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Discussione: La natura del "legame"

  1. #1
    Megiston Matema
    Ospite non registrato

    La natura del "legame"

    "Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni" (Prospero, La tempesta, William Shakespeare, atto IV); io non so se quello che dice Shakespeare sia vero, di certo è che siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti gli altri. Noi esseri umani nasciamo da un legame, un legame ci mantiene in vita e ci struttura come soggetti, gran parte di noi (inconscio compreso) si forma a partire dalle nostre esperienze intersoggettive, la ricerca di un legame soddisfacente è, forse, la motivazione fondamentale nell'uomo, gran parte del nostro potenziale di esseri umani si dispiega appunto nei legami a cui prendiamo parte. Il concetto di "legame" può essere un elemento trans-teorico, non necessariamente legato a questa o a quella teoria specifica, perché ogni teoria psicologica deve dar conto in qualche modo di quell'ampio aspetto della vita delle persone che si articola in legami più o meno complessi con gli altri. Discutere intorno alle relazioni fra le persone può essere molto interessante. Ma bisogna pur partire da qualcosa, avere un incipit, uno spunto iniziale su cui discutere; io avevo pensato a questo brano di Stephen A. Mitchell, che vi riporto per intero perché lo trovo molto interessante e in sintonia con i quesiti che erano emersi nel thread http://www.opsonline.it/forum/psicol...23-100205.html.

    «Che cosa si può dire del secondo aspetto della dialettica tra il sé e l’altro che accende l’erotismo, delle implicazioni di quella che i filosofi chiamano “alterità”? I poeti, i filosofi e i teorici della psicoanalisi hanno suggerito che la caratteristica centrale della passione sessuale è la sua capacità di trascendere il sé, i confini familiari della propria esperienza – la sensazione di raggiungere ed essere raggiunti, penetrare ed essere penetrati da un altro. Ma è chiaro che questo non può essere fatto da una forma qualsiasi di non-sè; ognuno di noi ha un “tipo” o alcuni tipi, una forma specifica di alterità con cui scatta la chimica giusta.
    L’alterità e l’identità sono agli antipodi e noi pensiamo agli opposti come se fossero irrilevanti l’uno per l’altro, come se non avessero nulla a che fare l’uno con l’altro. In realtà, gli opposti hanno molto a che fare tra loro. Spesso si implicano a vicenda e, in un certo senso, sono costruiti l’uno nell’altro. La luce presuppone il buio, e viceversa. Il concetto di sopra presuppone il senso del sotto, e viceversa. Molti dei nostri concetti di base sono definiti implicitamente dai loro opposti in modo così preciso da essere significativi solo in quanto contrapposti e complementari, come lo yin/yang. Gran parte dell’alterità che cerchiamo e troviamo eccitante nei nostri partner romantici opera nello stesso modo. Ci viene detto che gli opposti si attraggono. E gli opposti si attraggono perché sono l’uno l’inverso dell’altro, sono la stessa cosa in due forme diverse. L’alterità, da questo punto di vista, potrebbe essere ridefinita non come ciò che è alieno al sé, ma come una parte del sé che è stata espulsa, troncata, rifiutata (Jung chiamava “ombra” queste caratteristiche rinnegate del sé). E poiché il sé è definito in modo tanto fondamentale nei termini del non – sé, l’alterità, quel tipo di alterità che eccita la passione erotica, potrebbe essere considerata come una forma del sé, una sua immagine speculare.
    Alcune polarità nette con implicazioni di genere convenzionali sono centrali tanto per la passione eterosessuale quanto per quella omosessuale: duro/morbido, potente/arrendevole, indipendente/dipendente, sopra/sotto, ruvido/tenero e così via: Tuttavia, ci sono molti tipi di contrasti, distribuiti in modo complesso nelle coppie, che riflettono questo stesso tipo di complementarietà speculare: raffinato/volgare, colto/sprovveduto, appariscente/semplice, espressivo/riservato e così via.
    Ciò che dell’altro attrae può non essere la sua alterità quanto l’opportunità di entrare in contatto, a distanza di sicurezza, con aspetti rinnegati del sé. Spesso gli amori romantici sono deludenti perché la somiglianza si maschera di frequente da alterità. Crediamo di scappare da noi stessi, di eliminare gli squilibri del nostro passato, ma i partner che scegliamo come complici in questi presunti atti di libertà, e che spesso si presentano come persone nuove e diverse, di fatto spesso non sono né così diversi né così nuovi.
    Tutti noi abbiamo la tendenza a riprodurre con straordinaria costanza le nostre miserie. Nelle relazioni d’amore affrontiamo ogni nuovo rapporto come se fosse l’antidoto ai problemi dell’ultimo e, con avvilente regolarità, ogni nuova relazione si rivela solo una nuova versione di quelle vecchie. Ciò è a volte attribuito alla strana e misteriosa tendenza dell’inconscio a collocare ovunque gli oggetti edipici dell’infanzia. L’uomo che teme alcune caratteristiche della madre alla fine trova una donna che, nonostante le apparenze facciano pensare il contrario, è una replica della madre. La donna che idealizza un genitore e disprezza l’altro riesce a trovare un uomo che sembra avere gli attributi del genitore che lei ama ma poi rivela, con il tempo, proprio le qualità disprezzate dell’altro.
    Tutto questo non è misterioso e inspiegabile come sembra. La grande ironia di molte relazioni è che la caratteristica manifesta dell’altra persona, la qualità per la quale la scegliamo, spesso è una difesa contro la caratteristica esattamente opposta. Il partner scelto per la sua solidità apparentemente incrollabile forse si difende da una caotica precarietà; la partner scelta per la sua vitalità forse si difende da una sottostante depressione; il partner scelto per i suoi elevati valori morali forse si difende da una segreta fascinazione del perverso; la partner scelta per la sua sensualità nasconde forse un profondo senso di morte e inadeguatezza e sta aspettando qualcuno che la riporti in vita. E così l’alterità dell’altro che scegliamo come antidoto alle relazioni precedenti, e dell’altro che scegliamo perché ci sembra complementare a noi, spesso, al di là della superficie esagerata, rivela proprio la qualità da cui speravamo di fuggire. Quando ci lasciamo andare e iniziamo ad amare una persona, non stiamo scoprendo e amando solo quella persona, ma noi stessi come siamo e come diventeremo con il nostro partner o con la nostra partner
    » (Stephen A. Mitchell, 2002, L’amore può durare? Il destino dell’amore romantico, Raffaello Cortina, Milano, 2003, p. 52 - 53).
    Ultima modifica di Megiston Matema : 22-03-2010 alle ore 23.16.29

  2. #2
    Partecipante Super Esperto L'avatar di lalangue
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Può essere interessante affrontare l'amore romantico e quello sessuale dal punto di vista del legame. Lacan aveva detto qualcosa in proposito di un altro legame, quello con l'analista. In sostanza sosteneva (in una frase che avevo citato in maniera più precisa altrove) che il paziente entra con noi in relazione analitica perché noi gli "insegnamo quello che gli manca", quasi che qualcuno potesse avere (se non addirittura essere) la risposta di quella mancanza "d'essere" che il paziente sente. A volte credo che nei rapporti amorosi questa sia la miccia del desiderio (salvo poi scoprire che il desiderio non si soddisfa e non si esaurisce nella risposta, ma nella ricerca).
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    Ma per caso la reincarnazione di Freud è Tinto Brass?
    La descrizione calzerebbe a pennello, manca solo il cubano..
    Sorella Psicoanalisi e Il Piccolo Mondo Antico

  3. #3
    Partecipante Super Esperto L'avatar di lalangue
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Vediamo di aggiungere qualcosa, così, alla rinfusa (le prime cose che mi vengono in mente).

    Rapporto madre-bambino. Tra Bion, Freud e Winnicott.
    Il prototipo del piacere, del sessuale, è racchiuso nei momenti di presenza/assenza della madre. La fame, nel suo substrato biologico, elevata al rango di pensiero, nel circùito del desiderio. Il bambino e la sua Hilflosigkeit, la sua dipendenza totale dal seno. L'onnipotenza del bambino e l'importanza che hanno le oscillazioni tra soddisfazione del bisogno e assenza della madre (frustrazione del bisogno). Il pensiero e la parola che nascono proprio da lì. Il narcisismo primario, l'indipendenza totale dell'infans che si crede tanto potente da generare autonomamente la soluzione per i propri bisogni e per distruggerla, in seguito (posizione schizoparanoide). La posizione depressiva, in cui il bambino riesce ad accedere alla simbolizzazione, con la perdita che ne consegue ("io non posso tutto, ma almeno qualcosa").
    La soddisfazione, inizialmente misto di biologico e psichico, poi vira decisamente sullo psichico. La suzione del dito e il piacere orale. Il bambino e la soddisfazione allucinatoria. La fase orale e il prototipo della soddisfazione sessuale.

    Il rapporto sessuale non esiste. Lacan, Freud, lo specchio e l'altro come funzione.

    Il desiderio è un circùito che perennemente si rinnova, sostenuto dalla pulsione. L'unione sessuale è uno dei momenti più intimi, nel paradosso che questa frase contiene. Si oscilla sempre tra la massima condivisione e il piacere, la prima relazionale, il secondo solipsistico. All'apice, ci si dimentica dell'altro. Prima, si ricerca il piacere dell'altro. Cosa fa piacere all'altro? Cosa cerca l'analista? Questa è una funzione simbolica. L'analista viene ricompreso nel circùito del piacere. Fa da garante, depositario del Sapere. Il paziente cerca la soluzione del suo problema/desiderio nel Sapere dell'analista. L'analista non esiste come ente totalmente separato, con un suo sistema di piacere svincolato da quello del paziente. Viene messo in quella posizione, a completare. In questo fa parte del meccanismo del transfert, proprio come l'altro nel momento del rapporto: deve completare, deve dare soddisfazione. Così si ricrea l'Unione Originaria. Qualcosa, però, non torna. L'altro, l'Altro, sfugge. Il senso di disillusione è fugace. Si ricomincia.

    Il sessuale e l'amore

    Cosa ci può essere di nuovo? In cosa l'altro ci apporta delle novità? Come fa a scardinare questo modo di funzionare autoreferenziale? Probabilmente è proprio la sua capacità di disilluderci. Una oscillazione PS-D (posizione schizoparanoide-posizione depressiva, in senso bioniano). La capacità di ricomprendere a livello di qualcosa di pensabile il fatto che si incontra un punto che non è di ricongiungimento definitivo (mortifero) con la soddisfazione, ma di continuo rilancio, di scommessa e di possibili ulteriori guadagni. Il transfert è una ripetizione, pur attualizzata. L'amore è qualcosa che si ripete, da un lato, ma che in una qualche misura sfugge quel tanto che basta per farci sentire vivi.

    P.S.: in questo senso, forse, è valido l'assunto del senso comune per cui in amore vince chi (s)fugge, chi riesce ad esistere come parziale corrispondenza al desiderio dell'altro ma se ne discosta quel tanto che basta per farsi percepire come separato
    Ultima modifica di lalangue : 23-03-2010 alle ore 10.54.23
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    Ma per caso la reincarnazione di Freud è Tinto Brass?
    La descrizione calzerebbe a pennello, manca solo il cubano..
    Sorella Psicoanalisi e Il Piccolo Mondo Antico

  4. #4
    benedetta14
    Ospite non registrato

    Riferimento: La natura del "legame"

    Citazione Originalmente inviato da Megiston Matema Visualizza messaggio
    Tutto questo non è misterioso e inspiegabile come sembra. La grande ironia di molte relazioni è che la caratteristica manifesta dell’altra persona, la qualità per la quale la scegliamo, spesso è una difesa contro la caratteristica esattamente opposta. Il partner scelto per la sua solidità apparentemente incrollabile forse si difende da una caotica precarietà; la partner scelta per la sua vitalità forse si difende da una sottostante depressione; il partner scelto per i suoi elevati valori morali forse si difende da una segreta fascinazione del perverso; la partner scelta per la sua sensualità nasconde forse un profondo senso di morte e inadeguatezza e sta aspettando qualcuno che la riporti in vita. E così l’alterità dell’altro che scegliamo come antidoto alle relazioni precedenti, e dell’altro che scegliamo perché ci sembra complementare a noi, spesso, al di là della superficie esagerata, rivela proprio la qualità da cui speravamo di fuggire.
    Questo mi ricorda molto la “ricorsività” delle relazioni umane di cui scriveva neuromancer nel thread del transfert.
    Mi sembra che il legame tra due persone consista nel mettere in relazione due meccanismi difensivi.
    Se prendiamo l’ esempio del brano riportato da Megiston, comprenderei il legame tra il partner scelto per la sua solidità apparentemente incrollabile forse si difende da una caotica precarietà e la partner scelta per la sua sensualità nasconde forse un profondo senso di morte e inadeguatezza e sta aspettando qualcuno che la riporti in vita.
    Se a livello inconscio il senso di morte e di inadeguatezza dell’una si lega alla caotica precarietà dell’altro, i meccanismi di difesa, ovvero la sensualità dell’una e la solidità dell’altro si legano a livello di apprendimento, ovvero della ricorsività di cui sopra? Ciò vuol dire che gli inconsci si legano per analogia, mentre i meccanismi di difesa per complementarietà?

    Leggendo lalangue mi viene da pensare che la relazione con l’altro sia di tipo “oggettuale”, ovvero l’altro è funzionale al mio desiderio che però non si compie insieme all’altro, ma si soddisfa nella ricerca. Mi viene così da pensare che per relazionarsi sia comunque necessario attuare un meccanismo difensivo quale l’idealizzazione. Sono andata a ricercare un post di Megiston di qualche tempo fa in cui riporta:
    “L’idealizzazione è un processo che ha a che fare con l’oggetto; in virtù di essa l’oggetto, pur non essendo mutato nella sua natura, viene amplificato e psichicamente elevato” (OSF, vol. 7, Introduzione al narcisismo, 1914, p. 464).
    Domanda: come posso relazionarmi con il partner, l’amico o il terapeuta senza idealizzarlo, quindi senza attivare un meccanismo di difesa?

    Saluti.

  5. #5
    Megiston Matema
    Ospite non registrato

    Riferimento: La natura del "legame"

    Citazione Originalmente inviato da lalangue Visualizza messaggio
    Vediamo di aggiungere qualcosa, così, alla rinfusa (le prime cose che mi vengono in mente).

    Rapporto madre-bambino. Tra Bion, Freud e Winnicott.
    Il prototipo del piacere, del sessuale, è racchiuso nei momenti di presenza/assenza della madre. La fame, nel suo substrato biologico, elevata al rango di pensiero, nel circùito del desiderio. Il bambino e la sua Hilflosigkeit, la sua dipendenza totale dal seno. L'onnipotenza del bambino e l'importanza che hanno le oscillazioni tra soddisfazione del bisogno e assenza della madre (frustrazione del bisogno). Il pensiero e la parola che nascono proprio da lì. Il narcisismo primario, l'indipendenza totale dell'infans che si crede tanto potente da generare autonomamente la soluzione per i propri bisogni e per distruggerla, in seguito (posizione schizoparanoide). La posizione depressiva, in cui il bambino riesce ad accedere alla simbolizzazione, con la perdita che ne consegue ("io non posso tutto, ma almeno qualcosa").
    La soddisfazione, inizialmente misto di biologico e psichico, poi vira decisamente sullo psichico. La suzione del dito e il piacere orale. Il bambino e la soddisfazione allucinatoria. La fase orale e il prototipo della soddisfazione sessuale.

    Il rapporto sessuale non esiste. Lacan, Freud, lo specchio e l'altro come funzione.

    Il desiderio è un circùito che perennemente si rinnova, sostenuto dalla pulsione. L'unione sessuale è uno dei momenti più intimi, nel paradosso che questa frase contiene. Si oscilla sempre tra la massima condivisione e il piacere, la prima relazionale, il secondo solipsistico. All'apice, ci si dimentica dell'altro. Prima, si ricerca il piacere dell'altro. Cosa fa piacere all'altro? Cosa cerca l'analista? Questa è una funzione simbolica. L'analista viene ricompreso nel circùito del piacere. Fa da garante, depositario del Sapere. Il paziente cerca la soluzione del suo problema/desiderio nel Sapere dell'analista. L'analista non esiste come ente totalmente separato, con un suo sistema di piacere svincolato da quello del paziente. Viene messo in quella posizione, a completare. In questo fa parte del meccanismo del transfert, proprio come l'altro nel momento del rapporto: deve completare, deve dare soddisfazione. Così si ricrea l'Unione Originaria. Qualcosa, però, non torna. L'altro, l'Altro, sfugge. Il senso di disillusione è fugace. Si ricomincia.
    Il sessuale e l'amore
    Cosa ci può essere di nuovo? In cosa l'altro ci apporta delle novità? Come fa a scardinare questo modo di funzionare autoreferenziale? Probabilmente è proprio la sua capacità di disilluderci. Una oscillazione PS-D (posizione schizoparanoide-posizione depressiva, in senso bioniano). La capacità di ricomprendere a livello di qualcosa di pensabile il fatto che si incontra un punto che non è di ricongiungimento definitivo (mortifero) con la soddisfazione, ma di continuo rilancio, di scommessa e di possibili ulteriori guadagni. Il transfert è una ripetizione, pur attualizzata. L'amore è qualcosa che si ripete, da un lato, ma che in una qualche misura sfugge quel tanto che basta per farci sentire vivi.

    P.S.: in questo senso, forse, è valido l'assunto del senso comune per cui in amore vince chi (s)fugge, chi riesce ad esistere come parziale corrispondenza al desiderio dell'altro ma se ne discosta quel tanto che basta per farsi percepire come separato
    Caro Lalangue,
    in tutte le teorie che citi il “legame” non è un elemento fondante e organizzatore primario della psiche, diventa un elemento secondario che risponde ad una necessità. Per Freud il rapporto con l’oggetto diventa una necessità per scaricare un surplus energetico che non soltanto è spiacevole, ma addirittura pericoloso. Se l’organismo tende a mantenere inalterato il livello energetico interno, allora sarà spiacevole ogni stimolo che tende ad aumentare questa energia e sarà piacevole la scarica di questa energia, o a livello allucinatorio (nei sogni, nelle fantasie, ecc.) o ancora meglio attraverso un oggetto esterno qualsiasi.
    L’apparato psichico non è “relazionale” costitutivamente o organizzativamente, lo diventa per necessità e mai completamente, perché si cerca la relazione non in sé e per sé, ma o secondo il modello narcisistico (amando ciò che ci somiglia, come Freud interpreta l’amore omosessuale; o amando nella misura in cui siamo amati, come Freud interpreta l’amore femminile), oppure secondo il modello anaclitico, amando ciò che ci è necessario per sopravvivere.
    In Lacan l’amore non è altro che l’illusione di colmare l’originaria mancanza ad essere (béance), da cui sorge il desiderio (o la domanda), illusione perché non esiste davvero il “rapporto sessuale” visto che i due sessi si strutturano entrambi sotto il significante del “fallo”, l’uomo secondo il dominio dell’avere, la donna secondo il dominio dell’essere. L'altro, attraverso cui il soggetto cerca di gratificare il suo desiderio, non è un altro reale ed esterno, ma soltanto un supporto storico reale, quel peu de réalité che da consistenza al desiderio soggettivo.
    Lacan, fra l’altro, per sottolineare come la relazionalità genuina e l’amore stesso fossero un miraggio, disse pure che: “L’amore è dare qualcosa che non hai a qualcuno che non conosci” (cit. da A. Phillips, On flirtation, Harvard University Press, Cambridge, MA, 1994, p. 39).
    Se in Lacan la béance è originaria e ineliminabile, perché deriva dalla separazione dal corpo materno e dal seno, allo stesso modo in Bion il pensiero nasce dall’originaria assenza dell’oggetto; in altre parole, la relazione è secondaria ad una mancanza, serve a colmare un’assenza, ci si relaziona non per il piacere in sé che ne deriva, o perché siamo costitutivamente razionali, ma per necessità.
    Winnicott sembra partire col piede giusto quando dice che non esiste bambino senza la madre, ma poi continui la lettura e ti accorgi che sia il bambino sia la madre hanno a che fare solo e desolantemente non con persone “reali” fuori di loro, ma con oggetti interni, e lo scenario è ancora una volta intrapsichico e non relazionale.
    Se le strutture psichiche non sono costituite nella relazione, ma nell’assenza di questa, non c’è una vera scena relazionale, la relazione si risolve tutta nei meccanismi intrapsichici, fra il soggetto intrapsichico e le sue fantasie e i suoi oggetti interiorizzati.
    Il conflitto soggetto-oggetto avviene all’interno della psiche fra il soggetto e i suoi fantasmi interni, in parte costituiti da complessi interni derivati geneticamente (ad esempio l’Edipo), in parte interiorizzati attraverso forti distorsioni delle fantasie interne.
    E’ per questi motivi che la psicoanalisi intersoggettiva, quella relazionale, la psicoanalisi post-femminista, quella di coppia e quella di gruppo, hanno cercato di creare un’altra scena psichica per spiegare il legame.
    Lo psicoanalista di coppia francese Jean G. Lemaire, che non è certamente un rivoluzionario, ma che è stato fra i pionieri di questa disciplina e che lavora con le coppie da più di quaranta anni, scrive:

    «Ma il concetto di “legame” non apparteneva al vocabolario della metapsicologia, intesa come un sistema concettuale utile nel trattamento individuale in quanto permette la comprensione dei processi individuali dei partner presi singolarmente. Essa tuttavia non dà strumenti che aiutino a cogliere fenomeni come l’intrusione, la perdita dell’autonomia psichica, la dipendenza, e quindi l’annullamento dell’identità, che si legano alla passione, alla vita amorosa e ai processi interattivi della relazione di coppia. Tentai quindi di mettere a punto degli interventi che agissero direttamente sul legame che univa i componenti della coppia genitoriale, con l’obiettivo di stimolare un’evoluzione di alcuni aspetti della struttura familiare patogena» (Jean G. Lemaire, Riflessioni sull’intervento psicoanalitico di coppia, Ricerca Psicoanalitica, CDP Editore, Genova, 2007, Anno XVIII, n° 1, p. 8).

    Anche René Kaës, uno dei più famosi psicoanalisti di gruppo, ritiene necessario adottare dei “dispositivi” specifici per ciascuna situazione analitica relazionale, dalla psicoanalisi di coppia a quella di gruppo, che possano spiegare meglio non ciò che avviene nel singolo individuo quando è in relazione, ma ciò che avviene fra gli individui, senza perdere né il soggetto né l’altro reale né l’interazione fra i due.
    I fermenti relazionali e intersoggettivi, poi, si interrogano su quanto possa essere utile all’analisi non perdere ciò che avviene nella coppia psicoanalitica, piuttosto che illuminare soltanto ciò che avviene nel paziente, come se fosse un’isola.
    Senza contare, poi, che è obiettivamente difficile spiegare alcune manifestazioni psicologiche normali o cliniche facendo ricorso soltanto all’intrapsichico e alla metapsicologia freudiana o post-freudiana; ad esempio trovo arduo tentare di spiegare l’angoscia di separazione tentando di ricondurla alla pulsione orale.
    A tratti il tuo discorso mi sembra quello dell'asino, del bastone e della carota, dove una carota è legata attraverso un filo ad un bastone, il quale è fissato al basto dell'asino, per cui quando l'asino si muove, si muove anche il bastone e di conseguenza anche la carota .
    Un saluto.
    Ultima modifica di Megiston Matema : 23-03-2010 alle ore 17.19.52

  6. #6
    Megiston Matema
    Ospite non registrato

    Riferimento: La natura del "legame"

    Citazione Originalmente inviato da benedetta14 Visualizza messaggio
    Questo mi ricorda molto la “ricorsività” delle relazioni umane di cui scriveva neuromancer nel thread del transfert.
    Mi sembra che il legame tra due persone consista nel mettere in relazione due meccanismi difensivi.
    Se prendiamo l’ esempio del brano riportato da Megiston, comprenderei il legame tra il partner scelto per la sua solidità apparentemente incrollabile forse si difende da una caotica precarietà e la partner scelta per la sua sensualità nasconde forse un profondo senso di morte e inadeguatezza e sta aspettando qualcuno che la riporti in vita.
    Se a livello inconscio il senso di morte e di inadeguatezza dell’una si lega alla caotica precarietà dell’altro, i meccanismi di difesa, ovvero la sensualità dell’una e la solidità dell’altro si legano a livello di apprendimento, ovvero della ricorsività di cui sopra? Ciò vuol dire che gli inconsci si legano per analogia, mentre i meccanismi di difesa per complementarietà?

    Leggendo lalangue mi viene da pensare che la relazione con l’altro sia di tipo “oggettuale”, ovvero l’altro è funzionale al mio desiderio che però non si compie insieme all’altro, ma si soddisfa nella ricerca. Mi viene così da pensare che per relazionarsi sia comunque necessario attuare un meccanismo difensivo quale l’idealizzazione. Sono andata a ricercare un post di Megiston di qualche tempo fa in cui riporta:
    “L’idealizzazione è un processo che ha a che fare con l’oggetto; in virtù di essa l’oggetto, pur non essendo mutato nella sua natura, viene amplificato e psichicamente elevato” (OSF, vol. 7, Introduzione al narcisismo, 1914, p. 464).
    Domanda: come posso relazionarmi con il partner, l’amico o il terapeuta senza idealizzarlo, quindi senza attivare un meccanismo di difesa?

    Saluti.
    Cara Benedetta,
    hai perfettamente ragione, persino i relazionali come Mitchell, o gli analisti di coppia come Lemaire (citato sopra) o Alberto Eiguer, pur partendo da un presupposto in cui la relazione è fondante e costitutiva della psiche, poi spostano molto l’accento sulla clinica e tendono a patologizzare un legame che di per sé si fonda su presupposti non necessariamente patologici.
    Se, in base alle osservazioni della Infant Research noi siamo relazionali fin da subito nella nostra vita, se le nostre strutture psichiche si fondano attraverso i legami che istituiamo, la relazione stessa fa parte dell’attuazione di sé dell’essere umano, e non può considerarsi in nessun modo una difesa, una necessità, o un incastro se non nei suoi versanti incompleti o francamente patologici.
    Una coppia si mette insieme per realizzarsi (o per attuarsi) in tutte le sue dimensioni relazionali, (intimità, sessualità, complicità, affetto, interessi, quotidianità, progettualità, ecc.) e per iscriversi in un progetto legato ad una temporalità potenzialmente infinita (perché l’amore è un sentimento che si nutre di eternità almeno nel momento in cui è concepito, poi Verdone ci ha fatto un film "L'amore è eterno finché dura!" e ha pure ragione, vista la durata media degli amori, ma nel momento in cui sentiamo che è "amore" allora sentiamo anche che è per sempre, che questo sentimento si iscrive nel "non tempo", sarebbe ridicolo dirsi: "Ci ameremo fino alla settimana prossima" ).
    Ma ciascun componente della coppia ha delle parti di sé inespresse, poco differenziate, allo stato larvale, e delle zone oscure su cui è posto il veto della difesa (come Dio pose i Cherubini con la fiamma della spada guizzante davanti al giardino di Eden dopo la cacciata di Adamo ed Eva) e su cui si chiede implicitamente al partner di “chiudere un occhio”, instaurando vere e proprie “alleanze inconsce” (vedi Kaës) in cui ciascuno dei partner è disposto a non vedere i lati oscuri dell’altro in cambio dell’esatto reciproco.
    C’è però un’ambivalenza di fondo alla base della costituzione di queste alleanze inconsce, perché se ciascuno vuol essere amato ed accettato per ciò che è, allora in un certo senso si demanda all’altro la possibilità di poter accettare queste aree oscure attraverso un processo dialettico che ne permetta la riappropriazione senza perdere l’amore dell’altro e, nello stesso tempo, si teme che l’altro se ci conoscesse davvero per come siamo, non potrebbe più amarci.
    E’ però vero che la coppia (nell’amore o in analisi) si forma per creare spazi comuni condivisi dove poter superare se stessi, i propri limiti, le proprie possibilità espandere la propria coscienza, e superare anche le più intime paure.
    Un saluto.
    Ultima modifica di Megiston Matema : 23-03-2010 alle ore 16.15.40

  7. #7
    Partecipante Veramente Figo L'avatar di luigi '84
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Citazione Originalmente inviato da lalangue Visualizza messaggio

    Cosa ci può essere di nuovo? In cosa l'altro ci apporta delle novità? Come fa a scardinare questo modo di funzionare autoreferenziale? Probabilmente è proprio la sua capacità di disilluderci. Una oscillazione PS-D (posizione schizoparanoide-posizione depressiva, in senso bioniano). La capacità di ricomprendere a livello di qualcosa di pensabile il fatto che si incontra un punto che non è di ricongiungimento definitivo (mortifero) con la soddisfazione, ma di continuo rilancio, di scommessa e di possibili ulteriori guadagni. Il transfert è una ripetizione, pur attualizzata. L'amore è qualcosa che si ripete, da un lato, ma che in una qualche misura sfugge quel tanto che basta per farci sentire vivi.

    P.S.: in questo senso, forse, è valido l'assunto del senso comune per cui in amore vince chi (s)fugge, chi riesce ad esistere come parziale corrispondenza al desiderio dell'altro ma se ne discosta quel tanto che basta per farsi percepire come separato


    ''Tutto è distanza qui, ciò che respiro
    era colà. Dopo quel primo asilo,
    gli apparve infido questo: e tempestato
    da venti avversi.
    Felicità divina dell'insetto,
    che rimane, per sempre, dentro il grembo,
    onde nasceva: nello spazio immenso.
    O dittero, che dentro vi saltelli,
    pur quando giunge il tempo delle nozze!
    Il grembo è tutto.'' (Rilke)

    Ma, una volta emerso l'Io, l'incesto matriarcale si connota come un ritorno alla nuda terra, una morte. E allora la ripetizione assume i caratteri dell'amore egoico sempre conteso tra movimenti di ritorno incestuosi e aperture necessarie al nuovo...l'uomo ''storico'' nasce dalla configurazione di questa iniziale tragedia, tragedia della storicità appunto:

    ''Essere a fronte, eternamente a fronte...
    ecco il destino.'' (Rilke)

    Saluti,
    Luigi

  8. #8
    Postatore Compulsivo L'avatar di ghiretto
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Legame e vita mi paiono strettissimamente legati, direi in modo indissolubile. Come rammenta Megiston, che ringrazio, noi nasciamo da un legame, già un zigote si forma da un legame, e via via ogni nostra attività vitale, sia essa biologica o psichica, implica relazionalità.

    Nel "piccolo principe", ci sono alcune pagine pregevoli che narrano di alcune componenti del legame, la vicinanza, l'attrazione, il tempo. Per chi volesse rileggerlo

    "No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire "<addomesticare>?"
    "E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire <creare dei legami>..."
    "Creare dei legami?"
    "Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io saro' per te unica al mondo".


    Soprattutto sul tempo mi va di riflettere con voi, nella nota che implica la costruzione di un legame e la sua necessità, per svilupparsi, di essere metabolizzato dal vivente, di trovare all'interno dell'umano, o anche no, in fondo gli animali costruiscono anch'essi legami, spazio e possibilità per innestarsi nell'esistente, che necessariamente viene prima. Un prima i implica un dopo, indi Cronos. Dal primo, con la madre a tutti i seguenti.

    Sulla complementarità dei legami, consci ed inconsci, sulla inestinguibilità del desiderio, complice Luigi, anche io rammento Rilke

    Ma egli ruppe la scorza del dolore
    in pezzi e ne distese alte le mani
    come per trattenere il dio fuggente.
    Anni chiedeva, solo un anno ancora
    di giovinezza, mesi, pochi giorni.
    ah, non giorni, ma notti, una soltanto,
    solo una notte, questa notte. questa.
    Il dio negava. Gridò allora Admeto,
    gridò vani richiami a lui, gridò,
    come gridò sua madre al nascimento.


    Pat
    Ultima modifica di ghiretto : 23-03-2010 alle ore 20.45.59
    " E se scruti a lungo un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te" Nietzsche


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  9. #9
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Nel trattare l'argomento, avete subito stabilito un'analogia tra relazione analista-paziente e altre comuni relazioni.

    Ma questo accostamento, come dire, non è azzardato?

    Sarà un "legame" diverso, visto che uno dei due è al "piano di sopra".

    Ciao

  10. #10
    Partecipante Super Esperto L'avatar di lalangue
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Citazione Originalmente inviato da benedetta14 Visualizza messaggio
    Questo mi ricorda molto la “ricorsività” delle relazioni umane di cui scriveva neuromancer nel thread del transfert.
    Mi sembra che il legame tra due persone consista nel mettere in relazione due meccanismi difensivi.
    Se prendiamo l’ esempio del brano riportato da Megiston, comprenderei il legame tra il partner scelto per la sua solidità apparentemente incrollabile forse si difende da una caotica precarietà e la partner scelta per la sua sensualità nasconde forse un profondo senso di morte e inadeguatezza e sta aspettando qualcuno che la riporti in vita.
    Se a livello inconscio il senso di morte e di inadeguatezza dell’una si lega alla caotica precarietà dell’altro, i meccanismi di difesa, ovvero la sensualità dell’una e la solidità dell’altro si legano a livello di apprendimento, ovvero della ricorsività di cui sopra? Ciò vuol dire che gli inconsci si legano per analogia, mentre i meccanismi di difesa per complementarietà?

    Leggendo lalangue mi viene da pensare che la relazione con l’altro sia di tipo “oggettuale”, ovvero l’altro è funzionale al mio desiderio che però non si compie insieme all’altro, ma si soddisfa nella ricerca. Mi viene così da pensare che per relazionarsi sia comunque necessario attuare un meccanismo difensivo quale l’idealizzazione. Sono andata a ricercare un post di Megiston di qualche tempo fa in cui riporta:
    “L’idealizzazione è un processo che ha a che fare con l’oggetto; in virtù di essa l’oggetto, pur non essendo mutato nella sua natura, viene amplificato e psichicamente elevato” (OSF, vol. 7, Introduzione al narcisismo, 1914, p. 464).
    Domanda: come posso relazionarmi con il partner, l’amico o il terapeuta senza idealizzarlo, quindi senza attivare un meccanismo di difesa?

    Saluti.
    Come puoi? Non puoi.

    Forse l'equivoco sta nella dicitura "meccanismo di difesa", che, di per sé, fa venire il sospetto di qualcosa di malvagio. In realtà le difese sono a tutto vantaggio dell'Io che, pur essendo il Grande Mistificatore, è anche un po' la radice da cui emerge la Coscienza. La metafora ottica è istintiva: è un po' come se fosse il nostro cristallino, che ci permette di vedere più o meno correttamente. Le difese contribuiscono alla visione. Il problema è quando c'è una sclerosi del cristallino, un irrigidimento delle difese.

    @complicata: chi sarebbe "al piano di sopra"? Ovviamente, non solo nella relazione analitica.

    @Megiston: Bion ha concettualizzato la coppia analitica come un caso particolare di gruppo specializzato in assunto di base di accoppiamento. Da ciò, peraltro, ne derivava anche il fiorire di riferimenti sessuali.
    Citazione Originalmente inviato da complicata Visualizza messaggio
    Ma per caso la reincarnazione di Freud è Tinto Brass?
    La descrizione calzerebbe a pennello, manca solo il cubano..
    Sorella Psicoanalisi e Il Piccolo Mondo Antico

  11. #11
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Non mi direte che il "dialogo" tra paziente e analista è un dialogo alla pari, eh?

    E' chiaro che le relazioni tra persone sono di tipo diverso, ma questa mi sembra proprio atipica, sentite.

    Boh?

    L'analista legge le mie parole, da professionista, io le sue no.

    E' chiaro ciò che intendo?

    Questo solo per cominciare, poi ci sarebbero moltissime altre cose.

    Certamente, non è una "coppia", poco ma sicuro.

    Sarà un paio, ma non una coppia, eh.
    Ultima modifica di complicata : 24-03-2010 alle ore 14.25.09

  12. #12
    Partecipante Super Esperto L'avatar di lalangue
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Citazione Originalmente inviato da complicata Visualizza messaggio
    Non mi direte che il "dialogo" tra paziente e analista è un dialogo alla pari, eh?

    E' chiaro che le relazioni tra persone sono di tipo diverso, ma questa mi sembra proprio atipica, sentite.

    Boh?

    L'analista legge le mie parole, da professionista, io le sue no.

    E' chiaro ciò che intendo?

    Questo solo per cominciare, poi ci sarebbero moltissime altre cose.

    Certamente, non è una "coppia", poco ma sicuro.

    Sarà un paio, ma non una coppia, eh.
    Anche secondo me la relazione tra analista e paziente DEVE essere asimmetrica. Il punto è se non lo è già a priori, a prescindere dal volere dell'analista stesso. Prendi Char_Lie: lui è la dimostrazione, nel forum, di ciò che in lacaniano si dice "Soggetto supposto Sapere". Non c'è via di scampo: lui si attende una soluzione. Come se qualcuno potesse avere una risposta per lui senza, al contempo, imporgli delle scelte non sue. E le chiederà a gran voce, quelle imposizioni, anche se ora le nega. Le chiederà per vie traverse, per non-detti, tramite ammiccamenti, facendo a volte il bambino cattivo e a volte il ragazzo un po' più cresciuto e maturato, quello bravo. Cercherà di spiare il volere che c'è dall'altra parte.
    Magari ti sarà capitato di stare con una persona gelosa. La cosa è frustrante, perché, per quanto tu possa fare o non fare e per quanto tu possa dire, il tuo partner penserà sempre che c'è qualcosa che non va. Alla fine, per la disperazione, lo tradirai pure.
    Un compito dell'analista, tra gli altri, è di assumersi quella posizione (scomoda) e di sfruttarla, da un lato per far "muovere" il paziente (la suggestione non ha mai fatto schifo a nessuno), dall'altro per disgregarla, per mostrare (ovviamente in terapia, e non su un forum) al paziente che non esiste un Ente Superiore dei Lavori Psichici che stabilisce come si fa una cosa per il nostro piacere.
    Citazione Originalmente inviato da complicata Visualizza messaggio
    Ma per caso la reincarnazione di Freud è Tinto Brass?
    La descrizione calzerebbe a pennello, manca solo il cubano..
    Sorella Psicoanalisi e Il Piccolo Mondo Antico

  13. #13
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Per fortuna, non mi è mai capitato.
    Almeno, il mio analista fosse un po' geloso di me!

    Però però , su questi ragionamenti incombe il conflitto con l'autorità.

    Cioè, voglio dire, l'analista esercita un "potere", dall'alto di un piedistallo, il paziente cercherà di buttarlo giù dal piedistallo, se non è uno sciocco.

    Dico male?

    E', il "potere" dell'analista, una suggestione molto forte, agli occhi di un paziente, se ha capito come vanno le cose.

    Non ho capito questa questione dell'assumere una posizione "scomoda" per poi disgregarla.

    Cioè, assumere un ruolo, per far capire cosa, esattamente?
    Ultima modifica di complicata : 24-03-2010 alle ore 15.13.29

  14. #14
    Megiston Matema
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Cara Complicata,
    hai perfettamente ragione si tratta di una relazione molto disequilibrata, è carino da parte tua prendere a cuore così questa questione, il povero analista è in genere “sottomesso” dai suoi pazienti, c’è chi lo rimprovera, chi non si fida, chi vuole fargliela pagare per chissà quali colpe di cui si è macchiato, chi lo guarda dall’alto in basso come per dirgli “chi ti credi di essere”, chi gli dice che si annoia durante le sedute, chi gli fa notare che non partecipa molto e che sembra assente e chi, invece, gli fa notare che pretende troppo da lui ed è fin tropo presente, chi gli dice che non lo capisce ... capita di rado che qualcuno esprima al suo analista una certa solidarietà umana.
    Scherzo, ovviamente.
    Però possiamo ammettere che la relazione fra paziente e analista è ben strana: è un rapporto professionale, ma è anche molto carico emotivamente; non assomiglia a nessuno dei rapporti affettivi conosciuti (genitore-figlio, amante-amato; rapporto di amicizia, ecc.) però può essere accostato a ciascuno di questi per qualche aspetto. Talvolta è molto più intimo e più profondo rispetto a tutti gli altri, oppure molto più superficiale.
    Umanamente si tratta senza dubbio del rapporto fra due persone paritetiche, ma professionalmente è un rapporto non perfettamente simmetrico; e questo perché, se non altro, è l’analista a richiedere il rispetto di alcune regole iniziali su cui poi il rapporto stesso si dispiega.
    C’è poi in mezzo un elemento non indifferente, una richiesta di aiuto, per cui i ruoli che si interpretano sono necessariamente quelli di aiutante e di aiutato, anche se l’analista fa di tutto per evitare che il paziente assuma troppo passivamente questo ruolo. L’obiettivo è arrivare alla consapevolezza che il paziente è diventato il terapeuta di se stesso, e questo lo toglie dalla sensazione di subordinazione e dipendenza.
    Mi chiedo poi, quanta di questa dissimetria sia avvertita solo dal paziente e gli sia funzionale e quanto sia reale e veicolata dal terapeuta o insita nella situazione analitica.
    Riguardo alla questione del sapere, io la vedo in maniera un po’ diversa da alcuni miei colleghi che prendono come obiettivo il paziente, il suo intra-psichico o il suo relazionale interiorizzato (il che è lo stesso), io cerco di far luce sulla relazione che si instaura fra me e il paziente, segnalandola, interpretandola, riconoscendola. Ebbene, nella relazione non c’è soltanto il funzionamento del paziente, ma anche il mio, quindi io interpreto come le modalità relazionali del paziente si intersecano con le mie, e viceversa. Prendo in considerazione ciò che accade fra noi due. Dunque, ritengo superato il discorso che viene fatto di solito: “L’analista sa tutto di me mentre io non so niente di lui”. Anche sul ruolo di interprete potremmo discutere, “l’analista legge le mie parole, io le sue no”, è un modo di lavorare e di intendere l’analisi in cui non mi riconosco, intanto perché come ho detto non ci sono le mie parole o le tue, ma tutto ciò che viene esplicitato in analisi diventa “nostro”, e poi perché nessuno vieta al paziente di essere lui a dare un’interpretazione, a riconoscere o ad accorgersi di ciò che sta succedendo.
    Ciao.
    Ultima modifica di Megiston Matema : 24-03-2010 alle ore 15.44.07

  15. #15
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    Riferimento: La natura del "legame"

    Per far capire che quel ruolo l'analista non ce l'ha "di per se". Ce l'ha perché tu decidi che ce l'abbia.

    Lo vedi come un padre? Lo senti come un'autorità? E lui si metterà nei panni dell'autorità dicendoti con autorità che non intende guidare la tua vita e che sei tu ad essere responsabile delle tue scelte.

    Il che potrebbe anche consentirti di accorgerti che tutta l'autorità di cui lo ammantavi stava in te, non in lui.

    In fondo, non esiste "il potere". Esistono "relazioni di potere". E, come amava ricordare Gandhi, per sconfiggere qualsiasi potere è sufficiente una parola: "no".

    Almeno, così la capisco io.

    Buona vita
    Guglielmo
    Dott. Guglielmo Rottigni
    Ordine Psicologi Lombardia n° 10126

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