degli psicofarmaci.

    Forse hai ragione sul fatto che forse dovremmo aprire questa discussione da un'altra parte ... prova a farlo tu , io ti seguo.
    A te dunque la scelta del titolo.
    Ultima modifica di louis : 14-01-2004 alle ore 15.43.56

  6. #51
    LiIa
    Ospite non registrato

    cose sparse in attesa di titolo

    [QUOTE]Originariamente postato da louis
    [Ora l’Origine di Lacan non è dunque la condizione istintuale , ma la condizione pulsionale sana che trova proprio nella
    Cultura la sua casa, ma anche il suo limite. E questo è il vero dilemma dell’umanità.

    "...La cultura occidentale è quella in cui l’uso della tecnica sembra avere sorpassato un limite , creando disarmonia e creando
    nuove difficolta e nuove domande alla psiche dell’uomo. E uno dei motivi per cui credo che la nevrosi sia una condizione universale in Occidente...
    ...Oggi questo limite è stato oltrepassato e la psiche non è ancora pronta secondo me a discernere tra le miriadi di
    possibilità che si sono creati … troppi solchi sono stati tracciati e i punti di riferimento sempre meno evidenti"...

    Ho un certo disagio a parlare in termini di “dilemma dell’umanità” (stranamente mi evoca quel “mal celato senso di inadeguatezza” che invece non mi evoca affatto il quesito “cosa sono in grado di fare”) e non mi appartiene quel senso di ineluttabilità, che continua ad affiorare nel tuo intervento. Come infondo affiora dalla linea di pensiero lacaniana in cui il concetto di Assenza (perdita della fusionalità) come luogo prodotto dall’avvento della “legge del padre”, ormai incolmabile, acquista una connotazione ontologica.

    il senso generale che credo di aver colto dal tuo intervento è fondamentalmente l’attuale difficoltà (o impossibilità) di “stare al passo” di una complessità sempre maggiore, prodotta da un inspiegabile incidente antropologico, che incalza ad operare una serie sempre più numerosa di scelte e discernimenti, e che paradossalmente ci imprigiona, invece di rappresentare un indice di libertà. La tecnica, da potenziale strumento per operare, si è grottescamente trasformata in arnese persecutorio. Ha attuato un Superamento dei limiti “naturali”, puntualmente previsto dai lungimiranti Greci.
    Sulla leggendaria preveggenza avrei le mie riserve, così come sulle ire di Zeus che nella leggenda fu più volte turlupinato dal discolo prometeo; pare fosse un ribelle incallito.
    Suggestive e poetiche per alcuni, cariche di simbolismo cosmico per altri, spesso le leggende esprimevano semplici funzioni sociali del tempo (pare che il vero tema della leggenda edipica per esempio non ruoti affatto intorno alla figura di edipo, quanto intorno a quello della regalità e alla conquista). Cediamo pure alle allettanti lusinghe della leggenda, del resto ogni epoca ne vuole una. Così come l’onda neopositivista e verificazionista sbandierava il vessillo di tecniche sempre più sofisticate, ora si assiste alla parabola discendente, incarnata dal dramma della Perdita di controllo: abbiamo imparato qualche procedura per guidare l’automobile, ed ora è l’automobile a condurci; qualcuno tenta di defenestrarsi per sottrarsi a questa folle corsa, qualcuno punta i piedi su un freno in avaria, in un atto di atroce resistenza, qualcuno invoca mamma Ebe e così via.

    Riducendo un po’ gli orizzonti contemplativi, in questo (ansiogeno) quadretto non ci resta che collocare lo psicologo: sul ciglio della strada in compagnia del filosofo, a gesticolare enigmaticamente in direzione dell’imminente burrone, o nell’auto, accanto al guidatore per alcune tappe del tragitto, a cercare di rintracciare il senso che rivestono per il guidatore, e il peso con cui incidono.
    Nell’atto di osservare e conoscere compie un ulteriore passaggio, che è quello di trasformarla, poiché nessuna operazione conoscitiva può limitarsi alla rivelazione di una “verità” fondamentale. Agisce, e all’azione è strettamente connessa la tecnica, nuovamente. Ma la novità, emergente con sempre maggiore evidenza, è che in un contesto relazionale e conoscitivo, che è specifico e trasformativo, la tecnica, anche la più efficace, non può bastare. Anche nella prospettiva di proliferazione più catastrofica delle tecniche, le relazioni restano il perno del cambiamento.

    Credo di aver prodotto anch’io un palese slittamento verso il tema dell’altro forum, forse perché abbiamo seguito questa traccia del tecnicismo come peste dei giorni nostri, forse perché credo che lo psicologo debba rinunciare ad un approccio puramente contemplativo.
    Ultima modifica di LiIa : 15-01-2004 alle ore 21.10.58

  7. #52
    louis
    Ospite non registrato
    Registro la sobrietà di cui si nutre la tua saggezza , ma io
    preferisco come hai gia detto una volta 'sfidare il buon senso' ...
    è un esercizio molto terapeutico tra l'altro , per cui continuo
    a tenermi i miei 'dilemmi' e più che proporre l'idea di uno psicologo contemplativo , preferisco pensare ad una 'psicologia dei dilemmi'.
    ma cosa è una 'psicologia dei dilemmi' ?.... una modalità attraverso cui una persona si eserciti ad uscire da viversi solo ed esclusivamente come una identità di tipo esclusivamente sociale.
    Proprio perchè molto dolore sta nel viversi esclusivamente come entità sociale ....
    ma mi fermo qui ... è solo una intuizione che vuole provocare
    la tua sobria saggezza la quale mi costringe a ricordarti che
    i miti e le religioni avevano anche una funzione sociale , ma
    nascono come funzione conoscitiva , come la ricerca di soluzioni
    a quelle domande la cui risposta oggi cerchiamo alla scienza che
    pur allargando i suoi ambiti , dubito arriverà a darci quelle risposte sulla finalità dell'esistenza che le religioni e i suoi miti
    a modo loro danno ....
    Io rimango al punto che i miti e le religioni fossero la proiezione
    stessa del mondo interiore e sociale di quegli uomini che li hanno
    fondate .... e la conformità immagino molto naturale a questi ha poi plasmato dei modelli di comportamento , quella funzione sociale di cui tu parli.
    E ' inutile chiedersi se il mito di Edipo è una proiezione dell'ambivalenza dei sentimenti del bambino nei confronti del genitore o se ruota intorno al tempo della regalità e della conquista. 'regalità' e 'conquista' sono proprio i motivi di tali
    sentimenti ... 'conquista' del genitore ... regalità come forma di
    emancipazione da uno stato sentito come inferiorità.
    ma forse non ho capito cosa tu voglia dire ... se me lo rispeghi
    te ne sarei grato.
    Di sicuro la figura di edipo è centrale , ti sfido a dimostrare il contrario...
    nasce destinato a diventare re ... ma si porta con se il destino
    di essere incestuoso e parricida ... e cercando di sfuggire a questo
    destino che invece gli andrà incontro inconsapevolmente ...
    Solo in quest'ultima considerazione a ben pensare sembra nascondersi una qualche verità che al momento non colgo ....
    le tue riserve sulle ire di Giove nei confornti di Prometeo le
    puoi mettere da parte leggendoti il bellissimo 'Prometeo incatenato di Eschilo'.
    puoi anche ironizzare sulla lungimiranza degli antichi o a limite del
    mio stupore per tanta 'antica saggezza,( io mi
    limitavo ad annotare una felice 'intuizione') ma ognuno si sceglie
    i propri ambiti in cui ironizzare :
    a me divertono certe scoperte 'dell'acqua calda' di certa psicologia moderna , per cui affermo che se alla psicologia gli togli proprio i miti , le religioni , un pò di antropologia e un po di filosofia etc.etc. ho l'impressione che le rimanga solo un pò
    di banalità stuporosa.
    La mia presunzione fa il paio con la tua ... ho l'impressione
    che ci sia qualche coincidentia oppositorum ... l'importante è
    esserne consapevoli. :- )

    intanto umilmente ti chiedo la traduzione di questo tuo passo:
    "Riducendo un po’ gli orizzonti contemplativi, in questo (ansiogeno) quadretto non ci resta che collocare lo psicologo: sul ciglio della strada in compagnia del filosofo, a gesticolare enigmaticamente in direzione dell’imminente burrone, o nell’auto, accanto al guidatore per alcune tappe del tragitto, a cercare di rintracciare il senso che rivestono per il guidatore, e il peso con cui incidono.
    Nell’atto di osservare e conoscere compie un ulteriore passaggio, che è quello di trasformarla, poiché nessuna operazione conoscitiva può limitarsi alla rivelazione di una “verità” fondamentale. Agisce, e all’azione è strettamente connessa la tecnica, nuovamente."
    C'è un pò di eraclito e quindi può darsi qualche profonda verità.
    :- )


    Invece su quest'ultima parte che come sai non posso che condivedere
    " Ma la novità, emergente con sempre maggiore evidenza, è che in un contesto relazionale e conoscitivo, che è specifico e trasformativo, la tecnica, anche la più efficace, non può bastare. Anche nella prospettiva di proliferazione più catastrofica delle tecniche, le relazioni restano il perno del cambiamento. "
    gradirei invece un approfondimento 'scientifico' . la novità immagino approdi da una ricerca moderna e non da un testo antico immagino.In tal caso non gli daresti molto importanza. : -)

    Ciao

  8. #53
    LiIa
    Ospite non registrato

    ma i greci avrebbero apprezzato lo scaldabagno?

    Che una “psicologia dei dilemmi” eserciti per te una funzione “terapeutica” (rassicurante?) mi era già abbastanza evidente, a partire dalla tua concezione della dimensione sociale come luogo di intollerabili contraddizioni. Del resto il “dilemma” rimanda alla affascinante sfera degli opposti e dell’insolubile, un vischioso rifugium peccatorum su misura di fronte alla ben più ordinaria opzione di faticose soluzioni parziali. Ti scandalizzerò, dichiarando la mia propensione per una banale “psicologia del compromesso”, laddove il compromesso assume una valenza dinamica e costruttiva per rapportarsi con se stessi e con l’altro-da-sé.
    Rispetto alle mie altrettanto scandalistiche perplessità sulla lettura freudiana del mito edipico (o piuttosto sulla sua intoccabilità) ti confesso di non poter vantare alcuna "maternità" in merito: non sono affatto io l’acuta artefice di questa riflessione, poiché è in corso da tempo il dibattito tra psicoanalisti, filologi e storici.
    In particolare freud è stato spesso accusato da alcuni di aver compiuto una attualizzazione su una questione che non può prescindere dal contesto della civiltà ateniese del V sec a c . il rischio di antropologizzare la figura di edipo è quello di sottovalutare la specificità storica e culturale del testo di sofocle che secondo alcuni rappresenterebbe la tragedia autodistruttiva di una famiglia reale, in cui l’incesto riveste un ruolo secondario, secondo altri esprimerebbe il pensiero sociale dell’Atene del V sec e i conflitti suscitati nell’ambito giuridico e istituzionale, in cui la nascita del diritto e delle istituzioni politiche sollecitava l’appello agli antichi valori tradizionali.
    Se da una parte il dibattito tra psicoanalisti e filologi può condurre facilmente ad impantanarsi in modo piuttosto sterile (peccando di relativismo si fa torto ad un “classico”, tale proprio perché si presta a riletture sempre nuove e perché ha sempre qualcosa da dire) dall’altra ha il merito di sottolineare proprio questo: che quella operata da freud è appunto una rilettura fra le altre possibili (che come Bettheleim ha evidenziato si nutre del retroterra classico-umanistico di freud). Non è detto che il dramma del personaggio di Sofocle sia quello dell’uomo odierno, né che l’edipo di freud sia quello di Sofocle. La leggenda ha offerto spunti per molte versioni, fra cui quella freudiana. Il bias avvenuto in seguito, e sempre in agguato, è quello di eleggere il complesso di Edipo a massima psichiatrica.

    Nel passaggio che ti è riuscito oscuro, volevo semplicemente valorizzare la tecnica come dispositivo operativo, recuperandola dall’ingrato e demoniaco antro della colpa e ridefinendola nella sua potenzialità di strumento. Un cucchiaio può essere un ottimo strumento per sorbire il brodo, che difficilmente potrebbe essere raccolto con la forchetta. Altrettanto disperante sarà il tentativo di qualche ingordo che frettolosamente lo impugna per il verso sbagliato o per gustare una bistecca. Così possiamo vivere in un mondo di forchette cucchiai e coltelli e serviti interi di utensili senza per questo entrare in ansia, o cominciare ad allucinare frotte di forchette impazzite. Probabilmente dopo qualche buffo tentativo scopriremo che possiamo utilizzarli in diversi momenti del pasto, a seconda delle portate o addirittura in modo combinato. Quelli logori o poco flessibili si spezzeranno e verranno rimpiazzati. Quelli inservibili saranno conservati dai collezionisti come curiosi cimeli. Qualcuno inventerà un cucchiaio modificato congeniale ad un tipo particolare di pietanza. Nessuno è assolutamente indispensabile, qualcuno può essere utile.
    Altro concetto che ho cercato di esprimere è che abbiamo scoperto che non abbiamo a che fare con reperti di laboratorio (né con pezzi di bistecca) ma con persone e le loro storie. dal momento che le conosciamo e ci entriamo in relazione non ci limitiamo a stuzzicarle meccanicamente con le posate ed osservare le loro reazioni, nemmeno volendo. Perciò, senza disprezzare i nostri corredi di strumenti è importante aver chiaro che il loro utilizzo non è meramente manipolativo, e accettare che lo psicologo non può “chiamarsi fuori”, brandendo l’affilata posata, ma è parte del processo.
    Come tale secondo me dovrebbe essere pronto a mettersi in discussione, e accettare un modello circolare per cui alla formulazione di ipotesi e attuazione di strategie segue una verifica ed una eventuale riformulazione.
    Non so bene se è questa ottica fluida, che lavora per mettere insieme, a evocarti Eraclito, di cui ricordo decisamente poco.
    Per quanto riguarda il termine “novità” mi riferisco genericamente alla riflessione epistemologica contemporanea, non a qualche antico oracolo. Il resto prende corpo da qualche esperienza personale. Sarà meno suggestivo ed eccitante, sarà la scoperta dell’acqua calda, ma tant’è.
    Per me, “scoprire” il vantaggio dell’acqua calda resta sempre più stimolante che invocare il dio della pioggia.
    Ultima modifica di LiIa : 21-01-2004 alle ore 16.29.01

  9. #54
    louis
    Ospite non registrato
    Non mi scandalizza affatto la tua propensione ad una 'psicologia
    del compromesso' , anzi è proprio l'obiettivo della 'psicologia
    dei dilemmi' .
    Dovessi pensare ad un modo di spiegarla , lascerei la parola a
    Trilussa:
    L'AQUILA

    -L'ommini so' le bestie più ambizziose,
    disse l'Aquila all'omo - e tu lo sai;
    ma vattene per aria e poi vedrai
    come s'impiccolischeno le cose.

    Le ville. li palazzi, e li castelli
    da lassù sai che so' ? So' giocarelli.
    L'ommini stessi, o principi o scopini l
    da lassù sai che sò ?Tanti puntini!

    Da quel'artezza nun distingui mica
    er pezzo grosso che se dà importanza:
    puro un Sovrano, visto in lontananza,
    diventa ciuco2 come una formica.

    Vedi quela gran folla aridunata
    davanti a quer tribbuno che se sfiata?
    E' un comizzio, lo so, ma da lontano
    so' quattro gatti intorno a un ciarlatano.

    Ora è proprio restando dentro il sociale che le cose si ingigantiscono ... ma c'è un punto di vista da dove le
    cose s'impiccolischeno'.

    In un forum è facile non comprendersi anche se si pensano
    più o meno le stesse cose ... perchè si confonde l'ironia con
    qualcosa di altro a volte.
    Non ho alcun problema ad accogliere altri punti di vista sulla
    leggenda di Edipo ... tutto questo tram tram avrebbe senso se
    Freud avesse letto la leggenda e poi andare a cercare nella psiche
    la leggenda.
    Invece Freud ha scoperta questa ambivalenza dei sentimenti nella
    clinica e poi lo ha ritrovato nella leggenda .. non è che l'ha voluto vedere li dentro ... c'è proprio , oggettivamente.
    Questo non esclude che su l'edipo di Sofocle possano esistere altre interpretazioni le quali possono stare tranquillamente insieme a Freud ... anche se Sofocle volesse intenzionalmente
    parlare con l'edipo di un detersivo di Dixan , ciò non toglie nulla
    a Freud. E' chiaro a tutti che Sofocle non volesse parlare del
    'complesso di Edipo' ... probabilmente senza volerlo lo ha rappresentato.
    Anche l'interpretazione di Freud sulla indecisione di Amleto è suggestiva ... come
    diceva Totò c'è a chi piace e a chi non piace .. a me piace.

    Riguardo alla tecnica , non ho mai detto che non serva , ho solo
    detto che oltrepassando i suoi limiti la tecnica sta portando un
    nuovo disordine che ha molte implicazioni sulla psiche ....e che
    guarda caso c'è anche a proposito una leggenda molto antica.
    Sulla 'novità' forse non ci crederai . ma volevo davvero sapere
    di cosa si trattava ... non lasciarti fuorviare da una battuta ironica
    di chi voleva solo sottolineare che 'non perchè una cosa sia vecchia ha meno valore' anzi forse strada facendo ci si perde qualcosa o si riscoprono semplicemente cose perse ... che ritrovi
    guarda caso nei libri antichi.
    per quanto riguarda la psicologia umana questo è molto vero , anche se dobbiamo tener conto dei contesti ...e soprattutto del
    nostro contesto.


    Eraclito l'ho citato con un po di bonaria ironia ... perchè era
    chiamato 'l'oscuro' per l'ermetismo dei suoi testi ... non per affinità
    che non potevo valutare dato che il testo mi appariva piuttosto
    oscuro appunto.

    Sulla relazione nel contesto terapeutico , sul processo o se vogliamo su quello che possiamo definire una 'causalità circolare'
    nulla da dire , molto bello e molto vero ... ma non ho mai detto
    il contrario anzi come te ho detto che la relazione è l'aspetto principale . che lo psicologo per quanto si ponga in modo empatico e neutrale deve stare attento alle proprio distorsioni nel cogliere quel paziente che in parte sono le 'sue categorie'
    tra cui la sua tecnica ... ma ho detto che anche questa serve ...
    e ti rimando alla metafora socio politica sull'anarchia che già una
    volta mi hai rinfacciato.

  10. #55
    LiIa
    Ospite non registrato

    dentro e fuori

    ......"Ora è proprio restando dentro il sociale che le cose si ingigantiscono ... ma c'è un punto di vista da dove le
    cose s'impiccolischeno'."

    Forse non ho molto chiaro cosa intendi per “dentro il sociale”….

    Provo a sviscerare un po’, tanto per cambiare, perché c’è molta carne al fuoco.
    Prima ipotesi: fino ad ora ti sei riferito al rischio ideologico, che interviene quando nell’ambito di questa professione (o nel qualunquistico cicaleccio divulgativo) si applicano strumenti e teorie (nate in contesti storici e culturali specifici) come se fossero rappresentazioni fedeli della realtà umana. Proprio per sventare questo pericolo mi sono affannata a precisare la funzione della diagnosi e la natura di certe storiche interpretazioni a cui alludevi, sostenendo fra l’altro che la presunta “neutralità” (oggettività) del clinico avrebbe dovuto avallare tali interpretazioni. Così sono ripartita in quarta cercando di scomporre proprio questo presupposto della “neutralità”: la “neutralità” del clinico non conduce ad appioppare damblè ad una conoscente con cui hai chiacchierato o ad un noto personaggio un complesso edipico irrisolto, senza operare una indagine diretta ed un esame storico e critico del punto di vista proposto; anzi questo meccanismo fa parte proprio del circolo vizioso ideologico per cui l’ostentata neutralità è solo apparente.
    Secondo me, nello sforzo di smascherare rischiose distorsioni ideologiche, sei incappato nella stessa trappola.
    Un altro problema affine che ho cercato di focalizzare è quello della “deformazione professionale”, che può condurre ad una forma di accanimento terapeutico in nome dell’imperativo di “disvelamento” di urgenti ed universali verità celate o del “progresso”.
    Questo purtroppo è avvenuto in tutti i campi di cura, che si sono strumentalmente avvalsi di una identità “scientifica”. Un esempio drammatico è anche quello medico, uno scenario che ha collezionato da una parte la trionfale scoperta della muffa di Fleming dall’altra mostruosi esperimenti sulle cavie dei campi di sterminio, o altri “progressi” incontrollati. Pensando a questo risvolto, scatta la comune espressione “dove andremo a finire…”. In questo caso secondo me è importante non perdere mai di vista la centralità del paziente, la sua realtà, la natura del suo problema e la sua richiesta, più che la motivazione “terapeutica” a se stante.

    Seconda ipotesi: ti riferisci ai condizionamenti “personali” che un tale che fa lo psicologo subisce (cioè stereotipi, credenze o preconcetti) al di là ed indipendentemente dagli strumenti professionali di cui dispone. credo che sia una preoccupazione legittima ed anche in questo caso un problema piuttosto fuori controllo, che attiene però alla sfera personale, alla rigidità di chi ci capita in sorte. Come dire, è sempre possibile incappare in un fesso, in qualsiasi tempo e in qualsiasi contesto. Si può solo sperare che la formazione o i percorsi di abilitazione rappresentino una forma di tutela, contribuendo a sfrondare i testoni irrecuperabili.

    L’ultima prospettiva che fa capolino dai tuoi interventi è quella molto generica che ci vede tutti quanti, psicologi, filosofi o impiegati postali, in buona o in cattiva fede, testoni o fuoriclasse, “vittime” del nostro tempo, massa inconsapevole di burattini che marcia al ritmo di spot pubblicitari o imperativi sociali e che ci vede ottusamente produttivi i giorni feriali e ottusi consumatori domenicali. Questa è una visione “sociologica” un po’ caricaturale, in cui senz’altro c’è del vero, anche se tendo per natura a scartare i catastrofismi.
    In questo quadro secondo me non è auspicabile ragionare in termini di “O fuori - O dentro” il sociale, cioè vagheggiare un eroico “volo d’aquila” alla trilussa, con il rischio di trovarsi con la testa fra le nuvole e finire per perdere il contatto con quei “puntini” in lontananza che sono i nostri bipedi colleghi, i nostri pazienti e i nostri simili. Senza contare che non tutti sono dotati di mitici apparati alari e che alcuni desiderano semplicemente trovare un equilibrio sulle proprie gambe. Possiamo cedere alcune fantasie di “libertà assoluta” senza per questo sentirci “servi della società”, possiamo adorare il centro commerciale, senza per questo infilare tutto nel carrello. Credo che ognuno, a modo suo, debba usufruire della possibilità di trovare una sua andatura, che non preveda necessariamente la partenza per aeree altitudini.

    …tutto questo tram tram avrebbe senso se
    Freud avesse letto la leggenda e poi andare a cercare nella psiche
    la leggenda.
    Invece Freud ha scoperta questa ambivalenza dei sentimenti nella
    clinica e poi lo ha ritrovato nella leggenda .. non è che l'ha voluto vedere li dentro ... c'è proprio , oggettivamente.

    oggettivamente? uhm…freud è originalissimo, un autentico ganzone, e così via, siamo d’accordo. Ma attenzione: tutta questa “buona fede” con cui freud nota casualmente nella leggenda dei parallelismi non è sempre così innocente e miracolosa. Dimentichi che freud è stato anch’egli preda dell’ambizione (produttiva assai) di consolidare una dottrina che potesse sostenere il confronto con altre “scienze”, e in questa direzione si colloca lo sforzo di rintracciare niente popò di meno che nell’antichità conferme autorevoli che potessero legittimare le sue ipotesi. Così, all’epoca della “scoperta” del pansessualismo e della sessualità infantile, Fa man bassa del concetto di “eros” platonico del simposio, che fra l’altro conosceva pochino e che è tutt’altra cosa. Utilizza cioè questo riferimento in modo proprio strumentale, lo cerca deliberatamente per avvalersi di un testimone illustre. In generale freud ha sempre attinto non casualmente, ma deliberatamente dalla letteratura antica, considerata un “mito fondatore”, per servirsi di metafore che non possono essere verificate ma che confermano, grazie all’aura autorevole di arcaiche verità fondatrici, la supposizione di “realtà” delle sue ipotesi. Possono garbare e non garbare, si possono utilizzare come ipotesi di lavoro, ma per favore, non dipingiamo freud come un vate.

  11. #56
    louis
    Ospite non registrato
    Rifacendo un pò la storia ormai di noi stessi , esercizio molto utile
    tra l'altro , io mi sono limitato ad evidenziare che per certi problemi
    come quello discusso possa nascere un conflitto tra una 'verità'
    culturale e una 'verità' clinica , rimarcando il primato della 'verità'
    clinica qualunque essa sia nell'ambito del paradigma prescelto ,
    perchè lo sai meglio di me che ogni 'verità' ( per esempio l'edipo )dipende da un paradigma anche se io penso che ci sono verità che non hanno un paradigma teorico ma sono semplicemente leggi interiori
    che gli individui scoprono e scoprendole pur sentendo la loro
    esperienza come unica e irripetible si sentono anche maggiormente uguali tra di loro.
    Ma ciò ad una mente razionale apparirà fumoso ( fino a quanto
    non ne avrà fatto esperienza) e quindi su questo punto mi taccio
    e non ci ritorno più.
    Andando avanti illa 'neutralità' èun atteggiamento imporatante in clinica così come in certe relazioni fuori dalla clinica,
    ma più si diventa neutrali quando più si e consapevoli dei
    propri pregiudizi ... e sopratutto se si è superati il pregiudizio
    principe davvero ideologico per il quale ' non si devono avere pregiudizi.'
    può darsi che io sia cascato a mia volta in un atteggiamento ideologico , ma io non credo almeno dalle cose che ci siamo
    scritti che io 'damblee' abbia appioppato a qualcuno una etichetta.
    Può darsi che io abbia appioppato una etichetta , ma non damblee,perchè su pasolini ci rifletto da dieci anni e sulla mia
    amica quelle che possono essere non etichette , ne giudizi ,nè
    diagnosi ma impressioni le ho maturate altrettanto lentamente,
    e sulla base di elementi che non puoi sapere ne voglio dire ...
    ho l'impresisone che 'damblee' siano un po i tuoi giudizi che non
    vogliono accogliere tutte le precisazioni che ti ho dato.
    E cioè che uso l'edipo per pasolini perchè lo usava lui stesso ,
    e non per sacralizzare la figura di Sigmund Freud ...
    Ovviamente accolgo e non è la prima volta tutte le tue considerazioni sulla 'neutralità' , e anche le tue considerazioni
    sulla "
    "deformazione professionale”, che può condurre ad una forma di accanimento terapeutico in nome dell’imperativo di “disvelamento” di urgenti ed universali verità celate o del “progresso”. "

    Guarda che in merito a questa tua riflessione , ti do un assist
    per farmi un ulteriore goal ... :- )

    Si sa che lo stesso Freud 'usava' la terapia più a scopi scientifici
    che per la 'cura' dei pazienti.
    Ad un certo momento lo scienziato che andava cercando 'verità'
    universali nascoste aveva preso il sopravvento sul terapeuta.
    Sembra anche che dalle terapie dei suoi allievi le sue aspettative fossero se avessero scoperto qualcosa piuttosto se questi avessero guarito il paziente ed è anche vero come tu dici che nei classici andò a cercare conferme alle sue ipotesi , ma credo fosse troppo onesto e sincero e dunque non 'forzava' i testi antichi.
    In realtà la ricerca di conferma nei classici è "cosa buona e giusta,
    nostro dovere fonte di saggezza " e spero che tuttora si continui
    a farla ...forse non dobbiamo dipingere Freud come un vate e non
    restargli attaccato ai pantaloni , ma non gli si può riconoscere che
    è stato lui il pionere della 'cura attraverso le parole' ... senza
    il suo solco non sarebbero germogliate tutta la ricchezza che
    c'è adesso e dunque questo non va dimenticato.
    Mi piace che di tanto in tanto anche su riviste scientifiche , come
    'mente e cervello' qualcuno gli da il suo.
    La fisiologia della depressione sembrerebbe confermare l'idea
    di una aggressività rivolta verso di se ...un apparente calma all'sterno , una sorta di inferno all'interno , ecco perchè alcuni
    ansiolitici sembrano funzionare anche con i depressi sebbene
    sembri un controsenso.

    lasciando da parte 'dentro e fuori' dal sociale che ti apparirebbe
    a sua volta fumoso , ti invito invece ad una discussione sulla
    'centralità del paziente'.
    Tu dici:
    "In questo caso secondo me è importante non perdere mai di vista la centralità del paziente, la sua realtà, la natura del suo problema e la sua richiesta, più che la motivazione “terapeutica” a se stante. ".
    Cosa intendiamo per centralità del paziente laddove sembrerebbe
    un assunto di base ?
    Rogers ci parla di 'terapia centrata sul cliente' per dire che
    dobbiamo essere più o meni assenti da schemi teorici pre-costuiti
    affidandoci all'empatia , all'accettazione e alla congruenza e un po
    ci rimanda alla differenza che Jaspers faceva tra 'comprensione'
    e 'spiegazione'. Ma siamo proprio sicuri che in altri luoghi venga
    meno la centralità del paziente?
    Questo mi piacerebbe discutere con te ...
    ciao

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